Il filosofo della scienza Thomas Kuhn descrisse con grande precisione il lavoro della comunità scientifica e in particolare l’inevitabilità degli scontri tra paradigmi, ma non poteva prevedere come sarebbe stata la qualità di tali scontri, a volte veramente infima.
Raccontiamo le cose dal principio. Sono un laureato in fisica con specializzazione in fisica della materia, ma mi hanno sempre appassionato la biologia e l’evoluzione. Ho approfondito così tanto quest’ultimo argomento (tra libri, articoli scientifici e altre letture), che un giorno ho provato ad applicare la mentalità acquisita dalla preparazione accademica di “problem solving” per tentare di vedere in modo nuovo l’evoluzione della vita. Grazie ad uno dei lati positivi di internet (creare connessioni tra le persone) ho potuto conoscere un formidabile biologo statistico di Roma, Alessandro Giuliani, che nel 2015 mi ha aiutato ad erigere quello che fu per me il mio primo articolo scientifico. In tale articolo descrivo l’evoluzione non più come accumulo graduale di mutazioni ereditabili casuali, filtrate dalla selezione naturale, ma come una transizione di fase scatenata da risonanze, intese come uguaglianze tra opportune oscillazioni ambientali e frequenze di variazione intrinseche di una specie.
Dopo una peer-review durata un anno (2016), finalmente una rivista scientifica a inizio 2017 accoglie il nostro paper. Siccome l’articolo scientifico si basava su un formalismo matematico-fisico non
particolarmente sofisticato ma comunque non comprensibile a tutti, le idee sottostanti ad esso necessitavano di essere esplicitate. Nel farlo, ho fatto notare quanto fosse forte la differenza tra
la visione di quella che oggi chiamo Teoria delle Risonanze Evolutive (TRE) e il darwinismo, perché la TRE è stata ideata per tentare di risolvere molti problemi aperti
(l’assenza del gradualismo, la macro-evoluzione, l’impredicibilità dell’evoluzione e altro ancora).
I giornalisti con cui ho avuto la fortuna di parlare hanno sottolineato soprattutto la novità della TRE rispetto all’approccio darwiniano, raccontando la verità ma anche facendo il loro mestiere.
Esistono però leggi molto più solide di quelle delle scienze della natura. Una di queste predice che se una persona riceve anche solo una minuscola unghia di notorietà mediatica, essa dovrà
aspettarsi molte critiche. Anche io ero consapevole che avrei ricevuto critiche: critiche di “pancia”, critiche di “testa”, ma soprattutto critiche di pancia che sembrano critiche di testa.
Tolte le persone che commentano sui social e quelle che hanno un proprio sito internet, un giorno sono comparse anche le critiche da una fonte perfettamente consapevole della propria autorevolezza, la Società Italiana di Biologia Evoluzionistica (SIBE), capeggiata dal filosofo della biologia Telmo Pievani.
Il sottoscritto però, da bravo ex-secchione (come mi piace ironicamente definirmi), aveva fatto i compiti a casa, almeno quelli necessari per avere almeno un 6 all’interrogazione: fuor di metafora, la TRE non ha niente a che vedere con le alternative più popolari (ma scadenti) del darwinismo, cioè il Creazionismo, il Disegno Intelligente e l’intervento degli alieni. La TRE si basa addirittura su un articolo scientifico e in certi contesti l’approvazione di una rivista scientifica rappresenta il sacro spartiacque tra il mondo delle idee anti-scientifiche e quello della comunità scientifica (gente seria).
Tolta la possibilità di attaccare la TRE con gli argomenti precompilati impiegati nelle tre circostanze più banali che ho citato, i ben 11 firmatari di un articolo di due pagine contro la TRE
hanno dovuto argomentare sull’articolo scientifico in esame.
Da ex-secchione di un liceo scientifico (dove quindi si insegna anche filosofia) sapevo che le resistenze a nuovi paradigmi (cioè a nuovi schemi di pensiero atti a descrivere un’ampia classe di
fenomeni) è del tutto normale nella storia della scienza e che anzi la loro presenza è un buon segno nella strada verso l’affermazione di una nuova teoria. Ciò che nella mia somma ingenuità non
potevo subito prevedere è che anche l’argomentazione più forte oppure la più onesta (quella che ammette i propri limiti e non afferma più di quanto può rigorosamente argomentare) può essere
attaccata con un metodo semplicissimo: le bugie. Se non si riesce a trovare qualcosa che non va (oppure non se ne trova abbastanza), la si crea.
