Un concetto ancora non ben definito che si ripresenta oggi più che mai è il rapporto tra l'uomo e la natura, con il primo che risponde spesso e volentieri in modo violento alla violenza della seconda. Violenza e libertà sono inscindibili: quale ruolo ricoprono nel dibattito ambientale? Il caso della Lessinia.
In Veneto, il 2020 è cominciato con un nuovo attacco al grande patrimonio naturale che questa regione detiene. Ai confini con il Trentino Alto-Adige, il territorio della Lessinia appare da Google Maps come una rampa di lancio verso le vette più alte della catena alpina partendo dalla città degli Scaligeri. Questi territori devono la loro fama e l’appartenenza ad un Parco regionale, proprio a quel blocco di calcari con alle spalle un paio di centinaia di milioni di anni, i quali sono andati poi a rivestire i palazzi delle più importanti città italiane, con il Rosso Veronese, strapieno di ammoniti, e case private, con la Maiolica, un calcare bianchissimo. Ancor oggi, l’intensa attività di cava che alimentò e alimenta attualmente questo business è altamente invasiva sul paesaggio, che appare dall’autostrada Milano-Venezia come una schiera di colline zoppe, una bruttura unica nel suo genere.
Tutto ciò non ha intaccato la parte centrale di questo territorio – e qui l’Istituzione Parco ha verosimilmente qualche responsabilità –, la quale si mantiene in parte selvaggia e in parte antropizzata da attività ricreative, di allevamento e ristorazione, anche queste inserite nella cornice di uniche città in roccia, i cosiddetti “vaj”, che attirano turisti e locali durante tutto l’anno.
L’amministrazione speciale che regola questo territorio viene messa in discussione dai sindaci di cinque comuni dalla porzione nord, le cui istanze vengono poi accolte da tre seggi del Consiglio Regionale, dove la proposta di legge n. 451 di convertirli in zone contigue pare venir accolta di buon grado anche dal Presidente di Regione, oltre che, e questa è la cosa che stupisce, dal presidente del parco di nuova nomina.
Una volta realizzato il fatto che l’Ente Parco è provvisto già da tempo di un piano per il contenimento del numero di cinghiali sembra che la motivazione principale di questa riperimetrazione sia strettamente collegata ad interessi altri rispetto a quello di una vera risoluzione della selvaggina incontrollata. Bisogna dire che molte volte le mosse politiche giocate a questi livelli si ritrovano coi legacci stretti di un elettorato da non deludere, con forti interessi, con potenti rappresentanti che possono muovere importanti numeri di voti, non è certo una novità. Altre volte, nel caso sia effettivamente un’istanza popolare, ci si adagia ad accoglierla in pieno, senza chiedersi se la dovuta informazione circa le dinamiche di ciò che si vuol cambiare sia stata oggettiva e democratica, ma soprattutto si cavalca l’onda della problematica occasionale per ottenere interessi più nascosti al grande pubblico. Il dubbio viene perché pare che tal problema della selvaggina dannosa non sarà assolutamente risolto da una riduzione delle aree ad essa dedicate, potrebbe invece spostarlo e per di più acuirlo, ricordando inoltre che le elezioni regionali in Veneto saranno a breve. Di queste argomentazioni, si legge in un esposto dell’Associazione di volontariato “Io non ho paura del lupo”, interessata nel processo di salvaguardia del grande carnivoro tornato dopo anni in Appennino e sulle Prealpi Venete.
La proposta di legge n. 451 pare sia stata di recente ritirata ma la cicatrice rimane. Da tutta la vicenda ne esce una società ancora disorientata sul rapporto tra l’essere umano e l’ambiente naturale integrale. In questo senso, la volontà demiurgica dell’uomo, il conatus che lo spinge a imporre la sua visione millenaristica e ad irrigidire ciò che invece è sempre cangiante, risultato di un costante ciclo di squilibri, come è di fatto il mondo naturale, arriva a scontrarsi con forze da egli difficilmente controllabili.
Questo scontro tra due istanze diametralmente opposte che viene a instaurarsi, lo si vede moltissime volte, materializza il suo fronte e le trincee nel confine del Parco naturale in Lessinia, ma anche nel ritorno dei grandi carnivori vicino alle zone abitate, sulla riva di un fiume, nel rimboschimento dei pascoli, sulla riva del mare, ai piedi delle dune di sabbia, e così via. Ci sono casi in cui questo scontro nasce dalla chiara conseguenza di attività umane poco consapevoli, le cui conseguenze non si riuscivano, o non si volevano pensare: questo è proprio il caso dei cinghiali, in espansione di difficile controllo un po’ in tutta Italia e che spesso, basta intervistare gli abitanti dei Lessini, sono stati inseriti dall’uomo stesso, nello specifico dai cacciatori.
