I liberali hanno cominciato a perseguire il bene pubblico non già come un fine da ottenersi indirettamente riducendo i vincoli alla libertà, ma come un fine da perseguirsi direttamente.
La politica è uno degli ambiti in cui si esplicita l’accettazione passiva dello stabilito. Le domande sulle ragioni profonde e sui limiti della figura del politico non vengono mai poste.
Questo disinteressamento nei confronti dell’arte politica, che si osserva in primis nei suoi protagonisti diretti, non è una novità dell’ultimo secolo.
Herbert Spencer nelle sue due opere Il giusto ruolo del governo (1842) e L’uomo contro lo Stato (1884) ci dà una dimostrazione di come le contraddizioni della politica odierna abbiano un passato riscontro nell’Inghilterra del XIX secolo.
Ecco un esempio della lucidità con cui Spencer espone le aporie della classe politica inglese:
« Prima di decidere quali siano le misure migliori che un corpo legislativo può adottare, è necessario avere una visione ben definita di quali poteri dovrebbero caratterizzare quel corpo; andrebbe compreso fino a che punto possa spingersi rimanendo coerente con la propria natura; andrebbe deciso quel che può e quel che non può fare. E tuttavia, sono pochissimi gli uomini che hanno preso tali questioni nella dovuta considerazione. Quante sono le persone, persino fra le più interessate agli affari della società, che si davvero mai chieste: “C’è qualche limite al campo d’intervento dello Stato? E, se sì, qual è questo limite?” » (Il giusto ruolo del governo)
Prima di legiferare provvedimenti che cambieranno in meglio o in peggio la vita di milioni di persone, sarebbe forse il caso di farsi le domande che Spencer si fa. Chi sostiene che le risposte sui limiti e sulla destinazione del governo siano impliciti al concetto di Stato mostra, attraverso una presunzione di sicurezza, la sua incompetenza.
Come ci si può fidare di un sistema governativo che non esplicita le ragioni della propria esistenza? La legittimità dell’istituzione statale deriva dalla sua capacità di mostrare i motivi del proprio agire. Sul piano individuale qualsiasi uomo deve giustificare le proprie azioni (per esempio in tribunale, al lavoro, etc.), ma quando ci si sposta sul piano più generale dello Stato, questo principio del dare ragioni non viene applicato.
Verrebbe da pensare che tra un ente, come lo Stato, che con le proprie azioni influenza la vita di milioni di persone, e un individuo che con il proprio agire può influenzare al massimo migliaia di persone, sia più sottoposto a restrizioni il primo; eppure nella realtà pare avvenga il contrario.
Questa mancanza di restrizioni nei confronti dello Stato si vede nell’eccessiva interferenza delle leggi governative sulla vita dell’individuo. Un esempio di questo problema ci viene offerto da Spencer nell’analisi della trasformazione dei liberali (Whigs) in conservatori (Tories).
Per capire questo cambiamento bisogna però capire cosa intenda Spencer quando parla dei concetti di liberali e conservatori. Secondo Spencer queste due fazioni politiche rispecchiano due diversi tipi di società antecedentemente presenti:
« Prima ancora che i due partiti prendessero il nome che hanno tuttora, essi rappresentavano due opposti tipi di ordinamento sociale, distinguibili in genere l’uno come il tipo militare, e l’altro come il tipo industriale. Essi erano caratterizzati il primo dal regime di status, pressoché universale nei tempi antichi, e il secondo dal regime di contratto, diffusosi nei tempi moderni. […] Per comprendere il primo sistema, possiamo pensare a un esercito di coscritti, nel quale i singoli membri, a seconda del loro grado, debbono obbedire ai comandi dietro minaccia di morte e ricevono cibo, vestiario e salario attribuiti loro con una decisione arbitraria. Mentre al contrario per comprendere l’altro sistema possiamo pensare a un gruppo di produttori o distributori che concordano ciascuno da parte sua di pagare l’un l’altro certi specifici servizi e che possono, previo debito avviso, abbandonare l’organizzazione qualora non piaccia più loro. » (L’uomo contro lo Stato)
Questa divisione tra i due tipi di società è spesso ricorrente nel pensiero occidentale: da una parte l’antichità e il medioevo con i suoi imperatori e despoti; dall’altra la Rivoluzione Francese, anticipata dalla Glorious Revolution, che portano con sé la nuova idea dell’individuo che non si fa più comandare da qualcuno, ma che comanda se stesso.
