La lettura di Yuval Noah Harari è un viaggio nella storia dell’umanità che giunge fino alle questioni del nostro vivere odierno e, quindi, futuro.
Yuval Noah Harari, autore dei bestseller Sapiens. Da animali a dei (2014) e Homo deus. Breve storia del futuro (2017), tradotti in quarantacinque paesi e venduti per un totale di copie che supera i dodici milioni, insegna presso il dipartimento di storia della Hebrew University di Gerusalemme. Lo stesso Bill Gates ha consigliato 21 Lezioni per il XXI secolo (2018), il suo ultimo libro, come uno dei cinque testi da leggere nel 2019. Ma qual è il motivo del successo di Yuval Noah Harari?
Definire un profilo completo e sistematico dell’autore è opera ardua, perché è anzitutto difficile riscontrare una vera e propria tesi “unitaria” sostenuta da parte del professore israeliano, ma si rimane piuttosto stupiti dall’originalità della sua ricerca, sovente accompagnata da una pragmatica ironia e da varie accuse di semplicismo. La lettura di Harari è un viaggio nella storia dell’umanità che giunge fino ai giorni odierni e che si interessa anche del futuro. Il suo sguardo sull’avvenire fa dell’autore un pessimista, ma non nel senso di una scelta esistenziale, quanto di una consapevolezza causata da quell’aspirazione alla completezza tipica di uno storico.
L’intero corpus delle sue opere muove da una constatazione: l’uomo è l’unico essere vivente in grado di immaginare e ciò ha fatto sì che diventasse ciò che attualmente è. Nel corso della sua millenaria vicenda, l’uomo è passato da una condizione in cui era, oltreché vittima, in competizione con gli altri animali e l’ambiente circostante, a una condizione in cui è lui stesso il dominatore. Vediamo dunque in che senso Harari titola L’animale che diventò un dio la postfazione di Sapiens.
Sapiens. Da animali a dei
Circa tredici miliardi di anni fa, materia, energia, tempo e spazio scaturirono da quello che è noto come il Big Bang.
Circa trecentomila anni dopo la loro comparsa, materia ed energia cominciarono a fondersi in complesse strutture chiamate atomi, che poi si combinarono a formare le molecole.
Circa tre miliardi e ottocento milioni di anni fa, su un pianeta chiamato Terra, certe molecole si combinarono venendo a formare strutture particolarmente articolate e complesse chiamate organismi.
Circa settantamila anni fa, gli organismi appartenenti alla specie Homo sapiens sono stati protagonisti di quello che nell’antropologia, nell’archeologia e nella sociologia è stato definito il “grande balzo in avanti”: la rivoluzione cognitiva.
Animali molto simili agli umani moderni comparvero per la prima volta intorno a due milioni e mezzo di anni fa e per innumerevoli generazioni non si distinsero dalla miriade di organismi con cui spartivano il loro habitat, ma settantamila anni fa Homo sapiens fu protagonista di un cambiamento che segnerà per sempre la sua specie.
Non si conosce con precisione da che cosa fu determinata la Rivoluzione cognitiva. La teoria più diffusa sostiene che accidentali mutazioni genetiche modificarono le connessioni neuronali del cervello dei Sapiens, consentendogli di pensare in forme prima inesistenti e di comunicare usando nuovi tipi di linguaggio, ma capire le conseguenze di tale mutazione è più importante di ricostruirne le cause.
In quel periodo che va da settantamila ai trentamila anni fa, l’uomo sviluppò la capacità di trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto. Leggende, miti, dèi e religioni comparvero per la prima volta con la Rivoluzione cognitiva e diventarono il tratto più esclusivo del linguaggio sapiens.
La finzione non solo diede ai Sapiens la capacità di immaginare, ma di poterlo fare collettivamente. L’uomo diventò capace di intessere miti condivisi come quelli della storia biblica della creazione, quelli sul Tempo del Sogno elaborati dagli aborigeni australiani e quelli nazionalisti degli stati moderni. Questi miti conferirono all’ uomo la capacità senza precedenti di cooperare in maniera flessibile e in comunità formate da moltissimi individui, superando il suo stesso limite precedente di convivenza (150 individui).