Nel mio caso, posso dire, per riassumere, che la critica del SIBE non è una critica al modello delle risonanze evolutive, ma a quello che hanno capito del modello, a quello che credono che io e
Alessandro Giuliani abbiamo detto (a volte ponendolo ingiustamente tra virgolette, senza riportare fedelmente le nostre parole). Non hanno attaccato l’articolo ma qualcos’altro in cui non mi
identifico. Dove nell’articolo definisco qualcosa che servirà per descrivere l’evoluzione, per il SIBE definisco l’evoluzione, confondendo l’ordine logico della
trattazione teorica. Tutto ciò che potevo spiegare in modo rigoroso solo tramite la matematica viene considerato sbagliato o impreciso dai lettori che hanno saltato a piè pari
le formule matematiche.
Raccontare nel dettaglio tutte le banali incomprensioni confonderebbe inutilmente il lettore, specie colui che per la prima volta si fosse imbattuto nella TRE. Per chi fosse interessato ad
approfondire, potrà trovare un video completo su questo scontro col SIBE sulla pagina facebook della TRE, nella quale potrà trovare molte altre spiegazioni.
Siccome ciò che veramente importava (secondo me) agli autori del contro-articolo era la forma, proprio su quella mi vorrei soffermare. Firmare in 11 per poi riportare di nuovo il nome
del SIBE dà chiaramente l’idea (non al sottoscritto ma al generico lettore) che esista nella scienza una sorta di tribunale, o se preferite una commissione d’esame, che stabilisca ciò che vale la
pena prendere in considerazione e ciò che deve essere gettato nella Geenna. È l’applicazione dell’aforisma che per un po’ è andato di moda tra i positivisti moderni, ovvero la scienza
non è democratica: solo chi ha studiato e ha ricevuto l’approvazione di altri esperti potrà dire la sua, tutti gli altri tacciano e imparino.
Per concludere l’aspetto personale di questa vicenda, posso ribadire che se prima di scrivere quell’articolo gli autori mi avessero contattato in qualche modo per chiarire ciò che non avevano
capito o che gli fosse sembrato troppo al di fuori degli schemi, avrebbero scoperto che molti degli “errori” segnalati consistevano in incomprensioni facilmente superabili. Se però avessero agito
così, sarebbe stata molto più debole quell’aura da sentenza di Cassazione del giudizio del SIBE e molto meno aspro il merito della critica, che in fondo è essenzialmente una presa in giro della
TRE.
Rifacendomi a Kuhn, sarebbe eccessivo parlare in questo caso di “scontro tra paradigmi” del tipo sistema tolemaico contro copernicano, o Meccanica Classica contro Meccanica Quantistica. Stiamo ad un livello molto più basso, è più che altro un bisticcio tra i paradigmi, dove purtroppo avrei preferito scontri più profondi, ma per nostra fortuna la comunità scientifica è immensa e molto più grande del SIBE.
Il vero scontro tra paradigmi non ha per forza i tratti di un litigio, di uno sfottò o di una polemica. Una sua variante diversa solo nelle apparenze ma non nella sostanza in realtà l’ho vissuta
in molte occasioni, confrontandomi con diversi biologi (del resto molto più onesti e gentili). Il vero scontro tra paradigmi consiste
principalmente di una sorta di incomunicabilità, di incompatibilità di linguaggio, prima ancora che di idee.
Come giustamente ci insegna Kuhn, un paradigma non è solo un modo di descrivere fenomeni naturali, ma prima ancora un modo per dire che cosa osservare in un fenomeno naturale per definirlo in un certo modo. Da questo punto di vista, ho vissuto lo scontro tra paradigmi ogni volta che mi sono reso conto che ormai per un biologo evoluzionista l’evoluzione non è più un fenomeno che posso descrivere tramite la selezione naturale, ma sono solo quei fenomeni che si possono descrivere con la selezione naturale che si guadagnano l’etichetta di fenomeni evolutivi.
