L'umanità: tra monotonia e continua innovazione

 

La storia dell’uomo è il racconto dei problemi che lo affliggono, problemi che, nonostante gli oltre 200.000 anni trascorsi dalla comparsa dell’Homo sapiens, sono presenti tutt’oggi nella nostra vita quotidiana e di cui fatichiamo a liberarci.

 

di Carim Tanase e Mihaela Marin

 

C.D. Friedrich, “Le bianche scogliere di Rügen” (1818), particolare
C.D. Friedrich, “Le bianche scogliere di Rügen” (1818), particolare

 

Età classica, medioevo, rinascimento, barocco, illuminismo, romanticismo, positivismo e decadentismo: la storia è piena di queste continue alternanze tra periodi di luce e periodi bui che hanno dato vita ad un’affermazione che tutti abbiamo sentito dire almeno una volta: «la storia si ripete».

La stessa apertura di un testo dalla grande portata innovativa e rivoluzionaria quale il Manifesto del partito comunista (1848) di Karl Marx ed Friedrich Engels presenta la ridondanza dei problemi sociali nello scorrere del tempo:

 

« La storia di ogni società esistita fino a questo momento è la storia di lotte di classe.

Libero e schiavo, patrizio e plebeo,barone e servo della gleba, mastro artigiano e garzone, per farla breve oppressori e oppressi si sono sempre trovati in contrasto tra loro, hanno condotto uno scontro incessante, talvolta nascosto e talvolta palese; uno scontro che si è sempre concluso o con un mutamento rivoluzionario dell’intera società o con la rovina comune delle classi che combattevano. »

 

Ma la storia dell’umanità è veramente così monotona come quel detto vorrebbe far credere o c’è forse qualcos'altro di nascosto che ci appare meno chiaro?

Se analizziamo nuovamente le parole del Manifesto con la visione progressista di Karl Marx possiamo notare una cosa: i protagonisti di questo scontro non sono mai gli stessi, assumono di volta in volta nomi diversi e, soprattutto, condizioni diverse; guadagnando, pian piano, dei diritti che precedentemente non erano riconosciuti. Se poi cerchiamo di analizzare ulteriormente il fenomeno della lotta sociale e vogliamo trasferirlo ai giorni nostri, ecco che possiamo accorgerci che i problemi di razzismo e di lotta tra ricchi e poveri del nostro sistema capitalistico fanno riferimento agli stessi princìpi delle varie lotte tra classi presentate da Marx. Quindi nuovamente il dubbio: semplice ripetizione o cambiamento intrinseco?

 

Per poter rispondere in modo più chiaro a questa domanda passiamo ad analizzare due tra i periodi più famosi della storia: l’illuminismo e il romanticismo, in apparenza completamente diversi ma in realtà strettamente collegati tra loro.

L’illuminismo è uno di quei periodi considerati di luce di cui si è accennato precedentemente: questo grazie all’avvento di importanti innovazioni tecnologiche e una serie di scoperte scientifiche di grandissima importanza. Da tutto ciò derivò una grande fiducia nella ragione umana ma anche l’abbandono di grandi ideali sui quali le società precedenti si erano basate e che divennero ora una sorta di tabù: un esempio lampante è il progressivo abbandono della religione, dovuto anche all’atteggiamento dogmatico e conservatore che la Chiesa andava manifestando.

 

Tutto ciò portò ad avere una nuova visione sul ruolo e sull’importanza dell’uomo, che sfociò nella nascita di un movimento volto a scoprire e considerare inviolabili i diritti umani, di cui già si era sentita l’importanza nel passato: Ugo Grozio, prima, con il suo Sul diritto della guerra e della pace del 1625, e Thomas Hobbes, poi, con il suo Leviatano del 1651, erano arrivati a capire la differenza tra un pericoloso stato “naturale” di guerra e un più sicuro e fecondo stato sociale, reso possibile dall’esistenza di alcune “leggi fondamentali”, trovate e concordate sulla base di un contratto sociale.