Se la recisione è così netta, come è possibile una regressione? Spencer ha visto qualcosa di vero in questo ritorno al conservatorismo? Com’è possibile che qualcuno vada contro l’espressione della libertà del popolo?
A quest’ ultima domanda risponde lo stesso Spencer, mostrandoci il motivo per cui i liberali si sono trasformati in conservatori:
« Che cosa furono i cambiamenti innescati dai liberali in passato? Essi consistettero nell’abolizione dei torti che erano stati inflitti alle persone, o in particolar modo ad alcune di esse. […] E siccome nella mente dei più un male tolto equivale a un bene conseguito, così quelle misure vennero considerate come tanti benefici positivi; e il benessere dei molti parve essere l’obbiettivo del liberalismo. […] I liberali hanno cominciato a perseguire il bene pubblico non già come un fine da ottenersi indirettamente riducendo i vincoli alla libertà, ma come un fine da perseguirsi direttamente. » (Ivi)
L’acutezza di Spencer sta nel rintracciare lo scopo della società industriale nella libertà, invece che nel bene comune. È una distinzione questa che ai nostri occhi sembra inutile: la libertà è infatti considerata a priori come il nostro bene comune; è qui che però si trova la contraddizione che rende possibile la regressione al conservatorismo, che ha individuato Spencer.
Il passaggio dalla società militare a quella industriale è stato un passaggio di sovranità: dalla volontà del singolo o del gruppo più forte, alla volontà del popolo.
« La grande superstizione del passato era il diritto divino dei re. La grande superstizione politica del presente è il diritto divino dei parlamentari […] che l’autorità governativa non deve conoscere limiti, risale ai tempi in cui si credeva che il legislatore avesse un mandato divino; e quella dottrina sopravvive anche se nessuno pensa più che il moderno legislatore abbia un mandato divino. » (Ivi)
Siamo passati da una superstizione all’altra. Superstizione che ci porta a credere dogmaticamente che il bene comune si trovi nel potere della maggioranza.
« Il diritto divino del parlamento significa il diritto divino della maggioranza. L’ipotesi fondamentale, che legislatori e cittadini condividono, è che la maggioranza abbia poteri che non si debbono limitare. Questa è la teoria attuale, che tutti accettano senza bisogno di prove, come fosse una verità di per sé evidente. » (Ivi)
Spencer cerca di superare i problemi derivanti dall’eccessiva interferenza dello Stato, restringendo il potere del parlamento al mantenimento dei diritti naturali dell’uomo. Per l’inglese l’unica giustificazione della creazione della società industriale è il mantenimento dei diritti naturali, che si esplicita nella difesa dalle minacce derivanti dalle popolazioni straniere e dagli attentati alla vita dei propri compatrioti.
Lo Stato moderno, per Spencer, viene inteso come difensore della legge di conservazione degli individui:
« Il concetto dei “diritti naturali” nasce dal riconoscimento di questa verità: se la vita è giustificabile, devono esserlo anche le azioni necessarie alla sua conservazione; e, pertanto, non deve mancare una giustificazione per la libertà e i diritti che rendono possibili tali azioni. » (Ivi)
Il problema della società moderna è il problema della sovranità del popolo. Come ci si può far comandare da qualcuno che rappresenti la volontà popolare e allo stesso tempo abbia, in quanto persona individuale, una volontà propria. Spencer riduce il campo di azione della contraddizione, ma non riesce a superarla.
Con questo non si vuole dire che trovare la soluzione sia facile. La difficoltà di trovare dei nuovi concetti che superino quelli vecchi consiste nella problematicità di trasformare le strutture in cui viviamo. Una difficoltà, quella della forza dei concetti sedimentati, che Spencer conosceva bene e da cui metteva in guardia sé e noi lettori:
« Talune cose di primaria importanza sono spesso date per scontate dalla società. Siccome i nostri avi hanno seguito una certa linea di condotta ‒ per quanto dubbio possa essere il suo criterio, per quanto gravi possano essere le sue conseguenze ‒ di solito capita che le masse seguitino sulla stessa traiettoria, senza mai chiedersi se sia giusto così. L’abitudine ha l’invidiabile potere di condurre a conclusioni certe sulle questioni più complesse senza neppure perderci un momento, di trasformare in assiomi le proposizioni del carattere più dubbio, e di far ignorare verità quasi di per sé evidenti come fossero indegne di considerazione. » (Il giusto ruolo del governo)
14 ottobre 2019
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