Il linguaggio è il ponte attraverso cui comunica la nostra sfera privata con il mondo esterno, e dobbiamo tener presente che non possono essere indipendenti queste sfere perché entrambe, la nostra intimità e il mondo esterno, vivono grazie all'altra, dal momento che si influenzano a vicenda.
Esiste un linguaggio “superprivato”, un linguaggio che creo e che conosco solo io, un linguaggio “superprivato” perché permette di esprimere proprio i miei sentimenti, le mie sensazioni, ciò che solo io sento? A questa domanda può aiutarci a rispondere Wittgenstein, il quale, ci dice Perisinotto in Introduzione a Wittgenstein, distingue innanzitutto tre tipi di linguaggio: il primo sarebbe quello usato nel monologo, comprensibile a chiunque anche se è qualcosa che viene detto da una sola persona, che dice cose che riguardano “solo” lei; il secondo tipo è quello che possiamo trovare nella forma di un diario intimo in cui chi l'ha scritto vi ha riportato i suoi sentimenti, magari in forma di codice, ma anche in questo caso il linguaggio verrebbe compreso, dopo essere stato decifrato; il terzo tipo, invece, è quello di un linguaggio che può essere compreso solo da chi lo usa e per questo si definisce “superprivato”. Ma per Wittgenstein, dice Perisinotto:
« […] è solo una fantasia, un edificio fantastico costruito con materiali fantastici. Uno di questi materiali è costituito dall'assunzione che la privatezza delle sensazioni, sentimenti, eccetera, sia una sorta di “superprivatezza”. Come Wittgenstein osserva nelle sue Note per la “lezione filosofica”, normalmente che i miei sentimenti siano privati significa che “nessuno può conoscerli a meno che io non li esibisca” o qualcosa che si potrebbe esprimere così: “se non voglio, non ho bisogno di dare alcun segno del mio sentimento”; in effetti, celare i propri sentimenti, far finta di non provare quello che si sente, mentire su quello che si prova veramente, eccetera, sono tutte cose che facciamo, nelle più varie circostanze della nostra vita e per gli scopi più diversi. [...] È con la privatezza intesa come superprivatezza che le Ricerche si confrontano. […] Vi sono [...] molte circostanze nelle quali io posso sapere che egli prova dolore, ma se lo posso sapere, non è “perché 'vedo dentro di lui'”, ma perché, in quelle circostanze, il dolore è, per così dire, “personificato nel [suo] volto. »
L'idea, quindi, che esista un linguaggio superprivato deriva dal credere che esista una superprivatezza, cioè che la privatezza della sfera dei sentimenti e delle sensazioni sia superprivata che appartenga solo al singolo; si pensa che, a meno che non dica cosa sento, l'altro non lo potrà mai capire. È chiaro che abbiamo la possibilità di scegliere cosa dire, che sentimenti esprimere a parole, ma il sentimento lo esprimiamo comunque, anche senza parlare. Infatti, ci sono diversi tipi di linguaggio: il modo di vestire, di camminare, di mangiare, i vari tagli di capelli, e non dimentichiamoci le espressioni facciali. Li chiamiamo linguaggi perché il linguaggio è ciò che permette di comunicare con il mondo, l'interno di ognuno di noi che comunica con l'esterno. È ciò che ci mette in relazione con gli altri, ciò che è parte costitutiva dell'essere uomo. Nel testo di Perisinotto, che abbiamo citato, infatti, si dice che in alcune circostanze «basta mi si guardi per vedere il dolore sulle ferite del mio corpo o che mi si ascolti per udirlo nei miei lamenti.»
L'anatomia umana è universale e i sentimenti li esprimiamo anche attraverso le espressioni facciali che pure sono universali e sebbene le sfumature possano essere diverse a seconda del luogo/cultura di appartenenza, la sostanza rimane la stessa. Lo studioso Paul Ekman, infatti, psicologo statunitense e autore della teoria neuroculturale, andò in Guinea per studiare i visi delle persone che abitavano in villaggi “isolati dal mondo”, “isolati” nel senso che non potevano essere stati influenzati dai media o da altri strumenti della globalizzazione, e per verificare la tesi sull'universalità di esprimere i sentimenti.
Il linguaggio è il ponte attraverso cui comunica la nostra sfera privata con il mondo esterno, e dobbiamo tener presente che non possono essere indipendenti queste sfere perché entrambe, la nostra intimità e il mondo esterno, vivono grazie all'altra, dal momento che si influenzano a vicenda.
