Nei periodi di crisi e difficoltà si creano sentimenti di malessere, frustrazione, paura e odio che l’uomo cerca di espiare attribuendo le proprie responsabilità e le colpe della società in direzione di una vittima, un capro espiatorio.
di Davide Zambon
La violenza è un carattere tipico dell’uomo, riscontrabile in diversa misura in ogni società, cultura ed epoca. Da sempre centrale nella regolazione delle interazioni e dei comportamenti umani, è possibile ritrovarla anche in altre specie animali, e la sua origine è riconducibile a un istinto di difesa e autoconservazione. Diversamente dagli altri esseri viventi, la violenza, amplificata dal desiderio di vendetta, assume nell’uomo una ferocia e brutalità ben maggiore, trasformandosi da un meccanismo di protezione a uno strumento di possibile autolesione inconsapevole. L’origine di questa condizione è individuata da Thomas Hobbes nel Leviatano: «E perciò, se due uomini desiderano la stessa cosa, e tuttavia non possono entrambi goderla, diventano nemici, e sulla via del loro fine si sforzano di distruggersi o di sottomettersi l’un l’altro». Come conseguenza Hobbes individua una situazione di bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti), senza vinti né vincitori: «In tale condizione […] v’è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve». Il filosofo inglese individua come soluzione la stipulazione di un contratto sociale, mediante il quale le persone rinuncino a una parte dei loro diritti per assicurarsi alcuni benefici, ovvero la protezione dalle azioni degli altri. Tuttavia, osservando il corso della storia, è possibile notare come leggi e istituzioni non siano mai riuscite a placare in maniera sufficiente l’odio e la rivalità tra le persone, che tendono a volere più di quello che hanno. A ciò si aggiunge il fatto che la stipulazione di una pace non implica la fine definitiva della guerra. Rancore e rabbia inespressa confluiscono nel desiderio di vendetta, alimentata anche dagli innumerevoli torti e offese subiti. Tale sentimento non può essere indirizzato senza ritorsioni all’intera società. Si vengono quindi a formare alleanze che polarizzano sempre più potenziali avversari, uniti dal comune obiettivo di riversare su qualcuno odio e rabbia. Si passa dal tutti contro tutti al tutti contro uno e la violenza collettiva si scaglia su un’unica vittima, il capro espiatorio.
L’origine del termine capro espiatorio è riconducibile a un antico rito ebraico nel quale un sacerdote caricava tutti i peccati del popolo in un capro, che era poi mandato via nel deserto. Mediante questo rituale gli ebrei avevano la possibilità di espiare i propri peccati riversandoli su una vittima sacrificale. Un’analoga trasmissione dei mali tramite una cerimonia religiosa era praticata anche da molte altre comunità, tra cui Babilonesi, Assiri e Greci.
Pharmakos era il nome dell’antico rituale greco che prevedeva la cacciata di una o due persone dalla città per salvare la comunità da situazioni difficili come la fame, la siccità o la peste. Per esempio, ad Atene, una volta l’anno durante le feste Targelie in onore del dio Apollo, una coppia di persone era espulsa per purificare la città. Questo rituale religioso, proprio come molti altri, era una forma di catarsi sociale e di allontanamento dei mali.
Oltre alle testimonianze storiche, anche i miti greci hanno un ruolo centrale nell’esplicazione del meccanismo del capro espiatorio e nel rendere evidente come questa concezione fosse radicata nella religione e nella cultura dell’epoca. Sono molti i riferimenti a sacrifici attuati per placare l’ira degli dèi in seguito a determinate colpe di cui si è macchiata la comunità. Probabilmente, il sacrificio di Ifigenia per consentire la partenza della flotta greca alla volta di Troia rappresenta l’esempio più significativo e drammatico di questo processo. Secondo il mito, Agamennone fece sacrificare sua figlia Ifigenia per placare l’ira della dea Artemide, offesa dall’uccisione di una cerva per opera dello stesso capo della spedizione greca. Il rito sacrificale aveva quindi la funzione di trasferire le colpe di Agamennone sulla figlia e, attraverso la sua uccisione, le offese arrecate alla dea della caccia sarebbero state espiate. Pratiche riconducibili al meccanismo del capro espiatorio e analoghi rituali religiosi non rimanevano confinati alla mitologia: essi erano ampiamente praticati e accettati nelle società pagane, assumendo spesso un carattere inviolabile e spirituale. La religione aveva proprio il compito di fornire una giustificazione a questo rito, garantendo la sua sacralità e assicurando il mantenimento della violenza all’esterno della comunità.
