Chi sono gli influencer? Le persone che oggi contano? Sì, che contano i loro guadagni nella spirale del consumismo.
di Edoardo Lorenzin
Politica, economia, vita socio-culturale, vita lavorativa: tutto ormai si è trasformato rispetto ad un secolo fa. Se precedentemente nelle menti delle persone veniva prima la loro vita morale o l’educazione dei figli come bisogno essenziale, ora, invece, il desiderio di ognuno si è trasformato nel possedere un qualcosa di materiale che sembrerebbe migliorarci e rendere felici le nostre vite. È noto, accaparrarsi l’ultimo modello di uno smartphone, di un televisore o qualsivoglia novità tecnologica, ma anche essere alla moda nell'abbigliamento, sembra essere divenuto, da desiderio lontano di qualche generazione fa, una vera e propria necessità nelle generazioni del presente; al punto di sentirsi perfino esclusi dalla società in caso contrario.
Una delle tante prove del cambiamento, a prima vista in meglio, della nostra condizione rispetto a poco tempo fa risiede proprio nella pervasività dell'economia e nel mercato. Vivendo in un'epoca in cui i soldi arrivano a sembrare i pilastri portanti della nostra esistenza, senza dei quali non poter far quasi nulla, diventa inevitabile il fatto che l’economia influenzi, e non poco, le nostre scelte. Si è traslati dalla condizione del “più mi dura meglio è” alla condizione del “quando esce il prossimo modello?”. Questa nostra trasformazione è dovuta tuttavia al fatto che l’economia è stata caratterizzata da una trasformazione di non poco conto, che l’ha portata dalla vendita di prodotti a lungo termine a prodotti a breve, se non brevissimo, termine. Quante volte si è sentito dire “le vecchie cose durano ancora oggi di più di quelle nuove”? E ancora più sconcertante è il fatto che il far durare il meno possibile le cose per spingere una persona a comprare quella nuova è stata proprio una scelta voluta e non casuale. Siamo più inevitabilmente spinti a comprare sempre nuovi beni continuando ad alimentare il mercato capitalista e delle multinazionali.
È vero, sì, che l’economia ha mutato il nostro modo di vivere con la nota epoca del consumismo, ma è anche vero che tale modus vivendi non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un notevole numero di persone a crederci e, di conseguenza, a promuovere questa mentalità, creando così una ideologia collettiva atta a sostenere l’idea di fondo. Come possiamo quindi uscire da questo corrotto circolo vizioso in cui viviamo? C’è ben poco da sperare di poter migliorare questa condizione fintantoché tutto ciò con cui noi stiamo a contatto, ogni singolo giorno della nostra esistenza, sia basato su questo sistema. Solo qualche generazione fa viveva in un mondo in cui vigeva la regola del “più si lavora più si viene pagati”, se in qualche modo si contribuiva a creare del valore per la società. Tutto questo sembra essere del tutto scomparso nel giro di pochi decenni dall’inizio del secolo. Ora esistono multinazionali a livello globale di cui ormai nessuno riesce a fare a meno. Basti pensare ad uno dei motori di ricerca più ambiti e diffusi al mondo: Google. Oggi chiunque abbia in tasca un cellulare difficilmente non sarà collegato al mondo online di Internet. Ciò che in realtà lo rende così diffuso è che ormai questa multinazionale ha un capitale talmente elevato che la rende in grado di controllare quasi tutto: il web e ogni altro tipo di possibile metodo di ricerca. Ma ogni mentalità per poter esistere deve avere un buon gruppo di persone che la sostengono: vale nondimeno per questa stessa multinazionale. Infatti Google non esisterebbe ancora oggi se non fosse per tutti noi che la utilizziamo per cercare ogni tipologia di informazioni che ci serve in un dato momento. Avremmo potuto pretendere che chiunque avesse utilizzato anche per un piccolo istante il motore di ricerca, avrebbe anche ricevuto una parte di capitale che si ritrova la multinazionale, poiché, seppure in minima parte, si sta contribuendo a creare valore per questo colosso economico. Tuttavia, sebbene questa proposta sia stata avanzata da alcuni, essa non è mai stata considerata seriamente e tutto ciò che viene guadagnato, anche e soprattutto grazie a noi, non ci viene ripagato nemmeno in minima parte. E ciò non fa che contribuire all’aumento della voragine di differenza di capitale delle persone, nonché una mal distribuzione di valore, rendendo sempre più complicato risolvere questo problema da noi alimentato, benché da noi criticato.