Come ha fatto Homo Sapiens ad attraversare questa soglia critica, arrivando a fondare città con decine di migliaia di abitanti e poi imperi che governavano centinaia di milioni di persone? Il segreto sta probabilmente nella finzione. Grandi numeri di estranei riescono a cooperare con successo se credono in miti comuni. Nell’universo non esistono dèi, non esistono nazioni, né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nell’immaginazione comune. Ciò che si fatica a capire è che le stesse istituzioni moderne funzionano sugli stessi presupposti.
Dall’inizio della Rivoluzione cognitiva Homo sapiens ha dunque vissuto una realtà duale. Da un lato, la realtà oggettiva; dall’altra, la realtà immaginata di dèi, nazioni e società per azioni.
Diecimila anni fa, l’uomo comincia a dedicarsi alla coltivazione e all’allevamento di animali. Per due milioni e mezzo di anni gli umani si sono nutriti raccogliendo piante e cacciando animali che vivevano e crescevano senza il loro intervento. Diecimila anni fa, i Sapiens cominciarono a dedicare quasi tutto il loro tempo e le loro energie a manipolare l’esistenza di poche specie di animali e di piante. Come si legge in Sapiens, la Rivoluzione agricola è da considerarsi come “la più grande impostura della storia”, poiché, se certamente accrebbe la quantità di cibo disponibile, al tempo stesso non si tradusse in una dieta migliore o in una vita più comoda. Paradossalmente, tutta una serie di miglioramenti, ciascuno dei quali avrebbe dovuto rendere la vita più facile, finì per trasformarsi in una sorta di enorme fardello posto intorno al collo di questi agricoltori. Forse non fu la ricerca di una vita più semplice a produrre tale trasformazione. Forse i Sapiens avevano altre aspirazioni, e per raggiungerle scelsero con consapevolezza di complicarsi l’esistenza. Sta qui l’essenza della Rivoluzione agricola: la capacità di mantenere in vita più gente in condizioni peggiori.
Lo sviluppo dell’attività agricola ebbe conseguenze di vasta portata. Costituì le fondamenta dei sistemi politici e sociali di larga scala. Purtroppo i contadini diligenti quasi mai riuscivano a conquistare la sicurezza economica da loro tanto bramata mentre lavoravano duramente. Si imposero, ovunque, governanti o élite che li privavano del cibo da loro stessi prodotto, lasciandoli con il minimo indispensabile per sopravvivere.
Queste eccedenze di cibo sequestrato alimentarono la politica, la guerra, l’arte e la filosofia. Con esse furono costruiti palazzi, fortezze, monumenti e templi. La storia è stata determinata da pochissime persone, mentre tutti gli altri aravano i campi e portavano i secchi d’acqua.
Le eccedenze di scorte alimentari prodotte dai contadini, insieme alle nuove tecnologie di trasporto, fecero sì che un numero sempre maggiore di persone vivesse insieme: dapprima in grandi villaggi, poi in cittadine, e infine in città vere e proprie, tutte collegate fra loro da nuovi regni e da nuove reti commerciali.
Tutte queste reti di cooperazione, dalle città dell’antica Mesopotamia agli imperi come quello cinese o romano, si fondavano su un’idea di “ordine immaginario costituito”. Le norme sociali che le sostenevano non si basavano né su istinti radicati né su relazioni personali, ma su un comune credo in miti condivisi.
Gli umani hanno cercato di comprendere l’universo almeno a partire dalla cosiddetta “rivoluzione cognitiva”. I nostri antenati dedicarono molto tempo e fatica al tentativo di scoprire le regole che governano il mondo naturale. Ma cinquecento anni fa nasce la scienza moderna, che differisce da tutte le precedenti tradizioni della conoscenza sotto tre aspetti fondamentali:
- La disponibilità ad ammettere l’ignoranza. La scienza moderna ammette che non tutto è conosciuto e che quello che si è convinti di conoscere potrebbe rivelarsi falso;
- La centralità dell’osservazione e della matematica. La scienza moderna raccoglie osservazioni e usa strumenti matematici per collegare tali osservazioni entro teorie generali più vaste;
- L’acquisizione di nuovi poteri. La scienza moderna non si accontenta di creare teorie, ma usa quest’ultime per acquisire nuove capacità e in particolare per sviluppare nuove tecnologie. Con Francis Bacon nel Novum Organum, la teoria si unisce alla prassi e si auspica non solo a conoscere, ma a creare la vita.
