L'impronta umana sull'ecosistema si sta rivelando sempre più grande con l'approfondirsi delle ricerche e comincia a farsi strada l'idea che sia effettivamente necesserio considerare un nuovo corso nella storia millenaria della Terra, in cui essa è protagonista: l'Antropocene.
L’Impero Romano, la Guerra dei Cent’anni, la Rivoluzione Francese, la Prima Guerra Mondiale, anche la Seconda probabilmente: potrebbero essere eventi non più di storia antica, o moderna, nemmeno più contemporanea, di qui a qualche anno. Tutto dipenderà dalla decisione di una commissione di scienziati che avranno il compito di stabilire se siamo entrati effettivamente nella nuova epoca geologica chiamata Antropocene, l’epoca umana, e in che anno porre questo limite. Sarebbe davvero curioso essere una generazione di passaggio tra due epoche geologiche, dal momento che in poche hanno avuto questo privilegio, e lo sarebbe ancora di più esserne la causa.
L’epoca in cui viviamo oggi si chiama Olocene e il suo inizio è stato fissato in corrispondenza di una variazione repentina delle quantità relative dei diversi atomi di ossigeno negli oceani e nei ghiacciai, in quanto caratteristica evidente e osservabile in tutto il mondo nei sedimenti che risalgono a circa 11700 anni fa circa. Tale variazione è stata la conseguenza di un cambiamento climatico molto importante, il quale portò in centinaia di anni, che per comodità indichiamo con una data, ad un ritiro drastico dei ghiacciai e di risposta ad un innalzamento del livello marino imponente.
In realtà sono molte le volte che il limite tra una cronozona – questo il termine generale per indicare un periodo di tempo – e l’altra coincide con uno sconvolgimento del clima, poiché esso condiziona a livello globale gli aspetti che poi sono osservabili fisicamente. Dato che in questo modo è possibile riconoscerlo più o meno ovunque sulla superficie terrestre, risulta essere un ottimo principio comune a tutta la comunità scientifica.
Infatti, ciò che consideriamo tempo, quindi ere e epoche, corrisponde in realtà a porzioni di roccia o sedimenti che si sono formati in quella porzione di tempo, in modo più o meno discontinuo, ed è proprio in quelle successioni di materia “povera” e inanimata, o anche nelle masse glaciali ai poli, che possono essere riconosciuti tali limiti. In più, i caratteri propri di ciascuno di questi limiti devono essere talmente pervasivi da distinguersi chiaramente all’interno di rocce distanti anche migliaia di chilometri ma ovviamente contemporanee; dove queste altro non sono che il reperto, per noi del ventunesimo secolo, di quelli che una volta erano ambienti diversi: spiagge, fiumi, valli, deserti, zone montuose, ma soprattutto, lagune, fondali oceanici, fondali marini, dove più di frequente si trovano indizi sulla situazione climatica ed ecologica di milioni di anni fa. Per porre una separazione temporale all’interno di una successione rocciosa in modo ufficiale è necessario che questa si correli in modo ineludibile con la stessa presente a chilometri di distanza.
Tutta questa spiegazione per far emergere la complicata questione di stabilire un limite per un’era geologica, quindi anche per l’Antropocene, che ancora oggi è niente più che un neologismo, piuttosto che qualcosa di riconosciuto. Dati i presupposti c’è ancora molta ricerca da intraprendere per arrivare ad una soluzione di comune accordo nello stabilire le caratteristiche di questa nuova epoca ed il suo inizio ma già oggi è possibile ragionare su una peculiarità che la caratterizza: per la prima volta nella storia del pianeta una specie vivente, ossia l’homo sapiens sapiens, potrebbe essere la causa scatenante di un cambiamento osservabile a scala mondiale.
A monte di tutti i cambiamenti drastici, che come detto prima vengono riconosciuti nel record geologico, c’erano sempre stati vulcani, con immissioni di milioni di metri cubi di gas e cenere nell’atmosfera di mezzo pianeta Terra con tragiche estinzioni di massa (come quella famossissima dei dinosauri avvenuta circa 75 milioni di anni fa), continenti in movimento che si univano e si smembravano con l’insorgere di nuovi oceani, e infine cicli solari che da sempre causano instabilità climatiche. Il tempo della Terra e i suoi equilibri erano e sono scanditi da forze dalla potenza inarrestabile, a cui la vita nella sua totalità si è sempre adattata in modo neutrale, essendone favorita o rimanendone lesa gravemente, risultando al netto la parte che subisce passivamente o agisce attivamente in ambiti ristretti e comunque in conseguenza a cambiamenti di più grande portata.
Le cose non sono cambiate, le eruzioni continuano ad alterare la chimica dell’atmosfera ed il clima, i cicli solari continuano ad influenzare l’energia del pianeta, ma assieme a loro, forse ad una scala temporale più ridotta, si inserisce la specie umana, generando cambiamenti comunque globali. Anche per questo motivo la comunità scientifica si ritrova a interrogarsi di continuo sui fattori-causa di questi cambiamenti, che risultano essere terribilmente intrecciati gli uni con gli altri in una catena di concause ed effetti tipici di un ecosistema, che è la dimensione all’interno della quale si trova ad agire l’uomo e ad avere per forza di cose un ripercussioni.
Per rendersene conto bisognerebbe essere delle enciclopedie umane, data la vastità dei fronti su cui l’uomo si ritrova ad operare con innumerevoli problematiche, molte ancora da scoprire e altre in valutazione; c'è però un posto a Bologna dove in una giornata si può avere gran parte di esse sotto gli occhi, e rendersi conto della maestosità di questo cambiamento. La mostra è intitolata Anthropocene ed è aperta fino al 5 gennaio 2020. Essa si ispira all’omonimo lungometraggio realizzato dalle riprese e interviste di Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier e Edward Burtynsky, il terzo di una trilogia che ha come titoli precedenti Manufactured Landscapes e Watermark, realizzati anch’essi dai tre reporter.
La mostra si struttura tra la proiezione a orari fissi di questo documentario e cinque padiglioni di esposizione in cui le sue scene vengono riproposte in foto di grandi dimensioni ad altissima risoluzione, nelle quali si possono distinguere le figure umane all’interno di un’intera baraccopoli. Ciò che appare in queste immagini è un territorio profondamente segnato dalle attività umane di estrazione, di raffinazione di prodotti chimici, di coltura, di allevamento, di urbanizzazione e così via; la differenza è che la prospettiva è vastissima e in una sola occhiata si può abbracciare nella sua interezza la condizione reale di alcune aree del nostro pianeta, realizzando il significato di ciò che gli scienziati stanno dicendo da anni, obbiettivamente con scarsi risultati sull’attenzione dell’umanità. In fondo questa prospettiva è quella che manca all’uomo e che egli cerca ogni giorno per poter allontanare i suoi orizzonti e automaticamente comprendere all’interno della sua limitata dimensione spaziale e temporale ciò che da essi viene superato.
La suggestione, la stessa che Seneca tramanda nel Somnium Scipioniis, è ciò che si genera dalla consapevolezza di ciò che non si poteva immaginare, ed è esattamente ciò che quelle foto di miniere, favelas, impianti petrolchimici, foreste, oceani e piantagioni suscitano. Porsi ad una scala sovraumana permette di capire veramente l’impatto che una moltitudine di entità, anch’essa sovrumana, sta generando da anni, al pari di forze che scaturiscono da energie indefinitamente più grandi di quella generata dall’essere umano.
Quel limite nei sedimenti non ci serve solo per completezza scientifica, settoriale, ma soprattutto per progredire in uno stato di autocoscienza del genere umano successivo.
18 settembre 2019
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