La riflessione in merito alla nozione di bello è una costante di ogni epoca: di continuo le nostre mani cercano di afferrare i criteri che lo definiscono, ma ciò che in genere si conquista è solamente una momentanea illusione.
di Anna Favero
In tema di bellezza Tommaso D’Aquino si esprimeva dicendo: «Bello è detto ciò la cui stessa apprensione piace». Una frase semplice, che presenta in modo diretto un concetto tutt’altro che banale.
Quante volte nel corso della giornata, d’innanzi alle più svariate occasioni, oggetti, persone ci capita di dire o pensare che bello? Ma un termine amico che pronunciamo con tanta naturalezza non potrebbe forse celare un senso più profondo?
Di continuo ci si interroga sull’esistenza di criteri che definiscano la bellezza, si cerca di comprendere il motivo per cui sviluppiamo una particolare ammirazione per qualcosa piuttosto che per qualcos’altro, e di fronte a questo tentativo, rimaniamo esterrefatti dalla mutevolezza di tale concetto. Ciò che più incuriosisce è la presunta relatività del bello ed il suo saltellare tra una dimensione razionale e irrazionale.
Ad una prima indagine, si rivela importante sottolineare il ruolo del piacere nell’esperienza estetica. L’uomo infatti passa ogni attimo della propria vita alla ricerca del soddisfacimento fisico o mentale, cercando di appagare il proprio animo mediante i sensi e il compimento di ciò viene generalmente affiancato dall’illusione di aver rinvenuto la bellezza. Tuttavia siamo portati ad apporre talmente tanto l'aggettivo bello a tutto ciò che in modo immediato ci affascina, incuriosisce o soddisfa, da finire nel sottrarre sempre più valore al potente significato del termine.
Sono state effettuate numerose ricerche sull’impatto che i sensi hanno nella mente e nella capacità di essi di generare piacere. Semir Zeki, neurobiologo dell'University College di Londra, si è adoperato in uno studio che investiga il rapporto tra l’estetica dell’arte e il cervello umano. Dopo aver chiesto a 21 volontari di esprimere un giudizio su alcune opere d’arte visive o musicali, classificandole tra belle, brutte o indifferenti, ne ha analizzato l’attività cerebrale durante l’ascolto o l’osservazione.
I risultati della sperimentazione hanno evidenziato come di fronte a un’opera precedentemente giudicata positivamente, corrispondesse l’attivazione della corteccia cerebrale orbito-frontale e del nucleo caudato, zona molto profonda del cervello che si attiva anche grazie all’amore romantico. Al contrario, nessuna attività era riscontrata in seguito al contatto con opere giudicate negativamente.
Simile è il concetto nel DMN, abbreviazione di Default Mode Network, rete neurale distribuita in diverse regioni corticali e sottocorticali, generalmente attiva durante le ore di riposo e nelle attività passive, riflettendo una sorta di stato interiore in cui la mente vaga, accede ai ricordi, prova emozioni. Tali aree – variabili tra gli individui ma in genere riconducibili ad ippocampo, giro para-ippocampale, corteccia prefrontale mediale, regioni temporali laterali e temporo-parietali e cortecce posteriori mediali – si attivano alla visione di opere, dipinti, paesaggi che attirano la nostra attenzione.
Questo curioso funzionamento dell’organismo sembra innescare una sorta di legame involontario tra il soggetto e ciò con cui entra in contatto, portando un gran numero di individui a sostenere che la bellezza non sia altro che il concetto che ciascuno possa possedere.
L'affermazione di David Hume «La bellezza delle cose esiste solo nella mente di chi le osserva» viene spesso interpretata troppo sbrigativamente, giustificando la soggettività di giudizio da persona a persona data dalla differenza tra queste e diventa di conseguenza difficoltoso mettere in discussione il parere estetico di qualcuno e capirne l’origine. Ciò che andrebbe tuttavia evidenziato è che tale soggettività si rivela essere solamente il frutto dell’immediatezza: il piacere suscitato dalla vista di un bel paesaggio, dall’osservazione di un dipinto, dall’ascolto di una melodia può essere reale, ma nulla toglie che l’opinione possa mutare in un momento successivo.
« Il piacevole vale anche per gli animali non razionali; il bello solo per gli uomini, cioè per enti animali, ma razionali, ma per l’appunto in quanto non solo razionali (per esempio spiriti), bensì al contempo anche animali; il buono, invece, per ogni essere razionale in generale. » (I. Kant, Critica della capacità di giudizio)
L’aspetto interessante della bellezza è proprio ciò che la rende tanto difficile e misteriosa: la propria mutevolezza e impalpabilità, il fatto che un attimo prima la si scorga in qualcosa, e l’attimo successivo scompaia o cresca all’aumentare della conoscenza e della consapevolezza che il soggetto ha su ciò con cui entra in contatto.
Come scrisse saggiamente Oscar Wilde nella prefazione al Ritratto di Dorian Grey: «l’arte in verità non rispecchia la vita, ma lo spettatore. Il contrasto delle opinioni suscitate da un’opera d’arte indica che l’opera è nuova, complessa, vitale». Ciò che dà senso all’arte e alla bellezza quindi è la curiosità di conoscenza e, assieme ad essa, il procedere del progresso. Il bello viene percepito solo da colui che sa interrogarsi sul senso delle cose, confrontando gli stimoli che riceve dall’esterno con la verità al proprio interno. Senza questo passaggio qualsiasi giudizio estetico si limita ad una percezione vuota e priva di reale peso. L’estetica, la bellezza, l’arte sono esperienze individuali, ma maggiore sarà la conoscenza posseduta, maggiore sarà la potenza di tale esperienza.
24 gennaio 2020
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