La moralità del senso comune

 

Se, come ricorda Sidgwick, la morale è «qualsiasi procedura razionale attraverso cui determiniamo che cosa gli esseri umani ‘dovrebbero’ — o che cosa è ‘giusto’ — fare», allora, finché ci saranno delle azioni umane, ci sarà sempre dietro un’etica che le guida. Pensare di agire moralmente equivale a pensare di poter non agire.

 

William Powell Frith, "La stazione ferroviaria" (1862)
William Powell Frith, "La stazione ferroviaria" (1862)

 

Efficienza, tecnica, scienza, economia, innovazione: questi sono solo alcuni dei concetti che descrivono la società in cui viviamo. Sicuramente si possono trovare altri termini che rappresentino lo spirito dell’attualità, ma, in questo caso, quello che mi interessa rimarcare è la stonatura che la parola “morale” produrrebbe nel suo accostamento ai termini sopra elencati.

 

La maggior parte delle persone, di fronte alla domanda sul significato del concetto di moralità, si troverebbe in difficoltà. Per rispondere alla domanda ci si affiderebbe a formule vuote tramandateci dall’educazione che ci è stata impartita. Quali sono effettivamente i significati che il concetto di moralità assume nel senso comune?

 

Per rispondere a questa domanda è opportuno chiederci: quando lo scopo che ci si prefigge con le proprie azioni può essere definito morale?

 

Alla risposta di questa domanda ci viene in soccorso il filosofo inglese Henry Sidgwick:

 

« Gli unici due fini che hanno un diritto ampiamente sostenuto di essere considerati fini ultimi sono i due sopra menzionati: Felicità e Perfezione. »  (I metodi dell’etica)

 

A proposito del primo dei due scopi morali che vengono perseguiti dal senso comune, il filosofo inglese distingue due diversi tipi di etiche della felicità:

 

« I due metodi che hanno come fine ultimo la felicità sarà conveniente distinguerli in Edonismo Egoistico e Universalistico »

 

Il metodo dell’etica che corrisponderà alla ricerca dell’eccellenza verrà invece chiamato da Sidgwick: Intuizionismo.

 

« Ogni metodo che assumerà come fine ultimo l’eccellenza o la perfezione della natura umana, coinciderà principalmente con la visione intuitiva. »

 

« Ho usato il termine ‘intuitivo’ per indicare la visione dell’etica che considera come scopo ultimo delle proprie azioni la conformità di queste ultime a determinate regole o doveri prescritti incondizionatamente. »

 

Un chiarimento riguardante il significato dell’espressione “metodi dell’etica” può essere utile alla comprensione del pensiero del filosofo inglese:

 

« ‘Metodo dell’etica’ è qualsiasi procedura razionale attraverso cui determiniamo che cosa gli esseri umani ‘dovrebbero’ —o che cosa è ‘giusto’—fare, o cercare di realizzare attraverso le proprie azioni volontarie. » 

 

 

L’opera del filosofo inglese può non rispecchiare la totalità delle condotte morali adottate dagli uomini, ma poiché il filosofare necessita sempre di un dato di partenza, la definizione delle diverse morali del senso comune da parte del filosofo inglese ci offre un luogo da cui iniziare.

 

Riflettere sulle opinioni del senso comune è indispensabile perché dà la possibilità all’uomo di superare le opinioni della società che lo ha formato. In questo contesto, I metodi dell’etica di Henry Sidgwick ci dà la possibilità di confrontarci con le opinioni del senso comune, e dunque anche con le nostre. Solo confrontandosi con le opinioni è possibile superare le contraddizioni che le inficiano e raggiungere un sapere più stabile.