 

« Durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La guerra, infatti, non consiste solo nella battaglia o nell’atto del combattere, ma in un tratto di tempo in cui è conosciuta la volontà di contendere. La natura della guerra non consiste nel combattimento effettivo, ma nella disposizione verso di esso. »

 

« In tale condizione non c’è posto per l’industria, per la cultura della terra o per la navigazione, perché il frutto di esse è incerto [...]. V’è continuo timore e pericolo di morte e la vita dell’uomo è misera, sgradevole e breve. » (T. Hobbes, Leviatano, XIII)

 

D’altra parte però l'abbandono di alcuni ideali fondamentali, propri appunto della religione, comportò anche l’abbandono delle risposte che questi avevano fornito a grandi quesiti esistenziali (quali ad esempio la nostra reale esistenza o l’esistenza di una verità inconfutabile), che, rimanendo irrisolti, avrebbero comportato la perdita della validità della tanto celebrata ragione umana e di ogni altro principio. 

 

È così che il mondo illuminista cominciò ad entrare in crisi di fronte a domande molto antiche, le cui soluzioni precedentemente trovate si erano dimostrate errate o incomplete. Verso la fine dell'illuminismo alcuni grandi pensatori riuscirono a superare le barriere ideologiche che si erano venute a creare, cercando di riprendere i vecchi valori alla luce delle nuove scoperte: è il caso del grande Immanuel Kant che, con le sue Critiche cercò di trovare un diverso accesso all'esistenza di Dio e agli ideali di moralità e libertà, seguendo un ragionamento diverso dai precedenti, in quanto costituito non più da qualcosa di esterno ed inarrivabile per l’uomo, bensì da qualcosa che in esso stesso risiede, la volontà e il suo imperativo categorico. Ciononostante le sue Critiche contribuirono notevolmente ad erodere il tempio della tradizione.

 

H. Robert, “La Grande Galleria del Louvre” (1976)
H. Robert, “La Grande Galleria del Louvre” (1976)

 

A causa dei problemi cui la ragione illuministica era giunta, prese vita così un nuovo movimento culturale molto complesso: il romanticismo, uno dei periodi ritenuti “bui” che ci permette di entrare nel vivo delle nostre riflessioni. Possiamo infatti dire che questo movimento si spaccò in due. Da un lato vi erano quei romantici defibili “irrazionali” che si abbandonarono alla malinconia che l’assenza di risposte portava con sé: questi dichiaravano di odiare l’illuminismo e l’astrattezza della ragione e preferivano dare libero sfogo alle tempestose emozioni umane, rimaste per troppo tempo all’ombra della ragione. Dall’altro un gruppo di romantici che provarono ad unire gli obiettivi dell’illuminismo a questi nuovi bisogni emotivi di cui si sentiva una grande necessità poiché erano stati marchiati come tabù e repressi dagli illuministi.

Possiamo notare come il primo gruppo rispecchi il problema «la storia si ripete» poiché commette un errore analogo a quello degli illuministi, ripudiando una parte importante della sfera umana: la ragione, la razionalità.

Il secondo gruppo, invece, rappresenta la parte produttiva e la soluzione al nostro quesito: mentre molti commettono sempre gli stessi errori, i migliori pensatori riescono a vedere oltre, cogliendo un filo conduttore nell’intera storia del genere umano, volto a trovare delle risposte e ad eliminare, passo dopo passo, quei problemi che ci affliggono da sempre ma che percepiamo soltanto nella loro forma esteriore, e non nei loro princìpi più profondi.

 

Tra questi romantici ve ne furono molti che cercarono di aiutare anche i più malinconici “irrazionali”: in particolare spicca il nome di Johann Wolfgang von Goethe, con il suo capolavoro I dolori del giovane Werther, in cui viene presentata la storia di un ragazzo tormentato da una storia d’amore fallita, sopraffatto dalle sue emozioni fino a giungere al suicidio. Il giovane Werther rappresenta lo stile di vita del primo gruppo di romantici: infatti Goethe a questi ultimi vuole mostrare  a quale brutale fine porti un uso sconsiderato (irrazionale) delle passioni, che invece dovrebbero, a suo avviso, accompagnarsi alla ragione per portare ad una felicità duratura.

 

Inoltre non mancano anche pesanti critiche alla società capitalistica, che proprio nell’800 romantico stava prendendo pieno potere, accusata di essere una delle cause primarie per cui l’uomo fatica a trovare fiducia e una condizione adeguata per poter affrontare in modo produttivo i grandi interrogativi che lo separano dalla felicità.

In un passo, il giovane Werther, in un momento di debolezza, si vede privato dell’amicizia del suo conte e di una giovane donna a lui vicino a causa di alcune spietate usanze basate sulla sola possibilità di guadagno – uno scandalo per le passioni –, che impedivano la possibilità di frequentare persone da cui non fosse possibile trarre profitto pecuniario.

