Sentimenti, predisposizioni, inclinazioni, reazioni passano attraverso la ragione: vengono metabolizzati nel tempo da essa. Sembra proprio che, per essere persone concrete, non si possa far altro che essere filosofi; altrimenti, si rischia di agire con superficialità e impulso.
Chi studia filosofia, quando si trova a parlare di questo sapere, può avere a che fare con due tipi di persone.
C’è chi si chiede: "Nella vita di ogni giorno cosa me ne faccio della filosofia? È una materia staccata, astratta, che non risolve i veri problemi delle persone". Questi sono di solito quelli che non hanno mai aperto un libro di filosofia e sono in cerca di una realizzazione professionale importante.
Ci sono poi i politically correct, quelli che magari hanno letto qualcosa alle superiori e vogliono dimostrare la loro preparazione facendo associazioni scimmiottesche del tipo: Talete-acqua, Platone-caverna, Platone-iperuranio, Kant-imperativo categorico, Nietzsche-morte di Dio, Freud-complesso di Edipo, invece Hegel viene citato solo a fianco di un insulto. Spesso a queste associazioni viene affiancata la fatidica domanda: qual è il tuo filosofo preferito?
C’è poi da tener presente tutti coloro che, nelle conversazioni quotidiane, ma anche a livello accademico o ufficiale, usano il termine filosofia in modo sbagliato: “qual è la tua filosofia di vita?”, “la filosofia della nostra azienda è questa…”, “filosofia di gioco”, “filosofia alimentare”, “filosofia di allenamento”, etc.
La differenza tra le due tipologie di persone, indicate all’inizio, sta semplicemente nella forma. I primi ritengono la filosofia inutile perché non porta guadagno; i secondi la vedono come un sapere semplicemente nozionistico o culturale, screditandola del suo effettivo valore.
Quelli della prima tipologia si sbagliano anzitutto nei termini, perché non conoscono il loro effettivo significato: confondono empirico con concreto, per indicare qualcosa di tangibile; ritengono astratta qualsiasi cosa non abbia a che fare con numeri o qualcosa di fisico; relegano la filosofia semplicemente alla sfera della soggettività, come qualcosa di non reale.
Anche quelli della seconda categoria sono abbastanza fastidiosi e noiosi. Pensano che studiare filosofia significhi sapere quello che hanno scritto i filosofi; restano nel piano della curiosità e della cultura, non passano al piano della necessità e del bisogno.
Tutti coloro che usano il termine filosofia in modo indebito la confondono con l’idea o la rappresentazione. È questo il risultato odierno: riservare alla filosofia lo spazio soggettivo, accidentale, astratto, della mera curiosità.
Questa prima parte di articolo voleva essere un riassunto, anche simpatico, di tutto ciò che si sente quotidianamente, quando si parla di filosofia. Molto spesso chi si fa portatore degli equivoci qui riportati sono persone che studiano o hanno studiato filosofia. Non è un problema che esula gli addetti del settore. Io stesso son convinto di non attribuirle abbastanza valore e che, questo scarto, lo possa rendere sempre meno acuto migliorandomi. Vediamo ora a cosa serve concretamente studiare filosofia. Un’opportunità per chiarirci le idee ed eliminare qualche giudizio superficiale.
« Quando la potenza della unificazione sparisce dalla vita degli uomini, e le opposizioni hanno perduto la loro vivente relazione e reciprocità, e guadagnano indipendenza, allora sorge il bisogno della filosofia. » (Hegel, Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling)
La filosofia non è qualcosa che ci si sente di fare o una curiosità che si ha voglia di soddisfare. La filosofia non appartiene al piano dell’accidentalità o della rappresentazione. È un processo che avviene dentro l’uomo inevitabilmente, a noi sta solo la scelta di riconoscerlo o meno. La filosofia è il tentativo di dare risposta a tutto ciò che è. Ragioniamo per associazioni e emaniamo giudizi, necessariamente. Appena pensiamo ad un oggetto lo associamo a qualcosa che abbiamo già esperito; lo stesso per le persone, i luoghi, i sentimenti. Cerchiamo continuamente di darci risposte, di unificare parti che ci si presentano davanti. Giudichiamo tutto ciò che ci circonda, in questo modo possiamo orientarci nell’agire.