 

L’edonismo egoistico, nel quale le proprie azioni sono finalizzate al raggiungimento della massima quantità di felicità individuale, è sicuramente delle tre classificazioni la più “popolare”. L’assenza della morale, una delle caratteristiche del postmoderno, non è però la mancanza assoluta di una condotta etica. Se la morale è, come ricorda Sidgwick, «qualsiasi procedura razionale attraverso cui determiniamo che cosa gli esseri umani ‘dovrebbero’ — o che cosa è ‘giusto’ — fare», allora, finché ci saranno delle azioni umane, ci sarà sempre dietro un’etica che le guida

 

Una morale postmoderna c’è, ed è quella che Sidgwick chiama edonismo egoistico. Anche la maggior parte dei sostenitori dell’utilitarismo supporta in verità l’egoismo, poiché essi non riescono a spiegare efficacemente il motivo per cui si dovrebbe privilegiare la felicità generale a discapito di quella individuale. Dietro ai sostenitori dell’edonismo universalistico si celano spesso precetti vuoti e astratti. 

 

Se l’utilitarismo è spesso in realtà vuoto, l’egoismo non se la passa di certo meglio. Quando si va ad indagare la pretesa dell’egoismo di valere come morale universale, le contraddizioni vengono presto a galla.

L’egoismo deve ammettere la comparabilità tra i vari tipi di piacere, solo così è possibile confrontare e decidere quale condotta produrrà la maggior felicità possibile.

 

John Atkinson Grimshaw, "Sera, Whitby Harbour" (1893)
John Atkinson Grimshaw, "Sera, Whitby Harbour" (1893)

 

« Dobbiamo assumere che i piaceri che ricerchiamo e i dolori che evitiamo abbiano determinate relazioni quantitative tra di loro; in caso contrario non potrebbero essere concepiti come possibili elementi di un totale che cerchiamo di rendere il più grande possibile. »

 

Se anche si ammettesse la commensurabilità dei piaceri e dei dolori, il problema insormontabile cui ci si trova davanti è dato dal risultato che il confronto tra le quantità di piaceri e dolori produce. 

 

« Il senso comune ci fornisce solo, al meglio, una stima valida per l’essere umano medio: e, come abbiamo già visto, è probabile che ogni individuo particolare sia più o meno divergente da questo modello. » 

 

Come ci ricorda Sidgwick, anche lo stesso senso comune ammette l’illusorietà della propria condotta morale:

 

« gli uomini mostrano una sorprendente disponibilità ad ammettere che le valutazioni della felicità che li guidano nella loro consuetudine sono erronee e illusorie. » 

 

Ammettere che le proprie azioni hanno un fine erroneo e illusorio è affermare la contraddizione. Dire che la propria morale è insensata equivale ad affermare che la propria vita non ha senso. Se effettivamente si avesse coscienza della vanità delle proprie azioni, non si continuerebbe a seguire quel determinato fine. Pensare di agire senza un buon motivo equivale a dire che è opportuno agire insensatamente.

 

Si afferma che i propri fini sono insensati per evitare qualsiasi possibile critica da parte dell’altro, così facendo però si ricade nella contraddizione che il nostro stratagemma cercava di evitare.

 

La morale della società postmoderna non poggia dunque su solide basi per quanto riguarda i due tipi di edonismo che adotta. 

 

Per quanto riguarda l’intuizionismo, una delle principali caratteristiche di questo metodo dell’etica viene individuata da Sidgwick nell’importanza data alle intenzioni e ai motivi, piuttosto che alle azioni:

 

« definendo l’intuizionismo ho omesso la sua caratteristica fondamentale; gli intuizionisti—in contrasto con gli utilitaristi—non giudicano le azioni attraverso un criterio esterno; la vera moralità, nella loro visione, non riguarda le azioni dall’esterno, ma lo stato d’animo con cui le azioni sono state fatte—in breve ha a che fare con le ‘intenzioni’ e i ‘motivi’. »

 

Questa presunta caratteristica distintiva poggia però su una diversità dagli altri metodi che non esiste.

 

« I moralisti di ogni scuola, immagino, sarebbero d’accordo nel sostenere che i giudizi morali riguardanti le azioni hanno a che fare principalmente con l’intenzionalità delle azioni stesse. »

 

Il metodo intuizionista non riesce a differenziarsi dagli altri metodi perché sono anch’essi intuizionisti.

 

6 aprile 2020

 








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