Questo distacco, che possiamo ritrovare anche nella nostra società contemporanea quando ci toglie il tempo del piacere riducendo tutto a puro lavoro, fece scemare le ultime speranze del giovane, lanciandolo verso un vortice di tempestose emozioni incontrollate che culmina in un triste suicidio.

 

Altro grandissimo autore del romanticismo che si accorse di questa divisione e che cercò di richiamare all’ordine gli irrazionali fu Giacomo Leopardi, il quale venerava la grandezza della cultura classica ormai perduta ma allo stesso tempo riuscì a superare questa malinconia di impronta neoclassica e ad acquisire una grande fiducia nella possibilità di un futuro prospero. Questa visione positiva però contrastava nettamente con la decadenza della sua contemporaneità: per questo Leopardi assunse un tono molto acceso, quasi aggressivo, nei confronti della sua società, persa tra il desiderio di guadagno e una cupa e improduttiva malinconia.

Un esempio è fornito dalla satira I nuovi credenti, in cui egli critica gli intellettuali napoletani, che godevano di una felicità teatrale, solo apparente. A detta di Leopardi, questi non rispondevano ai problemi che sorgevano o alle domande che venivano poste con delle attente ed esaurienti riflessioni, ma si limitavano ad esaltare la bellezza dei “maccheroni” e della felicità, apparente, che essi producevano.

 

« Ranieri mio, le carte ove l’umana / Vita esprimer tentai, con Salomone / Lei chiamando, qual soglio, acerba e vana, / Spiaccion dal Lavinaio al Chiatamone, / Da Tarsia, da Sant’Elmo insino al Molo / [...] e in breve accesa / D’un concorde voler tutta in mio danno / S’arma Napoli a gara alla difesa / De’ maccheroni suoi; ch'ai maccheroni / Anteposto il morir, troppo le pesa. / E comprender non sa, quando son buoni. »

 

Cercando di fornire una risposta che superi sia la felicità superficiale “dei maccheroni”, sia la malinconia nata dalla consapevolezza dei limiti umani, Leopardi, similmente a quanto aveva proposto Kant, ripropose un’unione tra il sapere nuovo e antico, che consenta di pensare ad un ideale fondato sulla ragione, quella ragione che pure mostra come illusorio l'edificio della tradizione.

 

Possiamo vedere come le tesi di Goethe e Leopardi riprendano princìpi del romanticismo, ma anche dell’illuminismo e di periodi precedenti, rielaborandoli in un’unica formula: ciononostante essi si trovano ad affrontare problemi molto simili a quelli precedenti, come la lotta al sistema capitalistico, che rappresenta la forma moderna dei conflitti sociali. In questo nuovo caso però si colgono alcune importanti novità, legate alle condizioni di vita ritenute ormai necessarie da tutta la popolazione e a obiettivi comuni – ne sono prove la diffusione del diritto alla libertà, la nascita di parlamenti che limitano il potere dei sovrani o di sindacati del lavoro che cercano di impedire abusi di potere e di assicurare la protezione del popolo –, che sono il frutto di tutto il procedimento precedente della consapevolezza umana e che mostrano come non ci sia una semplice ripetizione del problema ma un suo ripresentarsi sotto una forma sempre più ristretta.

 

Inoltre la divisione dei romantici permette di cogliere un’ulteriore differenza: quella tra i diversi tipi di atteggiamento assunti nell’affrontare un generico problema. Di fronte ad una difficoltà l’uomo può assumere un atteggiamento malinconico di resa, abbandonando le speranze e cercando di assecondare qualsiasi proprio istinto per poter ottenere anche la più breve ed infima percezione di felicità. Questo è il caso dei romantici irrazionali, che, di fronte alle problematiche presentate dalla ricerca dell’illuminismo, si sono rifugiati in un odio e in un comportamento pericoloso che non ha fornito alcuna possibilità di soluzione al problema.

 

L’altra tipologia di approccio, che è invece più produttivo, consiste in una consapevolezza dell’esistenza di un processo evolutivo che porta ad avere una visione fiduciosa e volta alla ricerca di miglioramento, anche se magari piccolo.

