È lecito domandarsi se quanto viene messo in atto a livello legislativo sia veramente il frutto della volontà del popolo o se rappresenti un compromesso tra le classi dominanti e quelle dominate. È possibile che ci troviamo tutt’ora in un periodo come quello di Solone, dove le esigenze della maggior parte della popolazione sono messe a tacere da false opportunità di progresso e i veri provvedimenti, che renderebbero democratica la nazione, non sono applicati a causa di interessi personali?
Ogni giorno ci svegliamo, facciamo colazione, andiamo a prendere il pane, andiamo a lavoro, torniamo a casa, andiamo in palestra, ceniamo, guardiamo un film e durante tutto questo arco di tempo pensiamo di essere in una nazione e in un’epoca democratica. È veramente così? Siamo davvero nelle condizioni di autodeterminarci e di poter decidere della nostra vita? Siamo sicuri che alcune istituzioni o alcuni meccanismi di elezione non siano altro che un contentino per far star buono il popolo? Probabilmente viviamo in un’epoca più democratica di cinquant’anni fa e cinquant’anni fa vivevano in una democrazia migliore di quelli presenti cinquant’anni prima; questo però può bastare per poterci definire democratici? O la democrazia è altro, è l’emergere del migliore, è il continuo progresso delle condizioni generali della popolazione, è l’acquisto di sempre maggiori libertà e condizioni per far esprimere al meglio l’individuo? Sembra invece che ci stiamo cullando su questo ordinamento, sembra che siamo appagati dalle condizioni in cui viviamo, sembra che non ci sia un qualcosa d’altro per cui lottare: partecipazione elettorale bassissima, potere dei sindacati sempre più in diminuzione, capacità del giornalismo di confutare il sistema sempre più scarsa e irrilevante, associazioni e cooperative attratte dal profitto e non da una forte aspirazione al bene. Ovviamente, e per fortuna, non è dappertutto così, ma la tendenza sembra proprio essere questa.
È curioso constatare che alcuni meccanismi riguardanti l’etica e l’agire pubblico si siano già verificati nel corso della storia. Dico questo non per appellarmi ad una possibile ciclicità degli eventi o delle epoche, ma per sottolineare che il processo che porta l’uomo al miglioramento delle sue condizioni di vita segue delle direttive simili, che si ripetono ogni qual volta è necessario uscire da una situazione di difficoltà.
Anche la Grecia soloniana ̶ dal 594/3 a.C. al 582/1 a.C. ̶ è stata vista a più riprese, soprattutto dalla propaganda successiva, come una nazione con un ordinamento democratico. Ad un più attento esame storico e filosofico su quelle che sono state le condizioni d'espressione della volontà popolare possiamo vedere che non è stato proprio così. Analizzando l’arcontato di Solone possiamo vedere come alcune sue riforme siano simili a ciò che gli attuali governanti stanno cercando di attuare. Per far questo ci serviremo del contributo dell’apologia che Solone fa a stesso del suo operato, la quale è contenuta all’interno della Costituzione degli Ateniesi di Aristotele.
Solone viene chiamato dalle classi nobiliari ateniesi a risolvere un problema che si faceva sempre più persistente: la povertà, o meglio, come si vedrà alla fine, il tener buoni i poveri. La maggior parte dei contadini, e quindi della popolazione, viveva in una condizione pietosa. Essi erano soprannominati ektemoroi, che significa quelli della sesta parte: non si sa bene se la sesta parte coincida con ciò che dovevano dare ai proprietari delle terre che coltivavano in affitto o se la sesta parte della produzione fosse quella che tenevano per loro. Di recente tende a prevalere la seconda ipotesi. I contadini, dovendo affittare le terre per coltivare e sopravvivere, erano costretti ad aprire grossi debiti fino ad impiegare in molti casi la propria persona e i componenti della propria famiglia come pegno. Molti poveri passavano così dallo status di liberi a quello di schiavi, agogimoi.
