Metafisica ultima carta

 

L’esperienza, anche nella sua unità, non basta: abbiamo bisogno di un motivo che la trascenda. La contingenza di quello che esperiamo non è una base solida per fondare la realtà e c’è, di conseguenza, bisogno di andare oltre. A questo bisogno risponde la metafisica.

 

Paule Cézanne, "I giocatori di carte" (1890-95)
Paule Cézanne, "I giocatori di carte" (1890-95)

 

Il problema filosofico non può essere scollegato dal problema della vita. Ad ogni esperienza si presenta assieme un bisogno di spiegazione, di autenticazione, di dimostrazione. Vivere senza filosofare è impossibile e, anzi, quella filosofia che non volesse partire dalle esigenze della vita sarebbe una filosofia che non serve a nessuno. La vita si disinteressa della filosofia, se questa, in prima istanza, non si fa portavoce delle esigenze dell’uomo. 

 

Il problematicismo filosofico dell’ultimo secolo non sembra orientato in questa dimensione del dare una risposta. Piuttosto, ciò che conta in filosofia sono le domande. La filosofia abdica ad ogni pretesa teoretica: la metafisica perde qualsiasi importanza. Ci si rifugia in una dimensione personale, non più universale; dove il senso che si dà alla propria vita è volubile: cambia in base alle sensazioni, ai sentimenti, alla particolarità delle proprie condizioni. 

 

A livello di quantità di fruitori, la filosofia sembra godere di un miglioramento da questa nuova linea: molte più persone si sono avvicinate ad essa, probabilmente anche per via della tecnologia. Il problematicismo, con il suo lasciare aperto lo spazio per l’interpretazione personale, permette a chiunque di avvicinarsi e di potersi sentire filosofo. Questo guadagno numerico non si può tradurre né in un guadagno quantitativo, né qualitativo della ricerca filosofica.

 

Nella sua costituzione, il problematicismo è intrinsecamente contraddittorio, in quanto cerca di fornire un modello grazie al quale leggere la realtà, ma nell’atto di dare questa risposta, la possibilità di rispondere è qualcosa d’impossibile. Questa corrente filosofica si traduce, tra le tante degenerazioni del senso comune, in relativismo.

 

Pier-Auguste Renoir, "La lettrice" (1876)
Pier-Auguste Renoir, "La lettrice" (1876)

La filosofia, oggi, ha «soprattutto bisogno di partecipazione. […] Non si tratta di divulgazione, ma di autenticazione.» (Gustavo Bontadini, Appunti di filosofia) Per fare filosofia non si può prescindere dal tentativo di autenticazione di quello che si esamina. Questo tentativo ha bisogno di tutti, ha bisogno di un sapere che si faccia scientifico e organico. 

 

Solo la metafisica può condurci fuori dalla situazione problematica: vivendo non si fa altro che dare risposte, prendendo posizione rispetto alla realtà. Perché si possa parlare di risposte è necessario un sistema che le unisca e perché sia possibile un sistema, questo deve avere un fondamento. Ecco che la metafisica, cioè il tentativo di dare una risposta circa l’assoluto, è l’ultima carta razionale che ci può condurre fuori da questa situazione. Infatti, se dovessimo appellarci soltanto all’esperienza, non potremmo discostarci dal mero farci delle domande, perché qualsiasi verità, dimostrata empiricamente, non terrebbe conto di quell’ulteriorità connaturata allo stesso concetto di esperienza.

 

La metafisica si propone di autenticare l’essere, di dare una risposta alla realtà che ci circonda. «Una volta che all’uomo è balenata l’idea dell’ulteriore (totalità), egli è irrimediabilmente imbarcato nel compito della metafisica.» (Gustavo Bontadini, Il compito della metafisica) Con il darsi dell’uomo, si dà anche la metafisica. L’esperienza, anche nella sua unità, non basta: abbiamo bisogno di un motivo che la trascenda. La contingenza di quello che esperiamo non è una base solida per fondare la realtà e, di conseguenza, c'è bisogno di andare oltre. A questo bisogno risponde la metafisica.

 

La metafisica è l’approdo a quella autenticazione ultima che risiede nella capacità di fondare l’essere. Ogni nostra conoscenza presuppone il concetto di essere: proprio per questo, una visione della realtà non si può dare senza una visione metafisica. Il primo compito della metafisica, che si attribuisce originariamente nell’atto di darsi, è quello di scacciare ogni visione anti-metafisica. Il punto di partenza non può che essere l’essere: risalire al suo significato originario. Tramite l’indagine del minimo, la metafisica si propone il compito di fondare il massimo: la realtà. 