 

G. Leopardi (1798-1837)
G. Leopardi (1798-1837)

 

Anche lo scrittore francese Gustave Flaubert si rese conto dell’esistenza di queste due sfumature del romanticismo, strettamente legate alla nuova società capitalistica e ne trattò all’interno del suo romanzo Madame Bovary, pubblicato nel 1856. Nonostante l’autore fosse abituato ad usare uno stile realistico/naturalistico non riuscì a staccarsi completamente da quei temi romantici che trovano grande spazio nelle sue opere e con i quali era cresciuto. Molteplici sono i temi affrontati: l’incapacità di comunicazione, l’ardua corsa verso l’affermazione sociale, la fuga dalla realtà e l’impotenza della donna, che creano un affresco senza precedenti della società ottocentesca. L’opera, nonostante al tempo fosse stata considerata “superficiale”, ha sempre dimostrato una grande modernità ed attualità.

La protagonista Emma Bovary è una donna apparentemente egoista e pronta a tutto pur di ottenere il soddisfacimento dei propri bisogni, ma si dimostra in realtà essere piena di ideali, come quello del vero amore, che contrastano con le abitudini della sua società. La tenacia e la fiducia con cui la signora prova a raggiungerli la fanno rientrare nel secondo gruppo di romantici; purtroppo però le condizioni in cui viveva non le permisero di raggiungere i suoi obiettivi: le sue origini e la sua posizione sociale non le permettevano di ricevere ascolto e inoltre era stata costretta a sposare un uomo, Charles Bovary, che non amava e che, al contrario di lei, incarnava quell’atteggiamento più rassegnato tipico del primo gruppo di romantici. Egli, succube di una vita passiva (il lavoro di medico scelto per bisogno e non per passione, il matrimonio combinato con Emma), finì per perdere la ragione, cadendo in una tempesta emotiva che lo condusse al suicidio. La stessa sorte era toccata poco prima anche alla moglie che, esausta per la sua continua ricerca e oppressa dalla sua società che la ostacolava continuamente, crollò in una depressione mortale.

Con questo romanzo,quindi, Flaubert volle mettere in rilievo i due tipi di comportamento che si possono adottare nell’affrontare una situazione difficile e soprattutto volle criticare la società del lusso, che arriva a distruggere anche le persone con le speranze più nobili poiché costituisce «il mondo in cui le relazioni sono dominate dal denaro, dalla merce-denaro, dove i rapporti umani diventano mercificati anonimi», come commenta Roberto Alonge nella sua introduzione ad un’altra grande opera: Casa di bambola, il grande testo teatrale di Henrik Ibsen, scritto nel 1879. In quest'opera viene presentato lo stesso problema esposto da Flaubert: la società borghese e i suoi metodi. I problemi in primo piano sono gli stessi: la mancanza di comunicazione, l’avidità e il completo disinteresse verso il prossimo, l’interesse per il solo denaro. A cambiare è solamente l’obiettivo della protagonista, Nora, non più interessata a trovare il vero amore ma la libertà e l’emancipazione femminile; d’altronde com’è possibile cercare il vero amore se prima non si fugge da una società in cui l’amore non esiste?

 

« NORA: ho altri doveri che sono altrettanto sacri.

HELMER: non è vero. Che doveri potrebbero essere?

NORA: i doveri verso me stessa.

HELMER: in primo luogo sei moglie e madre.

NORA: non lo credo più. Credo d’essere prima di tutto una creatura umana al pari di te… o almeno voglio tentare di diventarlo. So bene, Torvald, che il mondo darà ragione a te e che qualcosa di simile si legge nei libri. Ma ciò che dice il mondo e ciò che si legge nei libri non può essere norma per me. Io stessa devo riflettere per vederci chiaro nelle cose. » (Henrik Ibsen, Casa di bambola)

 

Importante è notare come, in una società così problematica, Madame Bovary e Nora rappresentino il punto di svolta, la rivoluzione da cui parte quel cambiamento che ci permette di raggiungere un “piccolo” miglioramento e di confutare la ripetizione della storia.