L’intervento di Solone si situa proprio qui: mettere a tacere il popolo che ormai era in rivolta, che si sarebbe altrimenti affidato ad un tiranno, come già avvenuto in altre poleis della Grecia. «Fra due eserciti rivali, rimasi fermo come limite»: mediò tra quella che era la volontà popolare e gli interessi delle elites dominanti. Grazie a quella che Aristotele definisce seisachteia, che letteralmente significa scuotimento dei pesi, Solone liberò tutti coloro che erano schiavi per debiti e risarcì i proprietari con un indennizzo. Istituì poi l’eliea, il tribunale dove i cittadini votavano per gli appelli delle condanne a morte e discutevano casi eccezionali di tradimento della polis. In questo modo diede al popolo un piccolo potere decisionale in ambito giuridico, anche se la maggior parte dei processi venivano gestiti dall’areopago, che era un’istituzione a cui avevano accesso solo i nobili.
Riformò poi la divisione in classi della popolazione ateniese: usò un metodo censitario, nello specifico in base al numero di medimni, cioè i sacchi di prodotto del frutto dei campi che una persona riusciva a produrre all’anno. Coloro che producevano da 1 a 199 sacchi all’anno facevano parte della classe dei teti, poi ad aumentare il numero di sacchi si diventava zeugiti, hippeis e pentacosiomedimni, cioè coloro che producevano 500 sacchi di prodotti agricoli all’anno. I pentecosiomedimni erano gli unici che potevano accedere all’arcontato, cioè la carica più prestigiosa delle polis, hippeis e zuegiti potevano ambire ad altre magistrature, mentre i teti avevano solo la possibilità di votare, non potevano essere eletti a nessuna carica. Ciò che è importante sottolineare di questa suddivisione in classi è la mobilità del sistema che permette un’escalation sociale: si può passare da una classe all’altra. Soprattutto quelli più poveri possono così vivere nella falsa speranza di poter un giorno ambire alle cariche dei ricchi. Inoltre, la classe più bassa deve essere considerata una falsa classe, un trucchetto di Solone per unificare il popolo: in essa sono contenuti sia coloro che non avevano praticamente niente, producendo un medimno all’anno, sia i contadini più ricchi che producevano fino a 199 sacchi di medimni annui. Solone mette allo stesso livello, dandone la possibilità di voto, contadini in miseria e piccoli proprietari terrieri: ecco la mossa demagogica, ecco il modo per far sentire appagato il popolo.
« Al popolo ho dato potere quanto basta,
senza diminuire né accrescere alcun suo diritto;
e quelli che erano forti e si imponevano con la ricchezza,
anch’essi feci in modo che non subissero nessun’onta.
Rimasi saldo, proteggendo entrambi con un forte scudo,
e non permisi che nessuno dei due prevalse
ingiustamente. »
Nonostante questi barlumi di miglioramento a livello di partecipazione pubblica ed etica statale Solone fallisce e se ne va altrove. Dopo di lui si instaura con Pisistrato la tirannide che aveva cercato di evitare: il problema non era stato risolto, la divisione in classi e lo scioglimento della schiavitù per debiti non permisero di eliminare la povertà. La spartizione delle terre pubbliche, che i contadini più poveri chiedevano per poter migliorare le proprie condizioni di vita, non fu mai eseguita: i nobili non l’avrebbero mai permesso vedendo un così forte sbilanciamento di provvedimenti che non andavano a loro favore.
Sulla base di questo esempio e di molti altri episodi nella storia dell’uomo, è lecito domandarsi se quello che viene messo in atto a livello legislativo sia veramente il frutto della volontà del popolo o se rappresenti un compromesso tra le classi dominanti e quelle dominate. È possibile che ci troviamo tutt’ora in un periodo come quello di Solone, dove le esigenze della maggior parte della popolazione sono messe a tacere da false opportunità di progresso e i veri provvedimenti, che renderebbero democratica la nazione, non sono applicati a causa di interessi personali?
4 marzo 2019
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