Cerchiamo continuamente di collegare rappresentazioni, così da poter creare una sorta di ordine nel nostro modo di vedere la realtà.
La separazione è fortemente pericolosa per l’uomo, il non saper comprendere qualche avvenimento o situazione è fortemente destabilizzante. Parafrasando Joker nel Cavaliere oscuro, nessuno va nel panico quando le cose vanno secondo i piani, ma non appena si introduce un po’ di caos tutti perdono la testa.
La filosofia è la risposta al caos, è il cercare di risolvere le contraddizioni che si vengono a creare. Solo da questa lacerazione parte il tentativo di unificazione, il bisogno di ritornare all’Uno.
Questi sono ragionamenti solo da filosofi? No.
Perché questi ragionamenti dovrebbero appartenere anche a chi non studia filosofia?
Perché ogni persona ha delle problematiche da risolvere, è stata in difficoltà rispetto ad una decisione o ha sofferto per qualcosa. Ecco, ogni tentativo di dare delle spiegazione è fare filosofia.
Certo, sarà una filosofia povera, se non si avrà compreso abbastanza. Ogni tentativo di spiegazione, però, è un mettere in discussione il tutto, anche se in minima parte. Il tutto è composto da parti e queste sono connesse tra loro e inseparabili.
Ponendoci delle domande e cercando di darci delle risposte, mettiamo in discussione il Reale; ci facciamo elettori di noi stessi ̶ usando un’espressione di Bontadini ̶ , ci facciamo cioè filosofi.
« La filosofia è l’espressione riflessa, ̶ perciò critica e sistematica insieme ̶ della presa di posizione che ogni uomo opera con il suo personale inserirsi nell’esistenza. » (Gustavo Bontadini, Appunti di filosofia)
L’errore da non fare, già reso noto da Hegel nella Fenomenologia, è quello di considerarci tutti filosofi allo stesso modo, in quanto disponiamo della ragione. Da una parte siamo tutti filosofi perché rientriamo nel meccanismo sopra descritto, dall’altra certi grandi uomini della filosofia non possono essere nemmeno comparati a persone che hanno compiuto atrocità e si sono rese fortemente contraddittorie.
La filosofia, come comunemente viene intesa, cioè un insieme di pensieri, non è altro che il radicalizzarsi di alcuni ragionamenti, che si sono trasformati in libri, correnti, scuole, movimenti. Ognuno di noi ha questo compito: cercare di sistematizzare (comprendere), ciò che pensa. Non è solo il compito di qualche professorone o intellettuale da caffè.
« [La filosofia] vuole tutto quel pensamento del conoscere e dell’essere (e del volere) che poi è l’arbitrio supremo e insieme suprema autodeterminazione (libertà) dello stesso volere, dello stesso esigere. » (Ibidem)
Sapiente è colui che indirizza l’azione secondo l’ordine dell’essere. La filosofia serve concretamente a orientare la volontà secondo l’ordine delle cose. Il termine “concretamente” non significa ciò che porta guadagno o ha a che fare con qualcosa di materiale, ma piuttosto coincide con ciò che è esauriente, che tiene presente il maggior numero di relazioni possibili.
Ciò che è concreto, è ciò che si avvicina di più al vero, è suprema libertà del nostro agire. Questa libertà non è qualcosa di indeterminato e soggettivo, ma la ricerca del non-contraddittorio.
Ecco che tutto quel ragionare e pensare, di cui si accusano i filosofi, non è altro se non un cercare di rispondere ad un’esigenza che tutti hanno connaturata. L’agire rispecchia quello che siamo. Noi siamo ciò che pensiamo. Sentimenti, predisposizioni, inclinazioni, reazioni passano attraverso la ragione: vengono metabolizzati nel tempo da essa.
Sembra proprio che, per essere persone concrete, non si possa far altro che essere filosofi; altrimenti si rischia di agire con superficialità e impulso. Non proprio il massimo, se si ha a cuore la propria esistenza.
13 gennaio 2020
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