L’assunto per cui l’uomo non conosce ogni cosa e che tutte le conoscenze sono provvisorie, si estende ai miti condivisi che consentono a milioni di individui fra loro estranei di cooperare efficientemente. Se le prove dimostrano che molti di questi miti sono dubbi, come si può tenere unità la società? Come possono funzionare le comunità, le varie nazioni e il sistema internazionale?
Uno degli elementi che ha consentito agli ordini sociali moderni di resistere è la diffusione di una fede pressoché religiosa nella tecnologia e nei metodi della ricerca scientifica, che ha sostituito in certa misura la fede nelle verità assolute. Oggi l’uomo è in grado di trascendere i limiti del pianeta Terra, le armi atomiche minacciano la sopravvivenza dell’umanità e gli organismi sono sempre più modellati dalla ingegnerizzazione artificiale più che dalla selezione naturale. Ma che dire di domani?
Homo deus. Breve storia del futuro
Homo Deus, pubblicato tre anni dopo Sapiens, non è altro che il tentativo di cercar di rispondere alla domanda aperta nella prima opera, attraverso una capillare ricerca sull’odierno, composta di tanti esempi riportati nel testo stesso.
Harari muove dalla considerazione che l’uomo è arrivato a un punto tale da non risentire più dell’impatto delle carestie, delle pestilenze e, in parte, delle guerre. La modernità ha portato con sé una grande rivoluzione di tipo umanista, una caesura epistemologica che ha spostato il nostro orizzonte di senso dal piano cosmico universale all’uomo stesso. Con l’umanesimo e la modernità, è stato sacralizzato tutto ciò che è umano. La rivoluzione tecnologica ha permesso e sta permettendo di poter realizzare tutto ciò che si desidera, ma che limite porle? Questo stesso strumento creato dall’uomo sta minando le basi dell’umanesimo stesso. È possibile immaginarsi un modo in cui non vi sia più l’uomo al centro?
Secondo l’autore, la moderna indagine interna alla mente sta persino sgretolando il perno del programma liberale, secondo cui noi siamo dotati di “libero arbitrio”. L’arbitrio non è altro che il finale di una equazione composta di processi deterministici e causali che si presentano come desiderio di un qualcosa che a noi si presenta come un ordine. Siamo realmente consapevoli solo della parte finale del nostro processo di scelta, ma questo “volere” è determinato; non ha alcuna spontaneità originaria.
I processi nel campo dell’intelligenza artificiale (AI) e delle biotecnologie renderanno sempre più superflui molti esseri umani, sia nell’economia, sia come componenti di quegli eserciti nazionali che assieme agli eserciti della produzione hanno fatto da base per il moderno liberalismo degli stati nazionali. In quest’opera si minaccia la nascita di una grande “classe inutile” senza più alcun valore economico, politico e persino artistico, a giudicare dalle performance di recenti software che sono in grado di pensare melodie e scrivere poesie. Oltre ai canali sociali, al divertimento e all’intrattenimento, vi è anche la seducente promessa che la tecnologia sarà in grado di proteggerci e curarci meglio di quanto noi stessi potremmo fare.
Il mondo sta cambiando in modo più veloce che mai e si è sommersi da quantitativi impossibili di dati, di idee, di promesse e di minacce. Gli umani stanno cedendo autorità al libero mercato, alla saggezza delle masse e agli algoritmi esterni proprio perché non si è più in grado di affrontare il diluvio di dati. In passato, la censura operava bloccando il flusso di informazioni. Nel XXI secolo si è circondati di informazioni irrilevanti. Nei tempi antichi deteneva il potere chi aveva accesso alle informazioni. Oggi avere potere significa sapere che cosa ignorare. Su che cosa bisogna concentrarsi?