Una delle tante religioni in cui è centrale il tema del capro espiatorio è il cristianesimo. In questo caso però, la vittima, Gesù, non viene presentata come un colpevole sacrificabile, ma come un innocente. Il suo sacrificio, divenuto per molti oggetto di culto, ha contribuito a rendere evidente la natura fallace e fittizia dell’individuazione di una vittima, rendendo possibile un passo in avanti verso una nuova consapevolezza. Tuttavia, all’interno della stessa religione cristiana, non mancano gli esempi di capro espiatorio. Il mito di Adamo ed Eva e la conseguente cacciata dal paradiso terrestre forniscono il pretesto necessario per individuare un colpevole per tutti i mali, peccati e atrocità commessi dagli uomini. Fu proprio Eva che si fece ingannare dal serpente, mangiò il frutto proibito e lo offrì a Adamo, condannando l’umanità ad eterne sofferenze: Eva e tutte le donne furono incolpate per secoli di essere la causa del peccato originale. Sin dalla sua origine la Chiesa ha cercato di sminuire e condannare la figura della donna, non solo considerandola inferiore all’uomo, ma anche accusandola di essere portatrice di sciagure e disgrazie, come nel caso della caccia alle streghe. Sebbene questa mentalità misogina si sia attenuata sempre più a partire dalla fine del Medioevo, forse nemmeno oggi la Chiesa cattolica è arrivata a considerare un rapporto di piena uguaglianza tra uomini e donne, conservando ancora l’influenza del mito di Adamo ed Eva.
Analizzando la storia delle società umane, è possibile individuare alcune caratteristiche peculiari del capro espiatorio:
deve essere sacrificabile, ovvero la sua morte non deve innescare un circolo vizioso di violenza e vendetta;
non è necessario alla sopravvivenza del gruppo;
appartiene alla comunità, ma vive ai suoi estremi: molte volte è di rango sociale elevato, come un sovrano o un politico, oppure vive in condizioni misere nei bassifondi della società;
deve poter ricevere la violenza di tutti in modo che nessuno si senta un assassino.
Il fenomeno del capro espiatorio interessa da vicino tutte le società umane, recenti e antiche, più o meno sviluppate. È possibile notare che in molti casi le vittime non sono singoli individui, bensì un popolo, una classe, un’etnia o un gruppo di persone con particolari caratteristiche distintive. Un esempio noto consiste nella persecuzione dei cristiani attuata dall’imperatore Nerone in seguito al tragico incendio che nel 64 d.C. distrusse gran parte della città di Roma. Durante tutto il Medioevo violenze, persecuzioni e ingiustizie verso determinati gruppi di persone erano all’ordine del giorno. Ad ogni evento inconsueto o avverso, come la scomparsa di un bambino o il prolungarsi di un periodo di siccità, veniva individuata una vittima che potesse svolgere il ruolo di colpevole, ricoperto solitamente da streghe, eretici e soprattutto ebrei. Proprio gli ebrei rappresentavano l’esempio perfetto di capro espiatorio: già ritenuti colpevoli di aver crocefisso Gesù, risultava semplice e immediato accusarli di numerosi eventi e crimini di cui non si conosceva la causa. Solitamente la comunità ebraica era bandita o privata dei propri beni, ma poteva anche accadere che la violenza collettiva trovasse spazio nei pogrom, durante i quali erano commessi terribili atrocità verso i cittadini ebrei. Anche i periodi successivi conservarono una tendenza oppressiva e carica di violenza nei confronti degli ebrei, fornendo con la loro persecuzione una soluzione per conflitti, difficoltà e problemi che non si aveva la forza o la volontà di risolvere in altro modo. La Shoah rappresenta l’apice di una serie di ingiustizie e maltrattamenti subiti da questa popolazione.
