L'uomo è in crisi? Solo in parte

 

Mentre da una parte possiamo dire che la crisi è dovuta ai comportamenti dell’uomo, a come l’uomo concepisce la sua esistenza, dall’altra, sotto un’altra accezione, l’uomo è in crisi permanente: la crisi appartiene alla sua essenza. La filosofia problematicista e il suo continuo porsi domande è solo una parte dell’agire dell’uomo: l’altra consiste nel suo vivere e prendere posizione rispetto all’essere.

 

Gustav Klimt, "Morte e vita" (1915)
Gustav Klimt, "Morte e vita" (1915)

 

In qualsiasi ambito in cui siamo impiegati sentiamo parlare di crisi: educazione, economia, politica, religione, nel campo dei valori, della morale, degli affetti. Si potrebbero fare tanti altri esempi e trovare sfaccettature diverse. Ciò che ormai è noto è che siamo in crisi. Non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista spirituale. La depressione è il male del nostro secolo, l’insoddisfazione ci attanaglia.

 

L’uomo è il soggetto della crisi, la crisi è in lui. Mentre da una parte possiamo dire che la crisi è dovuta ai comportamenti dell’uomo, a come l’uomo concepisce la sua esistenza, dall’altra, sotto un’altra accezione, l’uomo è in crisi permanente: la crisi appartiene alla sua essenza.

 

Se l’uomo è sempre in crisi, in quanto cerca di mettersi in discussione per migliorarsi, allora quella che stiamo vivendo è un tipo particolare di crisi, diversa da quella intrinsecamente presente: è crisi dell’immagine dell’uomo. Oggi l’uomo è rimasto senza immagine di se stesso, snaturato: non gli va più bene la forma che si è dato. 

 

Da che cosa deriva questa sfiducia nella propria immagine? Come l’uomo pensa se stesso?

 

La sfiducia è innanzitutto nella capacità della ragione di arrivare al vero. Le verità eterne sono state messe da parte: la ragione ha preteso troppo. Chi ha intenzione di rinvenire le cause della crisi in qualche scienza particolare pecca di presunzione. Se la crisi dell’uomo è la crisi dell’immagine che egli si dà, cioè il suo rapporto con l’essere, allora è necessaria un’indagine di tipo ontologico. Per capire l’esistenza umana è necessario guardare alla totalità: la filosofia assume un ruolo fondamentale.

 

La crisi è metafisica, riguarda il fine ultimo. La rottura è partita dalla mancanza di risposte che la metafisica è stata in grado di dare. La verità non è stata capita, è diventata imposizione. A partire da qui molti pensatori hanno fatto di tutto per cercare di liberarsi da questo giogo, mettendo in discussione la possibilità di conoscere qualcosa di vero. «Chi costruisce è dogmatico, chi non è dogmatico non fa che attaccare i dogmatici» (Gustavo Bontadini, Conversazioni di metafisica I). Hegel può essere considerato uno degli ultimi dogmatici della storia della filosofia: riteneva che ci fossero delle verità immutabili e su queste basava il sistema. Dopo di lui la filosofia ha sentito la necessità di distanziarsi.

 

« L’apparente bancarotta della ragione è la bancarotta delle pretese assolutistiche della ragione e nasce da uno spirito critico. Quanto ai grandi problemi, ancora oggi molti uomini se li pongono, mentre altri dicono che questi conati verso l’enigma sono falliti. » (Gustavo Bontadini, Appunti di filosofia

 

René Magritte, "Le idee chiare" (1955)
René Magritte, "Le idee chiare" (1955)

 

Lo spirito critico ha portato alla sfiducia nelle verità immutabili, non perché queste siano state dimostrate false, ma perché esse non sono state comprese e non hanno saputo dare una risposta soddisfacente. È un passaggio inevitabile quello che stiamo vivendo: la comprensione della verità ha bisogno di una critica radicale per essere capita, per uscirne fuori. Non è sufficiente che Hegel, o chiunque altra persona che voglia prendere una certa posizione rispetto all’essere, dica certe cose perché esse vengano comprese dal mondo: è necessaria la loro approvazione nella realtà. In questo momento ciò che rimane della filosofia non è più la passione per il vero, perché il vero è in questione. La filosofia ha messo in questione se stessa, si è fatta autoproblema.

