Hi yo I got a plenty of time

 

Quando tutto scorreva apparentemente veloce, ci sentivamo ovunque a casa. Le innumerevoli aperture di senso del mondo esterno ci rassicuravano nella lettura dell'Heidegger pensatore della modernità. Leggendolo "a cuor leggero" abitavamo con disincanto i nostri spazi vitali. Ora, però, che sembriamo sospesi "nel regno dell'indeterminato", in cos'altro possiamo sperare? Tutto sembra ripetersi perfettamente come prima, senza alcuna direzionalità o possibilità di cambiamento. Il rinvenimento dalla malattia che ci attanaglia è tutt'altro che anticipabile dal punto di vista comunitario. Quindi, cos'altro possiamo fare e in cosa altro possiamo credere? 

Hans Holbein, "Il Giovane Cristo morto nel sepolcro" (1521)
Hans Holbein, "Il Giovane Cristo morto nel sepolcro" (1521)

 

Fare esercizi, rimanere in contatto con i propri cari, ascoltare musica, impegnarsi nel portare a termine quei compiti sospesi per cui si era troppo stanchi o troppo presi da continue priorità, magari iniziando da quel libro comprato e mai sfogliato. Sono tutte azioni più o meno quotidiane che possono aiutarci a mantenere una stabile routine con cui affrontare lo stress da COVID-19. Tuttavia, sarebbe utile fermarsi qualche istante prima ancora di immergerci nuovamente in passatempi e riflettere su ciò che ci appare, nella normalità, così triviale.  Il concetto che ci è più familiare è quello del mondo come contesto reale, così definito da una certa assertività scientifica. Per via di una paradossalità ineludibile del pensiero umano, ci è divenuta altrettanto ovvia la visione opposta, quella impersonificata dall'Heidegger pensatore della modernità. O meglio, dei limiti intrinsechi alla visione «logicista» imperante nell'Occidente diviso. Quando ci sfuggiva il significato profondo del dadaismo, quando ci apparivano come teppisti o disturbatori sociali, non ci interrogavamo su ciò che volessero veicolare con le loro azioni artistiche di sovvertimento dell’ordine prestabilito; semplicemente li respingevamo con il manganello ritenendoli improduttivi emarginati. Quando invece abbiamo compreso come dare un prezzo alla serialità dell’opera d’arte, abbiamo iniziato ad apprezzare le forme artistiche di evasione e le abbiamo pacificamente accettate in un continuo ripetersi.

 

La smisurata estensione entro cui facevamo esperienza ci appariva come uno spazio reificabile che, in quanto nostro, era perfettamente colmabile da personali vissuti sociali. Questo meccanismo con cui quantificavamo la portata della nostra capacità di tessere relazioni, virtuali o reali, ci faceva sentire ovunque a casa. Qualcosa sembrerebbe cambiato dopo la prolungata necessità di misure coercitive di isolamento. La possibilità di esperire concretamente l'idea di mondo come rigido contenitore sembra averci proiettato in una gabbia opprimente. Potremmo esserci resi conto solo ora che all'essere umano a cui manca la dimensione della possibilità – del poter fare le cose nella totalità della spontaneità – è come se gli mancasse l’aria. Ci accorgiamo del possibile solo allorché, di fronte a situazioni estremamente problematiche, la vita stessa risulta soffocante. Restando senza possibilità – la personalità è infatti «una sintesi di possibilità e necessità» (Kierkegaard, La malattia mortale) – e l’io non può respirare per il fatto che non si può respirare esclusivamente la necessità. In questo modo, entro le anguste mura domestiche le innumerevoli possibilità sociali si sono ridotte ad asfissianti legami solipsistici. Riducendo l'abitare ad un susseguirsi di enti ripetutamente vissuti della soggettività, si è persa quella apparente pienezza della continua articolazione della vita fattuale (Faktizität).