Ma non ci si può stupire di un contrasto così aspro, che ha presupposti radicati nella struttura filosofica di questa società, prima che nel concretizzarsi di interessi economici, che molto spesso sono di grosso calibro e appannaggio dell’impresa internazionale e di lobby. Questi infatti sembrano essere nell’ambito ambientale “solo” sintomatici, e trovano così giustificazione, al raggiungimento di una libertà individuale, totem di una tradizione filosofica liberale che ha storpiato il concetto riducendolo ad una dimensione ben delimitata in cui l’essere umano può e deve dominare in modo incontrastato. Di questo passo, traducendo nel concreto dei giorni, far parte di una riserva naturale, in cui una legislazione speciale è dedicata alla conservazione di determinati ecosistemi che molto spesso sono unici, viene sentito come una limitazione delle libertà, visto che ovviamente non tutti i comportamenti che l’uomo assume, espressioni di quelle libertà, sono naturalmente compatibili con l’esistenza di un ambiente naturale integro, cioè lasciato al suo naturale decorso. La vicenda del Parco Regionale della Lessinia è nella realtà nazionale un caso, tuttavia molto rappresentativo, di un progressivo arretramento su quella che era la legislazione sulle aree protette.
A Venezia, il Presidente Zaia ritira la proposta di legge ma nel frattempo a Roma, la Camera dei Deputati sta discutendo una possibile riforma alla legge quadro sulle Aree Protette (n. 394) entrata in vigore nel 1991 assieme al Parco stesso. Le modifiche, approvate per ora solo dal Senato, vengono riportate dal WWF corredate di sua controproposta, ed esse risultano a tratti sconcertanti: i Presidenti non dovranno necessariamente avere specifiche competenze in ambito ambientale e saranno nominati localmente, così come il Consiglio Direttivo degli Enti-Parco accoglierà rappresentanze di interessi locali che surclasseranno necessariamente quelli nazionali, in più un sistema di royalties per gli esercizi già presenti nelle aree protette lascerà passare l’idea che “se pago posso inquinare”, le associazioni riconosciute saranno solamente quelle presenti in almeno 10 regioni e con 5 anni di attività, così da prevenire ogni contrasto con esse su nuove modificazioni, dato che solitamente nascono al bisogno.
Queste e altre sono le intenzioni della politica italiana per fronteggiare la sempre più pressante richiesta di un revisionismo, lo vediamo ogni venerdì nelle piazze, all’attuale amministrazione del patrimonio naturale e, si può aggiungere, pare non abbia capito un bel niente.
Non solo in Lessinia ma in tutta Italia, e nel mondo, quando la burocrazia, sostenuta dalle istanze della natura, impedisce la compiutezza delle libertà dei singoli viene necessariamente considerata oppressiva e da qui nasce la volontà di toglierla, aprendo lo scontro e il dibattito su un fronte che si rivela eterno, fino a che non si deciderà di cambiare prospettiva. Su che piano logico di discussione bisogna infatti porsi per risolvere il conflitto, se mai si volesse farlo? Fino ad ora, come detto poco sopra, i punti di frizione si sono individuati al confine di quelli che potremmo chiamare due mondi: quello naturale e quello umano. Questi due, così concepiti, non sono mai stati interessati da processi di discussione interna ma sempre, nel loro antagonismo irriducibile, si sono ricavati spazi dall’arretramento dell’altro, come fosse insomma una vera e propria guerra di posizione.
Il punto è che con l’andare a fondo della questione si capisce che una situazione del genere appare del tutto assurda, dove la sfera naturale viene vista nettamente divisa da quella dell’agire umano, e sorge spontanea la domanda se sia veramente così, se quelle libertà individuali che bisogna raggiungere perché ridotte dall’altra siano veramente tali, o solamente una deviazione egoistica di un concetto molto più ampio e organico di libertà. Bisogna chiedersi insomma se essere liberi significa solamente ottenere ciò che si desidera o invece arrivare a capire ciò che si desidera, attraverso l’informazione, la protesta, la convivenza con realtà altre e l’arricchimento che ne consegue.
Ancora una volta, gli aspetti più pragmatici del vivere comune sono riconducibili ad un assetto filosofico ben identificabile, sul quale è doveroso indagare per trovare ciò che lo rende inadatto, tanto che agire sui singoli casi, concentrandosi solamente sulle condizioni particolari e affannandosi a un ripiego a volte emergenziale, trova davvero poca efficacia, ricordando quella che è una lotta contro i mulini a vento.
5 febbraio 2020
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