 

« Se io pongo in questione il problema  ̶  come accadde al riflettersi della filosofia nel modo detto, nel quale altro non si sa della filosofia, se non appunto che essa è problema  ̶  ciò comporta che non si sappia neppure questo poco che pur si dice di sapere (se soltanto lo si sapesse, si sarebbe fuori dal problema): importa, perciò, una contraddizione. » (Ibidem

 

Il punto centrale della filosofia contemporanea è il domandarsi, il continuo farsi domande, il continuo mettersi in crisi. Ciò che è importante non è tanto la risposta, quanto la domanda. Questo atteggiamento è contraddittorio: si può esplicitarlo a parole, ma non riscontrare nella realtà. Il descrivere la filosofia come autoproblema è una risposta, ma questa si contraddice con la definizione di filosofia che si voleva proporre. Semplicemente vivendo il problematicista dà delle risposte, prende una posizione rispetto all’essere, compie un’azione e non un’altra. Ecco quindi che il continuo porsi domande è solo una parte dell’agire dell’uomo: l’altra consiste nel suo vivere e prendere continua posizione rispetto all’essere.

 

« Problemi veri sono quelli che appena posti sono risolti, perché, se davvero posti sono chiariti nei loro termini. Col che però si ha il merito di dire che se ogni problema è soluzione, ogni soluzione è problema; e che se non esistono problemi falsi, tutti i problemi sono leciti; lecite, dirò, tutte quelle domande in cui l’uomo pensa pur qualcosa, cercando di aumentare l’attuale suo patrimonio mentale. Se così non fosse, se la problematicità non esistesse sopra la categoricità  ̶  dico sopra e non senza  ̶  il progresso logico diverrebbe eteronomo, ed  il passo allo scetticismo diverrebbe fatale. » (Gustavo Bontadini, Studi sull’idealismo)

 

 

Se per porre un problema in modo sistematico è necessario definire le relazioni che lo determinano, allora diamo già una prima disposizione all’essere. Questa disposizione sarà la nostra interpretazione della realtà e quindi una nostra risposta al problema. Questa risposta sarà però approssimativa e parziale, perché non saremo riusciti a descrivere l’intero essere nel formulare il problema. Dunque la risposta rimarrà problematica, in quanto non esauriente. A differenza di quello che parte della filosofia contemporanea dice, la risposta c’è e non può non esserci. È necessario darle i giusti connotati e problematizzarla. 

 

La filosofia è continuamente pronta a farsi domande e a darsi delle risposte. Ogni problema ben posto è lecito, perché non fa altro che dare risposta a quella sete dell’uomo di andare sempre oltre. Il progresso logico si nutre della problematicità, perché senza di essa non si darebbe un miglioramento. In questo modo il progresso si nutre del suo stesso processo e non deriva il suo slancio verso il miglioramento da qualcosa di eteronomo.

 

È giusto porre in questione la validità della ragione e dei risultati a cui essa perviene. Nel far questo non si annulla il guadagno della risposta che la ragione si è data, ma semplicemente le si dà una nuova disposizione, si migliora una parte di essa. Siamo in crisi perché non siamo in grado di vedere le risposte che ci vengono fornite, perché tutto ci risulta fluido e problematico. Questa è solo una parte della verità, l’altra è fatta dal percorso della nostra vita, dalle nostre scelte, dalle nostre relazioni: queste sono una continua conferma, un continuo progresso, un continuo miglioramento. 

 

4 novembre 2019

 








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