Le regole di metodo sono necessarie per ogni ricerca rigorosa, ma se si confondono con il fine che si intende raggiungere perdono ogni valore.
di Simone Basso
Gli esseri umani, approfondendo la ricerca in diversi ambiti, vanno a definire un insieme di regole, procedure, prassi, metodi da rispettare per continuare a migliorare l’approfondimento, la conoscenza riguardo quell’argomento. Così, ad esempio, grazie al "metodo scientifico" si sono migliorate le conoscenze in moltissimi campi; oppure, grazie alle leggi e al diritto si è andata concretizzandosi l’applicazione dell'idea di giustizia; e così via… Al giorno d’oggi, nella complessità della nostra società, ogni ambito al quale ci si rivolge lo si trova caratterizzato da un suo insieme di “modi” di procedere nell’indagine, consolidatisi nel tempo. Succede frequentemente però che, a partire dal riconoscimento della necessità di seguire determinate regole di metodo per ottenere dei risultati migliorativi, si arrivi a confondere tali regole convenute con il fine stesso in nome del quale quelle regole erano state definite; stabilendo così, che non è in vista del fine a cui ambiscono certi metodi che ci si accorda su quali siano le regole da rispettare, ma che è il rispetto stesso delle regole a decretare l’effettivo raggiungimento di quel fine.
Questo pensiero (che qui, in maniera non approfondita, può essere indicato con il termine formalismo, o convenzionalismo) viene declinato in diversi ambiti: nello studio del linguaggio, delle istituzioni, della scienza, del diritto ecc… Si tratta però di un disconoscimento improprio del valore e del significato a cui ogni ricerca umana intende ambire.
Infatti la veridicità, la giustizia, la bontà, la scientificità o meno di una qualunque tesi non è garantita unicamente in virtù della “procedura” che è stata utilizzata per validarla. Nessuna tesi è scientifica unicamente perché ha seguito un determinato metodo; nessuna politica è democratica per il semplice fatto di attenersi alle procedure amministrative e burocratiche di uno Stato che si dichiara tale; nessuna sentenza è giusta solamente in quanto coerente con l’insieme delle leggi a cui fa riferimento. E questo perché gli atti formali (il metodo, la procedura, la legge) sono anch’essi il risultato, parziale, di una ricerca umana che ha come scopo quello di riuscire ad adempiere nel miglior modo alle questioni che le si pongono innanzi (scientificità, democrazia, giustizia…). Ciò significa che ogni metodo necessita di essere posto in continua discussione – ovvero di rispondere alle critiche che gli possono essere mosse – per mostrare di essere effettivamente, il modo migliore per perseguire lo scopo che ci si è prefissati. Pertanto, non è direttamente il rispetto di quelle che in un determinato periodo risultano essere le regole del metodo scientifico, a garantire la scientificità di una certa tesi; bensì le ragioni che quelle regole formali mostrano nel dare conto della loro validità. Quelle regole, al contrario da quanto sostenuto dal pensiero formalista, “agiscono” in maniera indiretta: non è il loro rispetto a sancire la validità della tesi che le ha osservate, ma il loro riuscire a dare prova di se stesse. E perché possano continuare ad essere valide, e a determinare le procedure da osservare e rispettare, necessitano continuamente di essere poste in discussione, senza mai poter essere elevate a criterio definitivo di valutazione.
Una tesi è scientifica nella misura in cui mostra di essere vera. Il che può avvenire benissimo attraverso la costituzione e il rispetto di un certo metodo di indagine, di regole per la sperimentazione, per la verifica, attorno alle quali (a seconda delle discipline e dei periodi storici) si riunisce il maggiore accordo; ma non è in virtù del metodo seguito che quella tesi trarrà la propria scientificità, bensì in virtù – come detto in precedenza – della validità che quel metodo stesso mostra, e che può essere espresso dalla capacità di spiegare fenomeni che prima non si riuscivano a comprendere, che risultavano in contraddizione o che non riuscivano a rispondere ad eventuali confutazioni.
La giustizia di un atto legale non sta nel suo derivare da un insieme di altre leggi – o più precisamente “non sta unicamente nel suo derivare da un insieme di leggi” – bensì sta nella verità a cui quelle leggi, quei metodi aspirano e vanno tentando di realizzare. Una sentenza non può dirsi giusta perché è coerente e fa rispettare le leggi di uno Stato – questo è evidente nel caso della Germania nazista, in cui rifiutarsi di denunciare un ebreo avrebbe significato compiere un’ingiustizia – ma lo sarà nella misura in cui quelle leggi riusciranno a mostrarsi veramente giuste.
Ma che cosa significa “veramente giuste”?
Certamente, misconoscere ciò in cui consiste tale verità è il destino della limitata condizione umana; ma è proprio questa la difficoltà in cui la ricerca umana si imbatte; e solo in virtù di quella aspirazione, le parole nel nome delle quali agiamo sono in grado di reclamare un valore. Ciò non vuol dire che quell’insieme di regole, quelle procedure, non siano importanti, al contrario esse sono fondamentali; ma lo sono nella misura in cui mostrano di realizzare il fine che si prefiggono, non unicamente in quanto convenute attualmente come le migliori.
A questo punto l’imponente questione che si pone è: se nessun metodo può assicurare che quel che si afferma sia effettivamente chi dice di essere (che la tesi che si dice scientifica rappresenti un risultato della scienza, che il governo che si dice democratico sia espressione di democrazia, che la sentenza che adempie alla legge sia giusta, ecc.), chi ci dice quali sono le regole, le formalità da rispettare perché si realizzi ciò che andiamo ricercando? La risposta è: nessuno. Nessuna formalità può dare tale certezza, perché la condizione umana stessa non può raggiungere quel grado di definitività.
Questo allora vuol dire che qualunque metodo varrà come qualunque altro? No, tutt’altro. Significa che da una parte nessuna formalità può da sola garantire alcunché, dall’altra che ogni formalità alla quale riconosceremo maggiore validità, rappresenterà il modo migliore di indagine di cui disponiamo nelle attuali possibilità. Siamo chiamati, da una parte ad abbandonare una sterile ricerca del metodo che possa garantirci in ogni occasione quella sicurezza di fissare definitivamente l’inoppugnabilità delle nuove scoperte che compiamo – ci consegniamo così all’inevitabile mistero che circonda la vita umana –, dall’altra a riconoscere nelle formalità che decidiamo di rispettare, il modo necessario di proseguire la nostra ricerca.
Ecco quindi che quelle “formalità”, quei metodi, quegli accordi, quelle convenzioni e quelle regole risultano indispensabili e rendono edificabile il sentiero per ogni realizzazione a cui intendiamo aspirare, ma ricordiamoci, allo stesso tempo, che la verità a cui si ambisce non può mai essere riducibile ad esse.
21 dicembre 2020