Riscoprire il διάλογος: dialettica democratica e deriva progressista a confronto

 

È un’illusione credere che un qualsiasi ordine possa dirsi democratico o possa mantenersi tale in mancanza di una istruzione e di una educazione degli uomini. Lo spirito democratico può essere accolto solo da chi sia stato educato e continui a perfezionarsi in tal senso. E l’educazione primaria è il διάλογος. 

 

di Alessio Canini

 

Globalizzazione, interconnessione, diffusione di idee, stili di vita, ma anche di ideologie.  È incontestabile che vi sia una necessità derivante dal flusso di eventi presenti, derivanti dal contesto globalizzato ed interconnesso d’oggi. È la necessità del confronto e del dialogo: un cammino per scorgere nuove categorie utili al superamento della deriva postmoderna, attraverso l’analisi dei punti nevralgici delle correnti progressiste. 

 

Si intenda per istituzione democratica l’ordine politico-sociale per come si è definito nel nostro paese, in particolare a partire dal secondo dopoguerra. L’istituzione democratica, che ha come fondamento l’elezione dei suoi rappresentanti, non può essere meramente un processo di elezione e rinnovo periodico dei rappresentanti, «unicamente la destituibilità del governo, senza spargimenti di sangue» (Popper, Sulla teoria della democrazia). In particolare, nelle ultime due decadi il sistema elettivo ha mostrato le sue reali debolezze, consentendo la nascita di caste politiche e la stagnazione di proposte nell’ambiente elettivo. Si rammenti di conseguenza il nucleo fondamentale già delineato dai più grandi filosofi greci: l’istituzione democratica è lì ove è la democrazia; ma la democrazia non è semplicemente δῆμος e ordine esteriore degli individui; la reale base democratica è, bensì, il διαλέγομαι; solo questo consente la reale costruzione di una base comune entro cui poter delineare e costruire il progetto democratico. Ciò implica una partecipazione effettiva e sostanziale: l’esclusione dal dialogo per qualsiasi motivo comporta la nascita di discrepanze e di ingiustizie. Il mancato dialogo è frattura interna agli uomini, è mancanza di confronto e di costruzione collettiva, che tenga conto degli interessi particolari di ciascuno. La misura del grado di “democraticità” di una istituzione o di un assetto sociale non dipende dalla sola adozione o meno di strumenti detti democratici, quali le elezioni. La democrazia, l’ordine democratico, per non soccombere, necessita di rinnovarsi e rinsaldarsi nel suo “spirito”, che non è, come già detto, l’ordine oggettivo delle istituzioni, degli strumenti, delle procedure. Lo spirito democratico aleggia sugli individui; anzi, lo spirito democratico è forgiato sin dentro gli individui e le loro percezioni particolari. È un’illusione credere che un qualsiasi ordine possa dirsi democratico o possa mantenersi tale in mancanza di una istruzione e di una educazione degli uomini. Lo spirito democratico può essere accolto solo da chi sia stato educato e continui a perfezionarsi in tal senso. E l’educazione primaria è il διάλογος. 

 

