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All’interno di una società è osservabile un “sentimento sociale” che pervade ogni membro della comunità. Esso si identifica come quella tendenza umana che spinge l’individuo a fare di sé parte integrante di una comunità collettiva. Tale processo è essenzialmente oppressivo, in quanto porta il singolo a sacrificare i suoi pensieri particolari in favore della volontà dell’intera società. Un’analisi di questa irresistibile forza viene svolta dalla filosofa francese Simone Weil.
di Federico Ragazzi
Al fine di questa analisi, la Weil si affida a una metafora antica, ovvero all’immagine del “grosso animale” presente nel libro VI della Repubblica di Platone. Il filosofo ateniese utilizzò questa immagine per differenziare l’azione politico-sociale del vero filosofo, ricercatore della verità e, per questo, unico possibile governatore della polis “veramente giusta”, dall’azione di alcuni sofisti – rivali per eccellenza di Socrate e Platone – i quali, attraverso la retorica, prediligono l’“opinione dei molti” sull’opinione individuale. Il sofista, per Platone, «non educa con princìpi diversi da quelli che seguono i più, princìpi che formulano nelle varie loro riunioni; e questa la chiama sapienza». I sofisti si rifanno alla doxa e, quindi, a tutto ciò che è “sociale”, subordinando la volontà del singolo a quella della collettività.
È in questo contesto che Platone presenta dunque la metafora del “grosso animale”:
« Un caso simile sarebbe quello di chi avesse studiato attentamente le furie e gli appetiti di un grosso animale da lui allevato: come bisogna avvicinarglisi e dove toccarlo, le occasioni e i motivi che lo rendono molto riottoso o assai docile, […] e a queste nozioni desse il nome di sapienza e, come se avesse costituito un’arte, si mettesse a insegnare, anche se è in verità completamente ignaro di quello che queste opinioni hanno di bello o brutto, di buono o cattivo, di giusto o ingiusto; e tutti questi nomi egli usasse attenendosi alle opinioni del bestione […] » (Platone, La Repubblica, VI, 493, b-c)
I sofisti, dunque, dopo aver studiato a lungo le cause dei piaceri e dei dolori del “grosso animale”, trascrivono i loro risultati in un trattato e, senza porsi alcun dubbio sulla validità morale di questi, insegnano ai loro apprendisti queste presunte conoscenze.
Tanto quanto i “falsi filosofi” dell’antica Grecia sacrificavano la loro visione particolare, in favore della volontà sociale, così oggi l’uomo ha questa tendenza a subordinare la propria singolarità alla collettività. Il “grosso animale” rappresenta la metafora di ciò che è “sociale” e che subordina ogni azione individuale. Le opinioni di questa “bestia sociale” non sono comunque sempre contrarie alla nostra volontà, ma si formano casualmente. Si rivela quindi necessario riconoscere la difficoltà nel discernere se una nostra azione viene svolta al seguito della nostra volontà o di quella della bestia sociale. In ogni caso, le opinioni del “sociale” devono essere trattate con diffidenza, per la loro natura repressiva nei confronti dell’individuo.
Simone Weil sottolinea la natura oppressiva di ciò che è “sociale” affermando che «di fatto, tutto ciò che contribuisce alla nostra educazione consiste esclusivamente in cose […] approvate dal grosso animale» (S. Weil, Dio in Platone). La morale in società coincide con l’educazione e quest’ultima è offerta da chi detiene il potere sulla massa. La massa può successivamente legiferare e governare il sistema sociale ma, essendo educata e guidata dalla morale del “grosso animale”, non potrà che rimanere in ogni caso sottomessa ad esso. In tal modo viene garantita l’omologazione di tutti gli individui e il livellamento di qualsiasi opinione critica. La morale sociale, che agisce su tutti gli individui della società, definisce inoltre il paradigma del “prestigio sociale”. Esso, data la casualità della morale del grosso animale, risulta essere mendace e ingannevole, ma funzionale agli appetiti della società, poiché nessun individuo, ricercando il prestigio, può sottrarsi alla volontà della collettività. Le idee omologate dei membri della società sono così diventate, attraverso l’educazione, la prima forma di coercizione sociale e, dunque, di oppressione. Per esso ogni individuo diventa legittimamente sacrificabile, in favore di un interesse sedicente collettivo, il quale in realtà non è che un mezzo per il proprio sostentamento.
La Weil evidenzia inoltre l’aspetto dogmatico e idolatrico del “grosso animale”, il quale viene recepito come nuova divinità alla quale subordinare ogni pensiero o azione. La filosofa francese vuole in questo modo criticare coloro i quali misurano la validità delle proprie opinioni attraverso la comparazione con i pensieri della maggioranza degli individui. Ne deriva quindi che l’attestazione di un sistema sociale libero si debba fondare, per Weil, nella possibilità per il singolo individuo di utilizzare il proprio spirito critico. Al contrario l’arma più letale posseduta da un sistema totalitario coincide con il conformismo e dunque con un livellamento dello spirito critico del singolo, una uniformazione e abbattimento della specificità che, in nome di un’appartenenza al collettivo, rende l’individuo estraneo al sistema delle colpe e delle imputabilità.
28 agosto 2020