Di fronte a una realtà scolastica ancora permeata di quel trasmissivismo che molti pedagogisti hanno cercato e stanno cercando tuttora di combattere, la prospettiva educativa di Danilo Dolci contenuta nell’opera Chissà se i pesci piangono rappresenta una concreta alternativa per imprimere quel cambiamento decisivo di cui l’istituzione scolastica ha bisogno.
Ciascuno di noi, ripensando alla propria esperienza scolastica, avrà senz’altro un ricordo della scuola come luogo di trasmissione della cultura in modo unidirezionale, dal docente all’alunno, il quale, rigidamente seduto nel suo posto e “annichilito” da quel sistema che non fa altro che inculcargli acriticamente conoscenze e informazioni, va incontro a una progressiva e graduale regressione delle sue facoltà critiche e riflessive. Certo, la scuola non è solo questo, ma non si può non ammettere che, fatta eccezione per qualche insegnante lungimirante (ahimè, così bisogna definirlo anche se l’abbandono di un approccio trasmissivo della conoscenza dovrebbe rappresentare la regola e non l’eccezione), la maggior parte delle attività scolastiche oggi segue ancora la logica della mera trasmissione del sapere (detenuto integralmente dal docente) agli studenti.
La scuola, si sa, è lenta a cambiare, nonostante nel Novecento (in particolare, a partire dalla seconda metà del secolo scorso) siano nati e si siano sviluppati movimenti pedagogici atti a improntare un cambiamento decisivo all’interno del mondo della scuola. È il caso di Danilo Dolci, educatore e sociologo che, con la sua partecipazione attiva ha contribuito a risollevare le sorti della Sicilia occidentale. Danilo Dolci ha svolto, infatti, un importante lavoro educativo e sociale, finalizzato a combattere qualsiasi forma di violenza. L’esperienza di Danilo Dolci, dai rimandi montessoriani (entrambi compiono la scelta di aprire un centro educativo in quartieri poveri e problematici) si inserisce all’interno di quei movimenti di rinnovamento pedagogico. Diviene quindi esplicita la connessione con il pensiero di Célestin Freinet, il quale sostiene la necessità di educare un “uomo nuovo” all’interno di una scuola e società nuovi. L’aggettivo “nuovo” è ampiamente utilizzato nell’opera Chissà se i pesci piangono di Danilo Dolci, opera che racconta l’esperienza di fondazione di un nuovo centro educativo a Mirto, esperienza che si allontana da quella di “scuola tradizionale” – la scelta di utilizzare l’espressione “centro educativo” è stata proprio dettata dalla volontà di «non ammantare di nuovo vecchi contenuti» (Danilo Dolci, Chissà se i pesci piangono) –, in quanto, attraverso l’uso di un metodo maieutico, il nuovo centro educativo viene costruito e organizzato sulla base delle volontà espresse da bambini, ragazzi, educatori e genitori.
Ma cosa si intende realmente con “metodo maieutico”? Il termine “maieutica” deriva dal greco “arte ostetrica”, l’arte del far nascere i bambini. È Socrate l’ideatore del cosiddetto “metodo maieutico” in quanto, attraverso l’uso del dialogo intendeva “far partorire” la verità, concepita, quindi, come insita all’interno dei soggetti stessi. Si evince come la prospettiva della maieutica si ponga contro quell’approccio meramente trasmissivo di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo. Il reale cambiamento, prima dei soggetti e, di conseguenza, della società intera, può avvenire solo a partire dallo sviluppo delle risorse e potenzialità insite negli individui. I cambiamenti avvengono perché determinati dalle azioni di singoli individui, ma si comprende che, se ognuno di noi viene educato a riprodurre quanto scoperto e affermato da altri, paradossalmente questa situazione condurrà a un annichilimento generale della società. Il merito di Danilo Dolci è stato quello di aver dato fiducia alle persone, di aver, forse per la prima volta, ascoltato realmente le loro opinioni, che sono state poi tramutate in azioni concrete. Il nuovo centro educativo viene infatti fondato sul «processo maieutico di gruppo (il dialogo ne è il caso più semplice): in cui ciascuno acquisti la capacità di valorizzare la massimo un gruppo in modo aperto, al fine di riuscire a formare una società essenzialmente maieutica» (Danilo Dolci, Chissà se i pesci piangono).
All’interno dell’opera Chissà se i pesci piangono vengono proprio riportate le discussioni che hanno preceduto la costruzione del nuovo centro educativo a Mirto e che ne hanno definito l’organizzazione, l’ubicazione, gli aspetti architettonici e la metodologia; vengono anche pubblicati quegli stessi dialoghi avvenuti in due seminari diversi e che hanno conferito l’opportunità a giovani e ragazzi di palesare i loro pensieri e opinioni a partire da interrogativi da loro stessi individuati (ad esempio: cos’è la gioia? cos’è il dolore? cos’è il destino?). La lettura dei dialoghi rende evidente quell’insieme di processi quali la condivisione, l’espressione delle proprie idee, l’esplicitazione delle proprie esperienze, il cambiare idea di fronte ad argomentazioni più valide delle proprie, la chiarificazione progressiva del linguaggio, chiarificazione che procede di pari passo con quella del pensiero. Si tratta di processi che difficilmente vengono attivati tramite una didattica trasmissiva ma che risultano essere di estrema importanza per la crescita di cittadini attivi e consapevoli all’interno di una società democratica. Per tale ragione, nell’esplicare le indicazioni emerse per la realizzazione del nuovo centro educativo, Dolci sostiene:
«Presupposto essenziale del nuovo centro educativo è che i bambini, i ragazzi, hanno interessi vitali: questi vanno scoperti e sviluppati da loro in collaborazione con persone che abbiano il gusto e la capacità di scoprire, di realizzare, di proporre attorno a sé validi interessi.
Il bambino, il ragazzo, non deve essere spinto al centro: deve risultarne attirato. Un educatore è essenzialmente un esperto di maieutica: intesa come processo di chiarificazione teorica e pratica di gruppo, che avviene sulla base dell’esperienza e dell’intuizione di ciascuno. Dai primi anni avvia i ragazzi del gruppo a sperimentare come si può ricercare insieme, come ci si può comprendere, come si può decidere insieme, come si può agire insieme: come ci si può coordinare e come ciascuno può divenire maieuta.» (Danilo Dolci, Chissà se i pesci piangono)
Princìpi, questi appena riportati, che appaiono un’utopia se rapportati allo stato attuale della didattica scolastica; tuttavia, l’esperienza di Danilo Dolci insegna che un cambiamento significativo è possibile, anche in quei contesti dove alcune condizioni sociali problematiche appaiono irreversibili. «Ma cos’è un oceano se non una moltitudine di gocce?», si chiede Sonmi451 nel capolavoro cinematografico Cloud Atlas del 2012. Spetta a ciascuno di noi il compito di agire in direzione del cambiamento, anche e soprattutto ricordando e diffondendo le grandi azioni realizzate da persone come Danilo Dolci, affinché il loro ricordo imprima un cambiamento nelle menti di ciascuno di noi, chiamati a perseguire concretamente i progetti di vita virtuosi.
10 aprile 2020
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