Non è solo un gioco di parole ma una vero e propria metodologia con risvolti pratici. Per intenderci, è come dire che in linea di principio se in un laboratorio un essere vivente dovesse
trasformarsi in un altro rapidamente (magari con effetti di luce tipo i pokémon o i digimon), il fenomeno verrebbe considerato del ramo dell’epigenetica, dello sviluppo o quant’altro; ma solo
se c’è un “vantaggio adattativo” allora viene considerato “evoluzione”, facendo passare fenomeni che Darwin non avrebbe potuto neanche immaginare come coerenti con la teoria vigente. Per
esempio, come i batteri che possono mutarsi i geni con precisione e passarseli tra loro come se fossero banconote, senza né casualità né selezione, per resistere agli antibiotici.
Viceversa (facendo sempre un esempio reale), un fringuello che sviluppa un becco solo un po’ più largo e che può essere usato meglio per certi semi piuttosto che altri, viene preso a simbolo
della solidità sperimentale del darwinismo, da sbattere in faccia a chi solleva dei dubbi avulsi da ogni ideologia o tentativi di polemica.
Un’idea meno nota di Kuhn ma non meno importante è che definire per bene i concetti in gioco (passaggio preliminare importantissimo per i filosofi) potrebbe essere inutile in uno scontro tra paradigmi. Nel nostro caso, potrebbe essere inutile fare spiegazioni, schemi o disegnini per far capire che nella TRE la condizione di evoluzione è una condizione di risonanza fisico-matematica, perché per il mainstream se non c’è una “pressione adattativa” (o un isolamento geografico) tale fenomeno non è che viene ritenuto irrealistico o falso, ma, semplicemente per mera abitudine, non verrà considerato evolutivo.
Sembra una specie di trappola (spesso involontaria!) per cui se un modello descrittivo, anche se intenzionato a spiegare un fenomeno naturale, non segue il paradigma più diffuso ma va troppo
oltre, è come se non stesse affatto spiegando quel fenomeno. Non per forza si dirà che è falso, ma che si occupa di altro.
Sempre seguendo Kuhn, paradossalmente un paradigma tanto più è diffuso e affermato tanto più viene impiegato con una sorta di sciatteria, come se non fosse una ricetta rigorosa ma più che altro
una linea guida generale. Per questo spesso mi ritrovo ad essere involontariamente un fedelissimo seguace di Darwin prima di doverlo criticare per proporre la TRE. Mi succede tutte le volte che
in un articolo scientifico (ma soprattutto nei documentari) trovo espressioni del tipo “questa specie si è adattata ad un clima rigido” oppure “quella specie ha perso quel gene che nel nuovo
ambiente non gli serviva”. È davvero un’ardua sfida dover ricordare ad alcuni interlocutori che tutte quelle espressioni cozzano con un’applicazione rigorosa del darwinismo, ma sono costretto a
farlo perché solo dopo aver ribadito cosa afferma il darwinismo allora posso spiegarne i limiti e proporre una soluzione alternativa!
Malgrado questi problemi si siano ripetuti spesso nella storia della scienza, le rivoluzioni scientifiche (cioè i cambi di paradigma) sono avvenuti lo stesso; come mai? Per Kuhn i motivi
principali sono due: o perché una nuova teoria predice con successo qualcosa che nella vecchia era del tutto inimmaginabile (come le curvature dello spazio-tempo, impossibili per definizione in
una concezione newtoniana dello spazio); oppure perché un problema che stava a cuore alla comunità scientifica riceve una spiegazione da una nuova teoria.
Premessa l’ovvietà che spero tanto che la TRE soddisfi in futuro una delle due condizioni appena citate, ricordo ai lettori che un paradigma, finché funziona, rappresenta una fonte di sicurezza,
è un simbolo della speranza che il particolare fenomeno complicato, che io come ricercatore sto studiando, si potrà sempre ricondurre ai suoi schemi. Anche la scienza si basa sulla fiducia, anche
se in pochi lo ricordano; in questo caso nella fiducia che una soluzione del mio problema di ricerca sia effettivamente da qualche parte là fuori nel mondo delle idee, ed è il paradigma
che mi assicura che esiste e che potrò raggiungerla.
Non sono un retorico, non amo le polemiche e i dibattiti, con l’aiuto di molti collaboratori cerco solo di offrire delle soluzioni a problemi ancora irrisolti. C’è solo un vincolo, un moto
d’orgoglio magari “giovanilistico” che vorrei assumere: nella scienza riconosco che esistano gli esperti, ma non riconosco alcuna Autorità.
5 marzo 2019