 

Il binomio essere-non essere, che cogliamo nel divenire, è il limite invalicabile da cui partire per trovare ciò che trascende l’esperienza. Questo punto di partenza ha un duplice aspetto: è sia mediato, che immediato. È immediato nel suo darsi da sempre nell’orizzonte esperienziale dell’uomo, ma è altresì mediato, in quanto si perviene ad esso tramite l’indagine protologica, risalendo a ciò che è primo. 

 

È interessante notare che oltre ad essere l’ultima carta da giocare contro il problematicismo, l’inferenza metafisica è, sotto un’altra accezione, la carta prima: la protologia

 

Nell’analisi protologica Bontadini parla di due tipi di punto di partenza: il primo è sinonimo di fondamento o ragione ed è teoretico, unico di diritto; il secondo è il cominciamento o punto di movenza, il quale è storico, personale, può essere scelto con una certa libertà.

 

Tramite i paragrafi precedenti siamo arrivati a scorgere che al punto di partenza si arriva tramite il fondamento, ma in realtà esso è ciò che fonda, ciò che toglie il contraddittorio e si porta allo svelamento. 

 

Gustave Caillebotte, "L'uomo che porta una camicetta" (1884)
Gustave Caillebotte, "L'uomo che porta una camicetta" (1884)

 

L’esperienza, in quanto immediato, che ruolo gioca nella questione del punto di partenza?

«Occorre partire da essa, perché è l’immediato, ma occorre anche qualcosa che faccia andare oltre, fondare dell’altro. All’idea del fondamento appartiene anche l’idea dell’ulteriorità.» (Gustavo Bontadini, Dal problematicismo alla metafisica) L’esperienza non solo è il punto da cui partire, nel senso che è il punto immediato da cui parte ogni conoscenza, ma è anche il punto da cui muoversi, cioè il punto da cui partire per approdare in qualcosa che la trascenda. Siamo ritornati a quell’intima connessione vita-metafisica, di cui abbiamo accennato all’inizio. Ora, è però possibile riscattare la vita e renderla qualcosa di essenziale per il discorso filosofico. 

 

La vita va oltre quel ruolo che le viene dato dal problematicismo: non è solo fonte di domande, ma rappresenta anche il punto di partenza per l’inferenza metempirica e il punto di arrivo che necessita di essere inverato. Per sottolineare ulteriormente l’importanza dell’esperienza, della vita, possiamo dire che «se la metafisica è mediazione dell’esperienza, dall’altro verso è essa stessa una esperienza: l’esperienza (processo vissuto) del tentativo di trascendere l’esperienza (conoscenza immediata).» (Ibidem)

 

René Magritte, "Il terapeuta" (1937)
René Magritte, "Il terapeuta" (1937)

Con l’inferenza metafisica possiamo quindi risalire all’origine dell’esperienza e valorizzarla e, allo stesso tempo, stabilire un fondamento comune alla pluralità di esperienze contrastanti che si presentano nella nostra vita. Siamo dunque arrivati a porre un’idea trascendente all’interno della nostra esperienza, badiamo bene però a non identificare i due concetti nello stesso campo d'azione.

 

In questo modo c’ha guadagnato anche il soggetto, il quale risalendo alla sua essenza, comprende il suo valore puro, al di là dei possibili significati che potrebbe riscontrare empiricamente. Solo avendo presente la realtà in cui è inserito, il soggetto può riscattare tutto il suo valore. Così non può succedere nella filosofia problematicista. In una corrente come quella esistenzialista, il soggetto è il centro del discorso, ma se non si rende noto il ruolo che ricopre all’interno della totalità, rimarrà sempre un mero interrogarsi su di esso, non un darsi delle risposte. «L’aver presente la realtà è ciò, diciamo, che fa sì che il soggetto sia soggetto, è la ratio della soggettività, che noi possiamo sempre astrarre dal soggetto stesso concreto.» (Gustavo Bontadini, Conversazioni di metafisica, I)

 

In ultima analisi scopriamo un altro effetto della carta metafisica: nella dialettica esperienza-assoluto, abbiamo guadagnato l’essenza della ragione, la quale, continuamente, mette insieme ulteriorità ed esperienza. L’esperienza è il termine a cui si deve riferire ogni ulteriorità: non è possibile prescindere da essa.

 

27 aprile 2020

 








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