I momenti di crisi sono spesso propizi per riforme in sostegno di forti interessi economici che altrimenti dovrebbero interfacciarsi con un'opinione pubblica avversa quando l'incremento degli utili segue strade illegali e impopolari. In piena epidemia da coronavirus il governo brasiliano ne dà chiaro esempio.
Un video reso pubblico dalla Corte Suprema del Brasile ha messo sotto i riflettori il ministro dell’ambiente del governo Bolsonaro, Ricardo Salles. In quelle immagini, infatti, Salles interviene durante il Consiglio dei Ministri portando all’ordine del giorno l'urgenza di procedere con le variazioni alla legislazione del suo ministero e ciò che ne esce è un quadro desolante: «Dobbiamo fare uno sforzo ora che la copertura mediatica è calata e tutti parlano solamente del coronavirus, e fare pressione per cambiare le leggi e semplificare le norme», «Non abbiamo bisogno del Congresso. Perché con il caos attuale non ce la faranno mai passare», sono solamente due delle frasi molto inquietanti dette da Salles.
Il video pubblicato attraveso i canali BBC e riportato sul canale di Fridays For Future Italia.
In realtà, non è certo una novità che il presidente Bolsonaro stia attuando in Brasile una governance che va in direzione totalmente opposta ad una visione di conservazione e salvaguardia ambientale, di rispetto per le popolazioni indigene che popolano l’Amazzonia, e di incremento del benessere sociale. Tale impostazione è stata chiara dal momento della candidatura alla presidenza e poi realizzata. Nel 2016 Bolsonaro ha dichiarato che «questa politica unilaterale di demarcazione delle terre indigene da parte dell’Esecutivo cesserà di esistere, e ridurrò l’estensione di ogni riserva che potrò. Sarà davvero una grande lotta con le Nazioni Unite» e nel 2018 ha rinforzato l’idea così «Se diventerò Presidente, non ci sarà un solo centimetro in più di terra indigena», dando un chiaro messaggio di come intendesse gestire la delicata questione indigena, da anni al centro di battaglie sociali che nascono per difendere i diritti umani e la salute del pianeta dalla continua minaccia di devastazione ad opera di privati.
Ad ogni modo le parole proferite dal ministro Salles devono mettere in guardia su due aspetti fondamentali: prima di tutto l’evoluzione dei media sempre più evidente verso una standardizzazione e omologazione dei contenuti e una crescita economica che avanza sempre più spesso con metodi impopolari o illeciti. La relazione che c’è tra i due si evince in questo caso dal video stesso e vede il primo indirettamente funzionale al secondo.
Il sistema mediatico creatosi negli anni consiste di una comunicazione pubblica sempre meno volta al riscontro della realtà nella sua interezza ma piuttosto alla costruzione di un rapporto tra venditore e cliente. Se è vero che con i canali di informazione privata la realtà dei fatti viene spesso distorta per essere adattata a contenuti e messaggi di proprietario e azionisti, anche le reti pubbliche sono infatti vittima di una effetto collimatore che intacca i mass media in modo generalizzato, il quale porta appunto ad una univocità della focalizzazione sui fatti che di volta in volta smuovono maggiormente l’opinione pubblica. Viene così offerto automaticamente ciò di cui la maggior parte della popolazione è preoccupata e per tale motivo ha un potenziale di vendita maggiore rispetto a tutto il resto.
Quando nei decenni ‘80 e ‘90 venne aperto il mondo dell’informazione ai privati, scardinando l’esclusiva nazionale tipicamente fondata su una prospettiva di “informare, intrattenere, educare” la possibilità di una eterogeneità della comunicazione e di una molteplicità delle opinioni veniva comunque cancellata dal concetto stesso di rete privata, quindi dedicata primariamente, nonostante tutto, alla capitalizzazione dei suoi prodotti vertendo su ciò che ovviamente soddisfa la clientela . In questo modo, come effetto collaterale o talvolta come precisa strategia politico-economica, i mass media si sono fatti strumento di distrazione da fatti che se posti davanti al pubblico giudizio non sarebbero stati accettati volentieri, perché non indirizzati all’interesse comune ma piuttosto di una ristretta èlite – frequentemente con conseguenze gravi, invece, su tutta la comunità – o perché addirittura illegali.
