Un’età incorreggibile, che si affanna troppo, senza cogliere i respiri più autentici che le sono pervenuti; è la vicenda di Nicolás Gómez Dávila.
Nicolás Gómez Dávila (Bogotà, 1913-1994) è stato uno dei più lucidi filosofi del Novecento. Valutare in modo opportuno le opere che restano celate alla cronaca del tempo risulta estremamente difficile: nessun destino è stato così segnato da questa difficoltà come quello di Gómez Dávila, il quale appare tuttora sconosciuto alla stragrande maggioranza degli intellettuali. Il suo cammino è stato illuminato da pochi che hanno saputo scorgerne la grandezza; tra questi ricordiamo in particolare: Franco Volpi ed il suo allievo Gabriele Zuppa; successivamente, grazie a quest'ultimo, si è avvicinato al pensiero gomezdaviliano anche Antonio Lombardi, oggi, insieme a Zuppa, tra i maggiori interpreti del filosofo colombiano.
Possiamo qui tentare un breve viaggio assieme, attraverso un excursus su alcuni temi salienti, come emergono dall'ultima pubblicazione che riguarda il filosofo colombiano: Apocalisse democratica. Il contributo notevole di Gómez Dávila è stato quello di svelare l’inquietudine che domina la società postmoderna, la quale, ancora non riesce a prendere l'adeguata consapevolezza nella coscienza dell’uomo. Il suo pensiero è ben presente all’interno dei due saggi raccolti in Apocalisse democratica: il VI dei Textos e il De iure, i quali rappresentano due capolavori di filosofia politica e del diritto.
« Il Texto VI, si inoltra in una fulminante genealogia del concetto di democrazia, metafisico e politico assieme, che ci restituisce l’immagine della nostra società come in uno specchio; il secondo, il De iure, tratteggia e illumina il denso cammino teorico e storico su cui si erige la nostra concezione del diritto, della giustizia, dello Stato. Facendoci intravedere orizzonti di senso per un’umanità futura. » (G. Zuppa, Leviatano postmoderno, in Apocalisse democratica)
« La percezione della realtà, oggi, sembra appiattita tra il lavoro e i divertimenti moderni. »
(Nicolás Gómez Dávila)
Quel che emerge fin dalle prime pagine del libro è che il pensiero gomezdaviliano si oppone radicalmente alle categorie del Postmoderno: l’epoca nostra è un’epoca in cui l’individuo risulta alienato dal suo stesso volere, tanto che l’individuo «desidera, senza sapere cosa veramente voglia». I tratti dominanti l’epoca postmoderna appaiono essere l’ignoranza del valore ragione, un congedo dalla riflessione, che veicolano una comprensione effimera del mondo.
L’eredità del Novecento è già tutta presente nelle parole preveggenti di Fichte in I tratti fondamentali dell’epoca presente:
« l’età dell’assoluta indifferenza verso ogni verità e dell’assoluta sfrenatezza senza un concorde filo conduttore. »
Oggi si pretende di correre troppo, senza mai sentire la necessità di meditare sul nostro spirito, sul nostro essere. L’ideale universale dell’individuo è quello di comprendere un tutto che poi si rivela il nulla.
« Il mondo moderno esige che approviamo ciò che nemmeno dovrebbe osare a chiederci di tollerare. »
(Nicolás Gómez Dávila)
L’uomo è incapace del lento sforzo del pensare la realtà sociale in cui vive, è troppo debole per il processo fondamentale della ricerca. Così, una volta «liberatosi dalle ideologie, dal peso del dovere, l’individuo si scopre libero, ma poi scopre di essere anche spaesato, spaurito e fallito» (A. Eherenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e società). Secondo Gómez Dávila l’inclinazione della scienza politica moderna è il governarsi da sé piuttosto che delegare altri più capaci di noi. L'auspicio di Nietzsche si è in qualche modo avverato: nel nostro quotidiano è possibile riscontrare un individuo che si crede sovrano o che è costretto ad essere tale; «la modernità democratica — e questa è anche la sua grandezza — ha fatto progressivamente di noi degli uomini senza guida, ci ha posti a poco a poco nella condizione di dover giudicare da soli e di dover fondare da soli i nostri punti di riferimento» (A. Eherenberg, ivi).
L’individuo, liberandosi dalle ideologie, dal peso del dovere, è giunto a decretare il suo trionfo effimero, sospeso tra presunzione e abbandono:
« il sé si ritrova povero, svuotato, incapace. Incapace, oramai di riprendersi tutto l’universo da cui aveva creduto di liberarsi – mentre invero si liberava di se stesso –, cerca di sentirsi vivo con le droghe o di non sentirsi più depresso con gli psicofarmaci. » (Ivi)
Lo slancio verso paradisi superomistici o il ripiegamento dopo la caduta. Il problema trova un'ottima sintesi nella parole di Hartmann nell'Etica:
« la vita dell’uomo d’oggi non è favorevole all’approfondimento […] è vita di inquietudine e di fretta [...] siamo sempre dietro alla novità, [...] l’uomo [post]moderno […] fa una virtù della sua superficialità morale […]; perciò si compiace della posa di superiorità, che nasconde la sua interiore pochezza. »
« L'anima malata non guarisce sopprimendo i suoi conflitti meschini, ma gettandosi tra confini nobili. »
(Nicolás Gómez Dávila)
«La dottrina invalsa del Postmoderno è la dottrina della volontà assoluta, che non si pone limiti perché essa stessa li crea. [...] Questo sa indicare nelle poche pagine del VI texto Gómez Dávila con una lucidità fulminante, in un concentrato di fenomenologia, teoresi e genealogia storica» (G. Zuppa, Leviatano postmoderno, cit.). Una tematica che risulta cara a Gómez Dávila è il richiamo alla giustizia, spinto dall’esistenza dell’inuguaglianza; si può affermare senz’altro che, tentando di tematizzare l'ingiustizia come contraddizione del sistema sociale, il trattato di filosofia politica più osannato del Novecento esordisce similmente a quello più ignorato: Una teoria della giustizia di John Rawls e il De Iure di Nicolás Gómez Dávila. Apocalisse democratica consente di tracciare così anche un raffronto tra Davide (Gómez Dávila) e Golia (Rawls), tra due posizioni che risulteranno paradigmatiche e antitetiche. Si sa, il gigante avrà la peggio... Non è possibile qui narrare lo scontro cruento in quel campo di battaglia che è il Novecento, raccontato in Apocalisse democratica. Ma quel che conta e appassiona è la sfida concettuale, al di là dei risultati qui anticipati. Così, ciascuno affini le sue armi e dia poi il suo contributo, ragionato, meditato, importante per un'età che corre troppo veloce e fugge pericolosamente dalla possibilità di comprendersi.
24 marzo 2019
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