Ora, il rilievo e il significato che si può attribuire a vocaboli quali intersezione, interconnessione, diffusione e contaminazione differisce enormemente in base alla visione e ai presupposti da cui si fa partire la propria analisi, la propria elaborazione teoretica. Nell’ottica di cui sopra, tali concetti assumono una sfumatura negativa, anziché positiva, visti da una prospettiva non solo di matrice progressista. Il comunicare, il διάλογος già menzionato non nasce già semplicemente da tali concetti. La visione progressista crede che tali concetti siano in sé carichi di potenza generatrice di democrazia, di confronto, di apertura verso un mondo globalizzato e migliore. Invero, non già i concetti in sé medesimi, ma la visione, la struttura teoretica (o ideologica) elabora ed erige un confronto sopra tali concetti. Questo, dunque, si sottolinea: la deriva “democraticistica” in sé già radicata nell’approccio progressista, che non vede altro che buoni propositi ed un futuro roseo solo se e quando gli individui e le istituzioni abbracceranno tali concetti. È necessario ribadire la proposizione di non autonomia dialogica dei concetti sopra citati: non già i concetti in sé, bensì nella visione globale (dunque, in una Weltanschauung) risiede il potenziale di cambiamento delle istituzioni, della società, dei singoli. Ne consegue che l’ordine prospettato dalle correnti progressiste etichetti a priori chiunque non concordi su tale visione come “nemico della democrazia”. Eppure, le criticità rilevate muovono dall’asserzione fondamentale della necessità del διάλογος come principio fondante dell’individuo. Dunque, la necessità della ricerca (del ϕιλοσοϕέω) e dell’educazione dello spirito: ciò che si intende, qui, con "spirito" è la base razionale degli individui, che è l’unione di quanto v’è di intelligibile e di quanto v’è di intellettibile (intuizione e ragione insieme, che sono uniti nell’analisi dei fenomeni, cioè di quanto è esterno a noi e si manifesta come Altruità); questa unione può più o meno attaccarsi ai fenomeni e a quanto appare oggettivo: la sua inclinazione, quanto la sua declinazione, è ciò che amplia la base medesima, e ne conferisce una valenza particolare, detta Spirito; e a questo proprio ci si riferisce, alla declinazione e all’inclinazione di quella base razionale portata alla visione d’insieme, che guarda agli aspetti particolari per ricongiungerli, poi, nell’attività di teoresi. Spirito è κριτική (τέχνη), cioè “arte del giudicare”. È, ancora, la facoltà stessa del pensiero, della teoresi, di cogliere significati universali, tracciare linee di congiunzione e connessione tra fenomeni, condurre l’osservazione oltre i fenomeni medesimi. È la reale facoltà della Ragione che non viene scissa dall’intuizione, non solo empirico-sensitiva, ma anche logico-percettiva. Ciò significa, dunque, che lo slancio continuo dello spirito, cioè la sua educazione tanto può muovere la ragione oltre ciò che appare e già “è”, quanto tenderà al riflesso dei concetti, alla comprensione della realtà nella sua complessità. Non vi è reale progresso se non nel progresso che conduce verso la comprensione della reale capacità della base razionale, cioè del nostro intendere noi stessi e il mondo: è il concetto di intenzione (intentio-onis, der. di intendere «tendere, rivolgere»). E l’intenzione declina verso un reale διάλογος, sua declinazione spontanea e fruttifera, che è un rapportarsi autentico alle cose e ai fenomeni: l’intrinseca conflittualità che risiede nelle cose e nei fenomeni può essere superata in una comprensione globale epperò minuziosa.  

 

L’approccio delle correnti progressiste è un approccio positivo, se non positivista, vista la grande fiducia riposta nell’umanità e, in particolare, nel concetto stesso di progresso. Un progresso che ha nuove sfumature, che vuol identificarsi come progresso umano, in vista di un futuro radioso in cui l’umanità potrà riconoscersi nella uguaglianza e nella fratellanza comuni. Concetti, questi, di una banalità disarmante, visto il modo di proporre il raggiungimento di tali obiettivi. Un mondo edulcorato, che ha scisso i legami più profondi con la realtà: una visione, questa, che non coglie l’essenza della follia esistenziale, della conflittualità intrinseca agli uomini, alle Nazioni. 

 

« Non c’è alcun pretore, arbitro supremo e mediatore fra gli Stati, e anche questi sono soltanto in modo accidentale, cioè secondo la volontà particolare. La concezione kantiana d’una pace perpetua, mediante una lega degli Stati, la quale appiani ogni controversia, e, in quanto potere riconosciuto da ogni singolo Stato, componga ogni dissenzione, e quindi renda impossibile la decisione per mezzo della guerra, presuppone l’umanità degli Stati, che dipende da ragioni e riguardi morali, religiosi o di qualsiasi natura, in generale, sempre da una volontà sovrana particolare, e, quindi, resta affetta da accidentalità. » (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del Diritto)

 

Sembra, ad un’analisi più attenta e più sistematica, che le pretese delle correnti progressiste siano rivestite più d’apparenza che di reale sostanza, che tocchi i punti nevralgici delle questioni più attuali. Eppure, rientra nella visione progressista la volontà di una nuova evangelizzazione: l’apertura del mondo ai concetti di cui sopra, alla fratellanza che tutti ci accomuna, sembra inevitabile; anzi, tutto deve ora tendere a tale progresso umano e sociale: tutti siamo uguali, dunque cadono le differenze, e così anche le più lievi sfumature. In tale ordine di cose, è ininfluente l’etnia e l’origine, il sesso e il genere, le sfumature particolari e particolareggianti di ciascun individuo: il progresso si fa strada nell’annullamento di qualsiasi individualità. È la fine d’ogni distinzione, poiché tutto scade nell’informe uguaglianza. È la morte del pensiero e del giudizio: la stessa facoltà del pensare è preclusa dal timore reverenziale verso l’uguaglianza del nuovo mondo prospettato dai progressisti. 