Prendendo ancora come esempio il ministro Salles e controllando i suoi trascorsi amministrativi come Sottosegretario di Stato all’Ambiente per lo stato di San Paolo si può constatare che egli nel 2017 è stato accusato di aver violato le norme ambientali per la manomissione dei piani di gestione dell’area protetta del fiume Tietê, favorendo in questo modo gli interessi economici della Federação das Indústrias do Estado de São Paulo, ossia il mondo della grande industria brasiliana. Ancora una volta non ci si allontana da questo tipo di pratiche che hanno segnato un evidente cambio di tendenza nelle politiche ambientali del Brasile. Dopo anni che il disboscamento dell’Amazzonia segnava una progressiva diminuzione, la presidenza di Bolsonaro ha portato fin da subito ad un nuovo aumento degli ettari tolti alle popolazioni indigene e alla biodiversità, senza contare che si tratta anche di un danno alla salute della popolazione globale, visto il risaputo contributo di quella parte del globo all’assorbimento della CO2 dall’atmosfera ma, dopo questi mesi di pandemia, anche il pericolo dell’esposizione dell’uomo a nuovi virus nel momento in cui gli habitat vengono stravolti e specie altrimenti estranee allo stesso ecosistema entrano in stretto contatto.
Le attività che hanno più interesse nello sfruttamento dei territori della foresta Amazzonica si rifanno al settore minerario e zootecnico, entrambi responsabili di un ulteriore grave impatto ambientale in seguito alla deforestazione.
Greenpeace riporta molti esempi in cui la filiera della carne che poi arriva sui banchi internazionali tesse stretti affari con attività illecite con una serie di passaggi atti a evadere la tracciabilità dei prodotti, illustrando il cosiddetto processo del cattle laudering. Dapprima vengono disboscate intere porzioni di suolo pubblico occupato da foreste che vengono poi lottizzate ed usate per allevare bestiame. In un secondo momento lo stesso bestiame gestito illecitamente si trasforma quando viene trasferito in aziende che operano legalmente perché non coinvolte, almeno direttamente, nella deforestazione e nell’usurpazione delle terre. Ecco che al momento della macellazione e della vendita la carne risulta prodotta in modo del tutto rispettoso delle norme attuali, ammesso e non concesso che siano effettivamente sostenibili. Questo è ciò che succede nel caso del Serra Ricardo Franco State Park, dove il 24% della superficie è stata disboscata e il 71% reclamato dagli allevatori al Cadastro Ambiental Rural, un registro pubblico dei territori rurali.
Come si può pensare, partendo da una situazione già oggi così compromessa, l’evoluzione verso una semplificazione delle leggi in materia che il governo brasiliano intende attuare con il favore delle “tenebre” in cui l’epidemia da coronavirus ha fatto cadere l’intero paese? Se tali progetti dovessero venir attuati si avrebbe ancora una volta la legalizzazione coatta di pratiche prima criminali, volte all’arricchimento di interessi privati e molto circoscritti ma contrari ad un benessere sociale, in netto contrasto con il rispetto dei diritti umani nel momento in cui zittiscono nel sangue le proteste dei popoli indigeni per la sopravvivenza.
Il cerchio si chiude (forzatamente) con il silenzio dei media se gli interessi di quei pochi imprenditori, inquinati all’origine da pratiche criminali, risultano all’opinione pubblica generale come un incremento economico e di welfare, spesso rinforzato dal fatto che i prodotti derivanti vengono magari accolti come di più facile accessibilità per tutti.
19 giugno 2020
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