 

G.W.F. Hegel (1770-1831)
G.W.F. Hegel (1770-1831)

 

Un’altra grande personalità si era resa conto di questi diversi comportamenti nell’affrontare i problemi, quella di George Wilhelm Friedrich Hegel, che ne ricavò una visione positiva della storia dell’umanità. Hegel studiò questi due comportamenti analizzando il tipo di conoscenza a cui essi portano: il primo metodo (quello degli “irrazionali”) consiste in una conoscenza immediata, altrimenti detta finita, poiché si accontenta di quelle nozioni che riesce ad apprendere “immediatamente”, senza interrogarsi ulteriormente sulla loro natura. Questa conoscenza porta inevitabilmente a scontrarsi contro delle questioni irrisolte, a cui la sua immediatezza non permette di rispondere ed è in questo che è costituito il suo carattere “finito”.

Il secondo comportamento consiste in una conoscenza mediata, poiché presuppone necessariamente il dubitare, il continuo interrogarsi. Ogni nozione che viene rilevata da un evento è immediatamente scomposta ed analizzata, in un processo che cerca di mostrare i nessi concettuali di tutti gli avvenimenti, cercando così di comprendere più di quanto sia possibile con la sola percezione istantanea dell’avvenimento isolatamente.

 

« L’essenza della certezza resta, sì, il puro essere, ma non come l’immediato, bensì come qualcosa cui sono essenziali la negazione e la mediazione. Non si tratta quindi dell’essere che opiniamo, ma dell’essere con la determinazione dell’astrazione, dell’universalità pura. » (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, 1807)

 

Una volta esaminata l’esistenza di questi due possibili comportamenti e le conclusioni cui essi portano, Hegel mise in rilievo un ulteriore passaggio: il miglioramento delle condizioni è inevitabile. Per spiegare questa sua conclusione formulò l'espressione «potenza del negativo»: chiunque cerchi di risolvere un problema è costretto a dubitare ed ad interrogarsi, acquisendo una conoscenza mediata sempre più completa ed esauriente; questo però vale anche per quelle persone che, con il loro comportamento, si dimostrino ostili a ciò, abbandonandosi appunto ad una conoscenza immediata e vuota. Infatti, queste persone, ritrovandosi periodicamente ad affrontare lo stesso problema, sono anch’esse costrette a negare la loro vecchia tesi e a cercare di formularne una nuova e più completa. Questa teoria viene espressa mediante uno dei passi più famosi di Hegel: «Tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale», con cui non si vuol intendere che tutto ciò che accade è giusto o che sia la soluzione migliore, bensì che tutto ciò che accade rappresenta il livello più alto di conoscenza e di giustizia a cui ognuno di noi è arrivato, questo proprio perché, a causa della «potenza del negativo», ognuno di noi è costretto a mettere in pratica la migliore delle teorie che ha formulato. Ad esempio, un imperatore, dopo aver compreso che uno strapotere esagerato porta alla creazione di insurrezioni del popolo e allo scoppio di guerre civili, è costretto a migliorare le condizioni di vita dei suoi sudditi anche se il suo scopo rimanesse quello di godere di quanto più potere possibile. Dunque, per quanto possano essere ancora presenti ideologie e obiettivi negativi nella mente degli uomini, l’unico modo in cui essi possano essere messi in pratica e permanere è il divenire sempre più nobili e altruisti: devono trasfigurarsi e diventare così altro da quel che erano. Per questo motivo che le condizioni in cui viviamo migliorano continuamente.

 

« La particolarità per sé, in quanto appagamento onnilaterale dei propri bisogni, dell’arbitrio accidentale e del capriccio soggettivo, nei suoi godimenti distrugge se stessa e il proprio concetto sostanziale. [...]

In quanto cittadini di questo stato, gli individui sono persone private che hanno per loro fine il proprio interesse. Poiché questo fine è mediato dall’universale, il quale universale appare loro quindi come mezzo, ecco che il fine può essere da loro raggiunto solo misura in cui gli individui stessi determinano in maniera universale il loro sapere, volere e fare, rendendosi così ciascuno un anello della catena di questo contesto […] In questa dipendenza e reciprocità del lavoro dell’appagamento dei bisogni, l’egoismo soggettivo si trasforma in contributo per l’appagamento dei bisogni di tutti gli altri. » (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821)

 

Dunque, la monotonia apparente della storia è in realtà il continuo ripresentarsi dei problemi che da sempre affliggono la nostra società e che vengono debellati a poco a poco in un continuo processo di miglioramento perpetuo ma parziale, fino a che l’intero genere umano arriverà inevitabilmente a capirne i princìpi più nascosti e pericolosi, giungendo così ad un grande miglioramento.

 

10 settembre 2020

 




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