In un clima già surreale per l’epidemia di Covid-19 che ha colpito il mondo intero, le proteste scoppiate in America per l’ennesimo caso di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, terminato in tragedia, hanno trasmesso una forte critica al razzismo e alle discriminazioni che da secoli interessano il Paese ma, allo stesso tempo, hanno rivelato la fragilità e le contraddizioni negli ideali di molti manifestanti.
di Roberto Simioni
Le forze dell’ordine statunitensi, ben note alla cronaca per i metodi repressivi di arresto e per gli abusi di potere, sono protagoniste ogni anno di innumerevoli casi di violenza fisica e psicologica che colpiscono soprattutto le comunità afroamericane e sudamericane del Paese. L’atteggiamento violento della polizia nei confronti delle minoranze culturali avviene in un contesto culturale e sociale in cui il razzismo e le discriminazioni nelle istituzioni economiche e politiche sono ancora radicate nella società dopo la schiavitù della popolazione africana iniziata nel XVII secolo e terminata nel 1865 con il XIII emendamento alla costituzione voluto da Abramo Lincoln. Alcuni dati indicano che la polizia americana avrebbe commesso, tra il 2017 e il 2018, ben 2.311 omicidi e che il tasso di uccisioni di afroamericani sarebbe tre volte superiore a quello dei bianchi. Delle vittime di colore oltre il 40% erano disarmate, mentre delle vittime della comunità bianca solo il 14%. La cosa più sconcertante è che la maggior parte dei casi per omicidio che riguardano agenti della polizia vengono archiviati senza sospensioni o condanne nei confronti dei responsabili che, sentendosi protetti dal sistema, continuano ad agire in modo violento ed immorale.
In una situazione già complicata per la diffusione del Covid-19, l’ennesimo caso di violenza della polizia che ha portato alla morte, nel pomeriggio di lunedì 25 maggio, dell’afroamericano di 46 anni George Perry Floyd, ha costituito la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’uomo, nato a Houston, dopo essere stato segnalato da un negoziante per aver pagato con una presunta banconota falsa, è stato fermato dalle autorità all'incrocio tra la 38ª strada e Chicago Avenue a Minneapolis, in Minnesota. George Floyd, in preda all’ansia, alla claustrofobia e con una pistola puntata alla testa, avrebbe rifiutato di entrare nella macchina della polizia. Nonostante l’uomo fosse disarmato e poco aggressivo, l’agente Derek Chauvin ha eseguito una manovra di bloccaggio, tenendolo a terra con il ginocchio premuto sul collo. George entra in crisi respiratoria ma le sue suppliche, unite a quelle dei passanti che si erano fermati a guardare la scena, non riescono a smuovere il poliziotto, che solamente 8 minuti e 46 secondi dopo, si rialza lasciando ai paramedici il corpo dell’uomo ormai privo di vita.
L’episodio, ripreso dalle telecamere e da alcuni testimoni, è stato postato nei social diventando subito virale e scatenando sgomento ed indignazione in tutti gli Stati Uniti. Migliaia di persone si sono riversate sulle strade per protestare contro la violenza della polizia e le discriminazioni razziali. Una protesta pacifica che ha preso nella figura di George Floyd e nella sua frase «I can’t breathe» un motivo per combattere contro l’ignoranza, il dolore ed il disagio provocato dal razzismo e dalle disuguaglianze. L’idea di considerare il proprio popolo superiore rispetto agli altri è stata propria della maggior parte delle comunità createsi nel corso della storia ed ha portato alla schiavitù, alle discriminazioni, ai genocidi e ad altre mostruosità che oggi non solo leggiamo nei libri di storia, ma che viviamo direttamente sulla nostra pelle. Basti pensare ai cori e agli “ululati” dei tifosi durante le competizioni sportive, agli episodi di bullismo nelle scuole e nelle strade che coinvolgono le minoranze etniche e agli svantaggi nel mondo del lavoro per gli stranieri o per le donne. Comportamenti dettati dall’ignoranza delle persone e non condannati sufficientemente dagli organi giudiziari, nonostante siano anticostituzionali. È la grande contraddizione della società americana, che da sempre si professa come patria della democrazia e della libertà ma che, invece, è il centro di un estremo capitalismo, dove il popolo è schiavo delle multinazionali e dove la legge di fatto non è uguale per tutti.
