Da dove nasce la difficoltà (politica) a risolvere l'odierno problema ecologico?
Il progresso tecnico e tecnologico, che dalla prima rivoluzione industriale ai giorni nostri sta sempre più migliorando il tenore di vita delle popolazioni occidentali, oggi deve fare i conti con il disastro ecologico a cui andremo incontro senza una radicale revisione delle nostre abitudini e delle nostre fonti energetiche. Ma sembrano esserci dei problemi nel risolverlo.
Tra il ‘700 e l’800 si sono sviluppati due fenomeni sociali che, anche se sembrano separati, sono intrinsecamente in relazione. Da una parte la formazione dei primi Stati nazionali in senso moderno, mentre dall’altra il grande progresso tecnologico avvenuto con le rivoluzioni industriali. Entrambi i fenomeni hanno avuto grandi ripercussioni sulla società, ma non si direbbe che a prima vista siano in relazione, o, per lo meno, che dovrebbero esserlo.
Oggi il progresso tecnologico non sembra volersi arrestare ma, anzi, pare essere l’unica cosa che conta. Dall’altra parte invece possiamo assistere alla crisi e al declino non solo dello Stato moderno e del suo potere regolativo, ma della politica in generale come forza in grado di gestire i cambiamenti della società. Questo si può notare anche dalla difficoltà con cui la politica tenta di star dietro al progresso tecnologico. E soprattutto dal modo in cui essa si interfaccia a quella che è forse la più grave emergenza del nostro tempo: la situazione ecologica. In tutto il mondo, lo si sente ripetere spesso, le temperature stanno aumentando, il polo nord si sta sciogliendo, la plastica ha invaso mari e oceani, le specie fanno fatica a sopravvivere e si estinguono. Ma a questo, nonostante i numerosi summit globali sul clima, sembra non aversi ancora trovato rimedio. Anzi, i risultati degli ultimi accordi sul clima, secondo alcuni studi presentati all'ultimo Cop in Polonia, non sarebbero sufficienti.
Ma perché non si riesce a porre un limite all’inquinamento? Perché non si possono dare delle regole da rispettare per salvare tutto il pianeta, dato che siamo tutti “sulla stessa barca”?
Innanzitutto, perché il potere politico non si è evoluto, non si è espanso velocemente come la tecnologia e l’economia. Anzi, ormai esso è praticamente sottomesso al volere dell’economia, alla “fiducia nei mercati”, in modo che qualsiasi sua mossa sia imbrigliata dalla possibile reazione degli investitori esteri, estranei allo Stato, che sono fuori, almeno in parte, dalla sua giurisdizione. Enormi masse di denaro, enormi investimenti, possono essere spostati in poco tempo da un punto all’altro del pianeta determinando gravi crisi per le nazioni, senza che nessuno possa farci niente.
E anche la tecnologia ha da tempo superato le possibilità di controllo della politica: qualsiasi informazione può circolare in pochi attimi da un punto all’altro del globo, le multinazionali del tech come Apple e Amazon la fanno da padrone tanto da non poter neanche essere tassate giustamente, i social-network sono ormai diventati il principale mezzo di propaganda politica e di raccolta del consenso. La politica sembra allora veramente aver ridotto il proprio margine di controllo e di manovra al minimo storico.
E questo perché?
Perché mentre l’economia liberale e la tecnologia negli ultimi secoli si sono espanse su scala internazionale, superando le barriere statali, i vecchi Stati nazionali hanno continuato a proteggere la propria particolarità, il proprio territorio, e a concorrere tra loro più come nemici che come alleati. E anche quando hanno tentato di farlo come alleati il risultato è stato un fallimento: l’esperienza europea, per come finora si è realizzata, nonostante abbia portato a 70 inauditi anni di pace nel nostro continente, ha chiaramente visto dei vincitori e degli sconfitti, e portato alla nascita di fenomeni sovranisti, protezionisti, secessionisti, che mettono a dura prova la sua resistenza.
Mentre dunque la tecnica si espandeva creando legami sovrannazionali, gli Stati restavano nel loro piccolo “orticello” tentando di mantenere il passo di quella ma senza preoccuparsi di limitare e regolare il progresso che essa prometteva. Questo particolarismo statale verrà però pagato a caro prezzo: la mancanza di un diritto internazionale vero e proprio, di organizzazioni sovrannazionali che non solo mettano d’accordo e facciano dialogare, ma anche che regolino e sanzionino le condotte degli Stati particolari, impedisce che su questioni di scala globale si riesca a trovare una soluzione univoca e comune.
Ciò emerge particolarmente nel caso dell’emergenza ecologica: l’inquinamento prodotto in un particolare Stato influisce non solo sul suo territorio, ma su tutto il pianeta, rendendo difficile parlare di giurisdizione territoriale. Si sono resi necessari dunque degli interventi, dei summit internazionali, per trovare una soluzione a questo problema. Ma se l’adesione ai vari continua a rimanere meramente volontaria allora il problema non potrà mai essere risolto: l’inquinamento verrà solo prodotto da una parte piuttosto che da un’altra. Senza contare peraltro che tutte queste misure vanno a danneggiare i paesi che decidono di diminuire le proprie emissioni, perché questi saranno costretti ad investire in ricerca o porre dei limiti alla propria produttività per rimanere all’interno dei limiti stabiliti. Questo sistema insomma non garantisce né uguaglianza né giustizia: per colpa dei Paesi che decidono di non aderire o di non rispettare l’accordo vengono a rimetterci anche coloro che vorrebbero davvero fare qualcosa per l’ecologia e il pianeta.
Di cosa c’è bisogno allora?
C’è bisogno di cominciare a prendere coscienza delle proprie responsabilità nei confronti del pianeta intero, degli altri Stati e delle future generazioni. C’è bisogno che il problema dell’ecologia cominci ad essere percepito come un’emergenza, perché questi effetti per ora non sono irreversibili, ma lo saranno tra pochi anni, e questo dunque è il momento di intervenire prima che sia troppo tardi.
E c’è bisogno di un potere politico sovrannazionale, che non sia schiavo dell’economia e della tecnologia ma che riesca a regolare quel tipo di fenomeni, come l’inquinamento, che non possono essere regolati dagli Stati particolari presi per sé, in quanto non possono essere isolati come problemi di un solo territorio poiché riguardano tutto il pianeta.
6 marzo 2018
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