L’individuazione di una vittima come capro espiatorio appare come un processo di negazione della realtà e ricerca del consenso. Il soggetto individuato non deve necessariamente essere colpevole o coinvolto nella vicenda in questione: non è il responsabile che si cerca, bensì una vittima. L’odio e il rancore che porta dentro di sé la popolazione, causati dalle debolezze e frustrazioni proprie e altrui, non hanno bisogno di prove per essere placati. Le accuse sono più che sufficienti per incriminare qualcuno poiché l’obiettivo è la vendetta, non un processo equo e corretto. Come suggerisce lo studioso di religioni e culture Renè Girard nel saggio La violenza e il sacro, «qualsiasi comunità in preda alla violenza o oppressa da qualche disastro al quale è incapace di porre rimedio si getta volentieri in una caccia cieca al “capro espiatorio”. Istintivamente, si cerca un rimedio immediato e violento alla violenza insopportabile». La verità viene quindi accantonata per la difficoltà nel trovare il responsabile, oppure perché non c’è alcun colpevole. Molte volte, infatti, malessere e disagi collettivi vanno ricercati in profondità, scavando fino alle basi su cui si fonda la società. Ecco che, per non uscire dal proprio ordine mentale e per non stravolgere quel complesso di convinzioni e abitudini che regolano la vita quotidiana, la soluzione più semplice e veloce, ma altrettanto sbrigativa, falsa e corrotta, consiste nell’individuazione di un capro espiatorio.
L’individuazione di un colpevole designato è sintomo della presenza di crisi interne e problemi irrisolti. Proprio come nel passato, anche nel presente non mancano le difficoltà, e il meccanismo del capro espiatorio risulta essere una soluzione efficace in molti casi. Sacrifici, stragi e rappresaglie rappresentano un comportamento inconsueto e quasi debellato, ma ignoranza e maltrattamenti sono all’ordine del giorno. L’odio verso gli immigrati e gli stranieri è una soluzione rapida e illusoria di fronte ai problemi che affliggono la società e all’incapacità di fornire una risposta adeguata. La situazione è aggravata da una classe politica che molte volte, con atteggiamenti populisti e complottisti, alimenta frustrazioni e sentimenti collettivi, trovandone rimedio nella critica a quelle persone diverse ed estranee che alimentano diffidenza, ostilità e paura. La costruzione del muro tra Stati Uniti e Messico e la chiusura nei confronti dei mercati cinesi da parte di Trump, o i discorsi anti immigratori e accusatori di Salvini, rappresentano l’esempio di come si preferisca risolvere una questione complessa deviandola altrove piuttosto che con gli obblighi e con i doveri che la realtà dei fatti impone. L’incapacità di pensare in grande e di analizzare le informazioni con una prospettiva più ampia e profonda impediscono alla popolazione di uscire da un vortice di ignoranza e violenza. Non si riesce a individuare la vera causa di scontentezza e insoddisfazione, le quali vengono riversate su banali frustrazioni momentanee.
Rispetto al passato oggi possediamo un’arma in più, ovvero la possibilità di arrivare alla verità più facilmente. Tuttavia, con la diffusione dei nuovi media, ignoranza e false notizie sono sempre in agguato, riportando solo gli aspetti che più incutono timore e diffidenza. In molti vedono negli immigrati la paura che si prova quando si entra in contatto con qualcosa di diverso che sfugge alla comprensione e con cui non si ha ancora avuto esperienza: usi, costumi e culture differenti possono destabilizzare il piccolo mondo di idee e convinzioni di molti, causando sospetti e perplessità. Per trattare in modo ragionevole la questione dell’immigrazione bisogna considerare anche gli aspetti positivi e non soffermarsi su un “sentire di pancia” banale e superficiale. Soprattutto in Italia gli immigrati rappresentano una risorsa per arginare il problema dell’invecchiamento della popolazione, oltre al fatto che le tasse pagate annualmente in Italia dagli immigrati sono superiori rispetto alla spesa pubblica per l’immigrazione. Vedere il mondo con una prospettiva più ampia unito a una maggiore informazione permettono di considerare gli stranieri non come un problema ma come una risorsa, e di non attribuire colpe e responsabilità a persone innocenti. Molte volte i mali a cui una società cerca di trovare rimedio provengono dall’interno e non dall’esterno: una scarsa crescita economica e la mancata mobilità sociale devono essere analizzate nell’ottica di un sistema in cui sono in vigore privilegi, assenza di merito, pensioni d’oro e corruzione. Per non commettere gli errori del passato e ricadere nel meccanismo del capro espiatorio è necessario intraprendere un dibattito politico e culturale che metta in primo piano valori come la collaborazione, l’uguaglianza, l’apertura e la pace.
31 agosto 2020
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