Nel Novecento, il fenomeno della massificazione e dell'omologazione industriale ha investito anche il mondo dell'arte. Oltre a una evidente perdita, ciò può costituire anche una preziosa occasione di liberazione definitiva dall'utilizzabilità. La lettura di Marc Bloch.
Ernst Bloch (1885-1977), nel suo saggio più celebre ossia Spirito dell'Utopia, la cui seconda edizione risalente al 1923 accentua ulteriormente le posizioni marxiste-ortodosse del filosofo, in alcune pagine imposta la rivolta contro il livellamento, la meccanizzazione dei processi lavorativi e la massificazione, posizione che le Avanguardie incarnano da un punto di vista inedito.
Un'analisi che si muove insieme a quella contemporanea operata da Spengler nel suo Il Tramonto dell'Occidente e che, pur seguendo una traiettoria parallela, porterà ad una possibilità di riscoperta dell'Arte grazie proprio al clima da cupio dissolvi che permea il mondo della tecnica e del controllo.
Un brano esemplificativo, non privo di ironia, ci permette di capire come Bloch percepisca l'impatto che la modernità ha sugli elementi che costituiscono la quotidianità del nostro
vivere:
« La Macchina è riuscita a rendere ogni cosa inanimata e subumana nel particolare come lo sono allo stesso modo, nel complesso, i nostri nuovi quartieri.
Sua autentica meta sono la stanza da bagno e il gabinetto, le realizzazioni più indiscutibili ed originali del nostro tempo, esattamente come i mobili del rococò e le cattedrali del gotico erano nella loro epoca opere d'arte rappresentative che determinavano tutte le altre mentre oggi regna sovrana la lavabilità. »
Non serve sottolineare come l'allusione polemica celi un significato ben chiaro e che, alla luce dell'attuale post-modernità, risulti quasi profetica: la Macchina è riuscita a rendere uguale ed impersonale ogni cosa, persino il mondo della nostra vita quotidiana che si incarna nello spazio abitativo.
Bloch, proseguendo nel saggio lungo questa bisettrice critica, ci parla del problema dell'ornamento e della decorazione degli oggetti che ci circondano, quindi di quello che potremmo definire l'ammobiliamento della nostra vita.
I mobili in mezzo ai quali viviamo, gli strumenti, i suppellettili e tutto quanto va a riempire la spazialità della nostra esistenza quotidiana sono quelli più duramente colpiti e snaturati dalla produzione di massa.
L'omologazione, che contraddistingue i processi di creazione industriale, è il tratto distintivo della nostra epoca.
Non "creiamo" più la nostra esistenza ma questa diviene un prodotto omologato e inquadrato dentro a determinati processi e teso a soddisfare dinamiche preimpostate.
Una costrizione che, inevitabilmente, porta ad una reazione, alla necessità di un superamento del meccanismo alla ricerca di nuovi orizzonti metafisici e utopici.
Pertanto l'idea dell'utopia, per come la teorizza Bloch, passa per un moto d'avanguardia interiore: individuare una "realtà del sé", quel "segreto monogramma del sé", inteso come sigla indelebile del proprio Io, come firma autentica dell'assoluta singolarità e irripetibilità dell'individuo, un ritrovamento possibile solo nella misura in cui decidiamo di reagire contro l'imposizione livellante del mondo esterno.
Tale ricerca deve passare per l'Espressionismo, ossia il movimento contrario al lasciarsi imporre dall'esterno le espressioni, tirando fuori dall'interno ciò che autenticamente ci appartiene, un ribadire dell'interiorità sull'esteriorità.
Tuttavia, secondo il filosofo tedesco, la rievocazione della "realtà del sé" come difesa contro il sorgere del mondo meccanizzato e dalla produzione in serie può, di riflesso, permettere di
emancipare un aspetto del processo tecnologico.
Il mondo del tramonto dell'Occidente, privo di spazialità autentica, permeato dall'organizzazione tendenzialmente totale della vita individuale e associata può non essere solo un nemico contro cui opporsi ma un'occasione di liberazione dell'Arte.
«La tecnica consapevolmente funzionale» dice Bloch «porta tuttavia, in determinate condizioni, alla significativa liberazione dell'Arte, sia dagli eccessi di stile e della stilistica del passato, sia dalla nuda forma funzionale».
In altri termini, la dimensione prettamente tecnologica degli oggetti di uso quotidiano può essere letta in termini ambivalenti ma derivanti dalla stessa radice, l'uno squalificante l'altro.
Da una parte c'è il pericolo della massificazione, dell'omologazione generale quindi alla perdita dell'individualità ma, dall'altra la possibilità che questo processo riveli l'Arte nella sua verità poiché la funzionalizzazione degli oggetti permette all'Arte di essere nuovamente Arte, liberandola dalla schiavitù dell'utilizzabilità.
Pur nel sempre più difficile equilibrio del mondo post-industriale, nella soluzione tecnologica, quindi nella produzione in serie, c'è da un lato il rischio che questa ci spersonalizzi tutti ma dall'altro la possibilità che diventi il mezzo per ritrovare la "realtà del sé" in cui è custodita l'Arte in quanto Arte.
Solo squalificando la prima si può arrivare alla seconda, una catarsi necessaria come possiamo apprendere dalle parole di Bloch:
« Oggi sembra che nulla di artigianale sia mai stato costruito e possa essere lasciato in eredità perché tutto è meccanico ma, in compenso, dipingiamo di nuovo come i selvaggi nel senso migliore del primitivo, dell'inquieto, dello spensierato e del preoccupato. »
15 giugno 2020
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