Il rapporto di cui stiamo trattando lo percepiamo, per esempio, attraverso questi versi di Petrarca:
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:
sì ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co·llui
Il poeta non riesce a tener nascosto ciò che prova perché basta che gli altri uomini lo guardino per capire cosa sente. Egli riesce a cantare un sentimento universale: il dolore, lo struggimento, la ferita d'Amore che universalmente viene provato.
La poesia, ma la letteratura in generale è il mezzo attraverso cui i nostri sentimenti vengono messi a nudo perché un poeta, magari dall'altra parte del mondo, li sta rendendo manifesti.
Il poeta, attraverso il suo linguaggio privato, esprime la gioia, il dolore, l'amore, ciò che appunto appartiene ad ogni uomo, ciò che appartiene all'intimità di ogni singolo essere umano.
Le parole sono quelle del linguaggio comune, sono quelle che ci hanno insegnato da quando abbiamo iniziato a compiere i primi passi ed è su queste che ci esprimiamo, che raccontiamo, che cantiamo la nostra profonda privatezza e chi siamo. Alcune sono più raffinate di altre, alcune magari sono conosciute da pochi ma il senso di ciò che esprimiamo, i nostri sentimenti appunto, per quanto intimi, per quanto segreti non sono solo nostri, appartengono a tutti gli uomini.
Da una parte Wittgenstein e dall'altra la letteratura ci aiutano a comprendere, quindi, l'impossibilità dell'esistenza di un linguaggio superprivato dal momento che una superprivatezza non esiste; questo però non significa che la sfera privata venga negata. Il linguaggio privato, infatti, sussiste, proprio perché non c'è solo un linguaggio ma ce ne sono diversi, ognuno si esprime a suo modo: il linguaggio di Hugo non è quello di Baudelaire, quello di Dostoevskij non è quello di Tolstoj e quello di Dante non è quello di Petrarca. Eppure tutti loro si servono di parole comuni. Il linguaggio privato del poeta o del romanziere si mescola a quello comune generando un'opera d'arte.
Il linguaggio, quindi, non può essere superprivato, proprio perché, come abbiamo visto, non esiste una superprivatezza, ma questa impossibilità e quindi la manifestazione del rapporto che c'è tra l'io e il mondo può essere ancora una volta analizzata attraverso l'arte (letteratura, pittura, ecc...) vista, però, da una prospettiva diversa: invece di partire da ciò che è più intimo nel singolo per giungere alla manifestazione dell'universalità della propria intimità (come per esempio si è visto in Petrarca), si può partire da ciò che è comune a tutti per arrivare a esprimere ciò che è più intimo per il singolo. Dice infatti Wittgenstein:
« […] non c'è nulla di più straordinario, ho detto, che osservare un uomo intento a una semplicissima attività quotidiana, mentre si crede inosservato. […] vedremmo allora, improvvisamente, un essere umano dall'esterno, come non è mai possibile vedere se stessi; […] noi vedremmo la vita stessa. ̶ Ma noi questo lo vediamo tutti i giorni e non ci fa la minima impressione! Certo, ma noi non lo vediamo in questa prospettiva. ̶ […] Solo l'artista […] può rappresentare la cosa singola in modo tale che essa ci appaia come un'opera d'arte; […] L'opera d'arte ci costringe, per così dire, alla prospettiva giusta; senza l'arte, però, l'oggetto è un pezzo di natura come un altro. » (L. Wittgenstein, Pensieri diversi)
Il quotidiano appartiene a tutti, è sotto gli occhi di tutti e l'arte è ciò che fa apparire straordinario qualcosa che facciamo tutti i giorni, ci fa vedere l'intimità nel quotidiano, sciogliendolo dall'abitudine, dalla familiarità. Tale concetto meriterebbe un maggiore approfondimento che però non appartiene a questo articolo; qui, si è voluto far riferimento all'arte nel quotidiano proprio per cercare di spiegare ancora una volta il legame inscindibile tra l'io e il mondo e l'impossibilità di una indipendenza da parte della sfera privata.
Due prospettive diverse, quindi, per giungere alla stessa conclusione: il soggetto non può essere separato dal mondo e una superprivatezza non può esistere; e lo possiamo capire da una parte eliminando l'idea che esista un linguaggio superprivato, e dall'altra parte attraverso l'arte che può esprimere in modi diversi il rapporto tra interno ed esterno, o a partire dai sentimenti del singolo individuo oppure partendo dal quotidiano per indagare i meandri dell'intimità. In entrambi i modi si realizza quel dialogo eterno tra la nostra segretezza (che è comune) e il mondo, il quotidiano (che è proprio di ogni uomo).
26 giugno 2020
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