La protesta è un modo per esprimere un’opinione o un disagio che condividiamo con altre persone e che non viene sufficientemente ascoltato, al fine di ottenere ciò che pensiamo possa essere un bene. È una richiesta di attenzione e di dialogo che serve a dimostrare al governo che una situazione, una legge o un decreto stanno danneggiando parte della popolazione. In una situazione in cui vengono minati i diritti inalienabili dell’uomo, come quelli alla vita e alla libertà, è giusto che le persone si riversino a migliaia nelle strade a protestare. Ci sono voluti millenni di storia e due guerre mondiali per arrivare a scrivere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma alcune idee e tradizioni radicate nelle varie popolazioni appartengono ancora alla storia recente e hanno quindi un diverso grado di comprensione della storia. Questo, insieme ad una scarsa scolarizzazione di molti Paesi nel mondo, contribuisce a tenere in vita il fenomeno del razzismo. L’influenza di alcune tradizioni e la scarsa indagine e comprensione di alcuni ideali rendono un po' distorta la visione di questi ultimi, arrivando spesso a compiere le azioni che si stanno combattendo. Ciò è ben evidente nelle proteste avvenute in America, che si sono trasformate nel giro di poco tempo, in vere e proprie rivolte. A Minneapolis, centro degli scontri, è stato dato alle fiamme il commissariato di polizia e molti negozi sono stati saccheggiati. Ad Oakland e Denver i manifestanti hanno bloccato le strade impedendo alla gente di spostarsi e in molte altre città degli agenti di polizia sono stati attaccati mentre erano semplicemente in servizio. Anche nei social è scoppiata una vera e propria rivolta che non ha risparmiato il mondo dello spettacolo e dell’alimentazione. Programmi, riviste e serie televisive satiriche come “The Simpson” e “Bojack” sono state bersagliate e costrette a cancellare articoli ed episodi. I produttori di alcune serie, inoltre, hanno comunicato che i personaggi di colore non verranno più doppiati da doppiatori bianchi, scatenando così le proteste dei fan. Ancora più assurda è l’accusa di razzismo mossa dall’ex deputato labourista Fiona Onasanya alla ditta di cereali “Coco Pops” per aver messo come mascotte dei cereali marroni al cioccolato una scimmia e tre bambini bianchi per un’altra tipologia di cereali. Sul Dailymail, un membro dell’azienda ha spiegato che l’obiettivo del brand è solo quello di portare «giocosità a colazione», poi aggiunge: «È importante che si parli di più del bisogno di uguaglianza razziale. Noi sosteniamo la comunità nera. Non tolleriamo alcuna discriminazione e siamo convinti che le persone di ogni razza, genere, orientamento sessuale, religione, capacità e credo debbano essere trattate con la massima dignità e rispetto. Abbiamo una vasta gamma di personaggi che mostriamo sulle nostre scatole di cereali, tra cui tigri, giraffe, coccodrilli, elfi, ecc.»
Una protesta pacifica partita con l’obiettivo di rivendicare la propria libertà e uguaglianza e condannare le discriminazioni e i soprusi si è quindi trasformata a tratti in un’ondata di disordine, devastazione, censura e vittimismo. Ciò, invece di avvicinare più persone alla causa facendo perdere il potere alle persone che discriminano e compiono soprusi, ha alzato ancora di più le barriere. Perché, talvolta, vittime di queste rivolte sono stati i negozianti saccheggiati già in difficoltà per l’epidemia, agenti in servizio aggrediti e finiti in ospedale, aziende costrette a cambiare il marchio, doppiatori licenziati “solo perché bianchi” (un capovolgimento della situazione) e programmi che tramite l’ironia e la satira sugli stereotipi evidenziavano l’assurdità di questi ultimi. Dall’odio e dalla devastazione non può derivare altro che odio e devastazione, rendendo controproducente il lavoro di chi voleva convincere gli oppressori dei propri errori. Questo perché per taluni l’ideale di uguaglianza e di libertà che si stava professando coincideva con il poter fare quello che fanno tutti gli altri, compreso aggirare la legge, zittire ciò che non corrisponde alla nostra idea con la censura e fare violenza. È il problema che ha riguardato gran parte delle proteste della storia umana, dove la parte oppressa è diventata, in caso di successo, oppressore. La vera arma fondamentale per cambiare in meglio la situazione di tutti quanti è il dialogo, con il quale vengono a galla le varie contraddizioni – che devono essere comprese quanto più possibile da oppressi ed oppressori, perché non è sufficiente la sofferenza dell'essere vittime e del subire un sopruso per sapere come agire e come uscirne –, avvicinando l’uomo alla giustizia e, di conseguenza, al bene. È un processo lento, ma che alla fine può ripagare ogni sacrificio e fatica.
25 agosto 2020