Se si riflette in termini di mesi, con ogni probabilità, bisognerebbe concentrarsi su problemi immediati, come i disordini che sconvolgono il Medio Oriente, la crisi dei rifugiati in Europa e il rallentamento dell’economia cinese. Se si pensa in termini di decenni, allora il riscaldamento globale, la crescente disuguaglianza e la disgregazione del mercato del lavoro si profileranno all’orizzonte in maniera minacciosa. Tuttavia, se si vuole guardare allo sviluppo della vita in maniera ambiziosa e lungimirante, tutti gli altri problemi e cambiamenti saranno messi in ombra da tre processi interconnessi:
- La scienza sta convergendo verso un dogma onnicomprensivo, che sostiene che gli organismi sono algoritmi e la vita è un processo di elaborazione dati;
- L’intelligenza si sta affrancando dalla consapevolezza;
- Algoritmi non coscienti e inconsapevoli ma dotati di grande intelligenza potranno presto conoscerci meglio di quanto conosciamo noi stessi.
Questi tre problemi sollevano tre questioni chiave che costituiscono il nucleo fondamentale di questo libro:
- Gli organismi sono davvero soltanto algoritmi, e la vita è davvero soltanto elaborazione dati?
- Che cos’è più importante: l’intelligenza o la consapevolezza?
- Che cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci domineranno?
21 Lezioni per il XXI secolo
21 Lezioni per il XXI secolo è l’ultima opera del giovane professore universitario israeliano e se le precedenti si occupavano rispettivamente di passato (Sapiens. Da animali a dei) e di futuro (Homo deus. Breve storia del futuro), quest’ultimo saggio è una guida attraverso il presente. Secondo l’interpretazione di Harari l’uomo si trova davanti a tre elementi fondamentali:
- il cambiamento climatico;
- la rivoluzione tecnologica (in particolare l’ascesa dell’intelligenza artificiale e della biotecnologia);
- la guerra nucleare.
Tutte queste minacce non possono essere fronteggiate dai sistemi politici attuali né da quelli passati. Qualsiasi soluzione per questi elementi richiede necessariamente una cooperazione globale. Ma il nazionalismo, la religione e la cultura dividono l’umanità in parti ostili e rendono molto difficile una collaborazione a livello globale.
Al contrario dei suoi lavori precedenti si sente in questo saggio una certa urgenza mossa dalla constatazione di una situazione nei confronti della quale è necessario prendere una decisione. Il genere umano sta perdendo la fede nella narrazione liberale, che ha dominato la politica globale degli ultimi decenni, proprio quando la convergenza delle tecnologie biologiche e informatiche ci mette di fronte a una delle più grandi sfide che l’umanità abbia mai affrontato. Al tempo stesso, la società moderna ha un problema di tipo ecologico davanti a cui è difficile far emergere la verità. Nel 2018, invece di assistere a una diminuzione nelle emissioni di gas serra, si è assistito a un incremento. Il riscaldamento globale, essendo interpretato dai governanti come un concetto vago, è ignorato, per quanto sia più pericoloso di una guerra globale. Nelle isole Kiribati, in Oceania, la popolazione si sta già spostando verso l’interno, perché l’Oceano sta letteralmente prendendosi i loro villaggi. In Florida, le strade si inondano completamente anche durante delle normali giornate di sole.
Come poter vivere in un’epoca di disorientamento quando le vecchie narrazioni sono andate in frantumi e non ne sono emerse di nuove per sostituirle? La distinzione fra realtà e finzione è uno dei principi cardini del pensiero di Harari ed è necessario riconoscere questi appena elencati come dati di fatto e, dopo averne preso consapevolezza, cogliere la maggior convenienza di una narrazione (seppur finzionale) che non vada verso la chiusura, ma piuttosto verso una totale collaborazione, proprio per poter far fronte a una sfida (questa volta) reale.
15 settembre 2019
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