Diretta conseguenza che sta prendendo piede in questi tempi della crescita a dismisura delle multinazionali è la nascita di professioni lavorative che si basano proprio sull’influenzare gli altri a favore di esse. Sempre più spesso girovagando in rete possiamo notare un numero sempre maggiore di news in cui compaiono due termini all’interno dello stesso titolo di notizia: marketing e influencer. Questo perché uno dei nuovi metodi di guadagno per le multinazionali è proprio quello di possedere delle figure in ambito lavorativo che facciano pubblicità e che sponsorizzino la propria figura nel mondo commerciale. Proprio da qui deriva la nascita delle figure dette degli “influencer”: individui che possiedono delle capacità di mezzi per poter influenzare un notevole numero di persone condizionandone le scelte a livello d’acquisto di beni materiali. Sebbene il numero degli influencer sembri essere sempre in crescita, al punto da rappresentare quasi la via più ovvia per il futuro dell’economia di marketing, il loro potere di influenzare sta diminuendo in modo inversamente proporzionale alla diffusione di tale professione, anche se tutto ciò non limita affatto il loro continuo e sproporzionato guadagno. Il loro continuo crescere in numero di presenze sui social network è dovuto dal fatto che il mercato oramai si è fuso con il potere della sponsorizzazione e della pubblicità dei beni materiali. Tuttavia questo loro incremento di presenza ha come contro-risultato il fatto che, essendo ormai molti prodotti accompagnati da una persona che li pubblicizza o sponsorizza, le persone comuni finiscono col non far più caso e non dar più grande importanza agli influencer, come invece poteva accadere nel primo periodo di diffusione di questa attività. Questo purtroppo però non toglie loro la possibilità di guadagnare somme anche elevate; un fatto criticato dai più, sebbene si tenti di imitare queste figure con la speranza di guadagnare allo stesso modo. Ed è proprio questo il problema di fondo del marketing moderno: l’ignoranza della mal distribuzione di capitale e la concentrazione sull’individualistica possibilità di guadagno. Le figure degli influencer possono quindi in maniera perfetta ed esemplificativa mostrare l’enorme divario di guadagno nella nostra odierna società consumistica. Se dal punto di vista consumistico essi svolgono al meglio il loro arduo compito, dal punto di vista del valore e della giustizia di distribuzione di capitale è esattamente il contrario. Infatti gli influencer non fanno che alimentare il marketing e il mercato a breve termine spingendo le persone, grazie alla loro enorme popolarità, a comprare compulsivamente degli oggetti materiali. Esempio paradigmatico è il successo da primo posto in classifica di questi giorni del docu-film di Chiara Ferragni e del libro di Giulia De Lellis, due note influencer del momento. A trainare il loro successo è semplicemente l’immagine che hanno creato su loro stesse, a dimostrazione di quanto oggi ci si faccia abbagliare dalla popolarità, trascurando l’aspetto che invece dovrebbe veramente contare: la sostanza delle cose. Paradossalmente, l'autrice del libro ha rivelato con orgoglio di non aver mai letto un libro in vita sua.
Sebbene la capacità di influenza di queste figure sia diminuita con il passare del tempo, il loro ruolo ha assunto un rilievo nell'immaginario della quotidianità, conducendo ad un punto in cui, se prima erano gli influencer ad avere bisogno dell’economia del marketing per inserirsi nel mondo del lavoro, ora è la stessa economia che rischia di non poter prosperare senza queste figure che pubblicizzano beni nel mondo del web e dei social.
24 settembre 2019