 

L’impatto è il presupposto fondamentale entro cui circoscrivere l’influenza e i cambiamenti che, di riflesso, si attueranno sulle istituzioni democratiche. Il modo di diffusione è fondamentale per comprendere l’impatto che si originerà successivamente. E vi sono modi differenti di propagare tali idee tra gli individui. L’ideologia progressista muove dall’assunto di superiorità e di necessità insita nel suo stesso essere ideologia. Giusta e veritiera, forzerà gli individui ad interagire con tali ordini di concetti; gli eventi del mondo globalizzato e gli altri fenomeni connessi, del resto, forzano pure un confronto con tali concetti e categorie. Tuttavia, di falso confronto si tratta, dato che non è contemplato nell’ideologia: è, dunque, l’apparenza della comprensione reale delle cose. Ciò significa la distorsione dell’Intenzione: l’effetto di una diffusione di tali idee non corrisponde necessariamente (e fattualmente, nel caso progressista) ad uno sviluppo o ad un progresso umano: non v’è uno Spirito che, di pari passo, si confronti con tali idee e, dialetticamente, convenga a nuovi orizzonti e a nuove prospettive. I concetti finora prospettati in sé sono sterili e, in mancanza d’un progresso spirituale, hanno un connotato negativo, anziché positivo: è in atto, anziché un reale progresso, un inviluppo dello Spirito, cioè delle concezioni degli uomini, del loro essere liberi. La mancanza di dialettica interna agli individui significa la mancanza di una dialettica comune: i concetti e le idee sopra citate si sviluppano in senso contrario e opposto al “διάλογος”. È, di fatto, la distorsione dell’Intenzione: è il rapportarsi inautentico alle cose, alla realtà. E lo Spirito che si nutra di una tale distorsione, fa male a sé e agli altri: copre i fattori reali di crisi del reale, le fratture e la complessità per ridurre il tutto ad un mondo ad immagine, spesso, di ciò che si brama e si desidera. Il progressista riduce il mondo a proiezione dei suoi desideri e delle sue voglie.

 

Ne consegue un aggravamento della situazione “postmoderna”: il pluralismo e il relativismo di fattori impediscono il raggiungimento della Verità mediante scoperta, riflessione, autocoscienza. Ciò significa una impossibilità di reale costruzione sociale e politica e, conseguentemente, un aggravamento della crisi delle istituzioni occidentali. Eppure, la democrazia odierna garantisce il relativismo di fattori, cioè l’esistenza delle minoranze, insieme alla loro tutela. Il meccanismo democratico di tipo formale è semplice, appunto, “macchina”: il contenuto sostanziale della democrazia si riversa nell’impianto procedurale solo dall’attività spirituale degli uomini. L’affermazione d’una procedura democratica non implica democrazia; l’affermare che vi sia democrazia non riempie gli individui di spirito democratico; la democrazia non ha essa stessa i mezzi per sopravvivere alle derive che nascono insieme ad essa. Anzi. Individualismo, relativismo, nichilismo non sono scomparsi e il reale pericolo è il loro ulteriore propagarsi e radicarsi negli individui, dato che la società democratica è strutturata per accogliere tali derive e farle proprie. Ciò che può realmente essere democratica è l’educazione: ma questa rischia, ora, di cadere nelle mani di correnti dogmatiche, promotrici di uguaglianza e libertà, ma di per sé liberticide e fonti radicali di disuguaglianza e intolleranza.

Tutti possono dire la propria. Tutti sono informati, tutti ne sanno più di tutti. Notava Nicolás Gómez Dávila

 

« Gli attuali mezzi di comunicazione consentono al cittadino moderno di essere al corrente di tutto senza comprendere nulla. »

 

L’intolleranza postmoderna è figlia anche delle correnti progressiste, promotrici delle nuove Verità rivelate, testimoni del nuovo Vangelo del “peace and love” tra gli uomini, o meglio, tra chi farà parte di quella razza umana futura che sarà indistinguibile: una folla informe e anonima, ma traboccante di libertà e uguaglianza.

 

14 marzo 2019

 









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