 

Strutturazione pulsante
Strutturazione pulsante

 

Abbiamo creduto che quel fascino da "Filosofo delle forme mistiche" potesse aiutarci a distendere e lenire questa sorte di necessità. In realtà, ciò che sembra esser accaduto è che nell'esser stato ripetutamente sottoposto ad analisi, nell'aver acquisito una certa notorietà non solo filosofica, Heidegger si sia tramutato da un ammaliante passaggio obbligato, al conformistico oggetto di citazione e diffusione di massa. Ad esempio, quelle strutture onto-teologiche della muta "voce della coscienza", del "Si dice" e della "chiacchiera", che erano latenti strutture della quotidianità ora sono divenuti elementi accettati "a cuor leggero". Nella odierna visione di massa ci sentiamo tranquillamente a nostro agio nel criticarli. Diversamente, queste strutture dovevano esser intese in modo epocale come radicate in un diverso concetto di spazialità. In una delle sue opere oramai più famose egli delinea l'esserci – intrinsecamente legato a questo nuovo concetto di spazialità – come essere-nel-mondo in quanto fondamentalmente esistente nel mondo ed aperto alle continue possibilità:

 

« "in" deriva da innan-, abitare, habitare, soggiornare […] L’espressione "bin", "sono", è connessa a "bei", "presso". "Io sono" significa, di nuovo, abito, soggiorno presso… il mondo, come qualcosa che mi è familiare in questo o quel modo. "Essere" come infinito di "io sono", cioè inteso co-me esistenziale significa abitare presso…, aver familiarità con… L’in-essere è perciò l’espressione forma-le ed esistenziale dell’essere dell’Esserci che ha la costituzione essenziale dell’essere-nel-mondo. » (Heidegger, Essere e Tempo)

 

Giacomo Balla "La pazza" (1905)
Giacomo Balla "La pazza" (1905)

 

Quindi, a ben vedere, l'imprevedibilità, la mancanza di controllo, l'angoscia e la spasmodica attesa per le continue novità, quali ragioni scatenanti dei nostri disturbi, non sono però fattori confinabili esclusivamente a questa fase di eccezionalità. Essi, pur manifestandosi ora con una intensità e concentrazione maggiore, ci accompagnano quotidianamente attraverso varie forme di ansia sociale. La realtà di cui facciamo quotidianamente esperienza si manifesta in parte, e per alcuni, mediante un insieme latente di disaffezione per il prossimo e d'intorpidimento nei confronti di ciò che ci circonda. Questo perché, proprio come aveva rilevato lo stesso filosofo di Meßkirch, tendenzialmente riduciamo la realtà ad una continua dicotomia tra un soggetto sovrano ed un mondo esterno. Fondando la nostra normalità sociale su una struttura vuota, che assurge al suo ruolo di contrappasso dell’impalcatura dell’esistenza umana.  Alla luce di quanto detto, ripensare al nostro quotidiano modo di fare esperienza come qualcosa di nostalgicamente perfetto non è altro che un errore. Mediante questo orizzonte di senso, comprendiamo la fatticità esistenziale dell'Altro secondo una significatività chiusa, entro cui l’agire non predeterminato dell'«Idiota» o dello schizofrenico, divergendo dalle strutture prestabilite, viene visto come un'anomalia che può trovare rifugio solo nel dramma e nella purezza dell'immaginazione creativa di un Dostoevskij, di un Van Gogh, di un Franz Marc o di un Flaubert.

 

Ciò avviene proprio mediante quegli strumenti che ci illudono di esser continuamente interconnessi e con cui crediamo di poter operare una decostruzione onnicomprensiva delle realtà. Facendo fronte all’incertezza, alle difficoltà di descrivere realmente ciò che è sano e ciò che è malato, ciò che è netto e ciò che è sfumato. Diversamente, per quanto duro e complesso possa apparirci, dovremmo esser disposti all'ascolto. Oltre ogni nostra prevedibile aspettativa. Rimanendo in attesa senza anticipare o ricostruire, dal nostro individualistico punto di vista, l'idea dell'Altro. Solo così potremmo renderci conto che le crisi esistenziali, le quali si ripetono e ripresentano continuamente, dilatano il nostro modo di vedere la realtà come apparente linearità. Mostrandoci che la normalità percepita – di volta in volta ogni giorno – è tutt'altro che rasserenante e che il tempo sociale non è affatto piatto e monotono.  Il più delle volte, però, a sfuggirci è il suo essere essenzialmente polivoco. Come si è detto, l'intima riflessione può non bastare, vivere come erranti cavalieri romantici, anche se entro il perimetro delle mura domestiche, non è sufficiente per un vero abitare degno di interrogazione (Fragwürdigkeit) e pensamento (Denkwürdigkeit). Poiché, attraverso questo crocevia dell'essere ogni possibile forma di raccoglimento si mostra come non risolutiva e non aggregante, forse dovremmo continuare a lasciarci distrarre da una buona lettura o da un ottimo film.  

 

 

13 giugno 2020

 




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