Contemporaneamente a uno sviluppo mediatico senza precedenti, si sta tracciando quel sentimento egoista e individualista, tipico di una società che guarda ai singoli interessi e non alla totalità in cui è immersa, venendo sempre meno all'ideale morale della filosofia kantiana.
di Francesca Segna
La cifra della società odierna è la sua frenesia settorialistica, che mira al “successo” del proprio ambito ristretto, al profitto suo proprio come obiettivo incondizionato. Così, ogni settore perde il proprio valore e lo scopo per il quale è stato edificato, il suo interesse sociale per la comunità politica che lo consente, per la totalità in cui è sviluppato.
Il giornalismo odierno ne è lo specchio, un esempio lampante: molte delle informazioni riguardanti la sanità globale e la sofferenza di tutti i giorni sono difatti tralasciate nella loro complessità, per lasciar spazio a singoli eventi, in cui tutto è abitualmente ridotto a cronaca.
Nicholas Donabet Kristof, giornalista del New York Times, Op-Ed Columnist, nel documentario Dentro la mente di Bill Gates, afferma:
« Nel giornalismo ci occupiamo di quello che succede oggi: una conferenza stampa, un’esplosione. Non parliamo delle cose quotidiane, tralasciamo le storie sulla sofferenza quotidiana. E tralasciamo le storie che migliorano le condizioni di vita di tutti gli umani […]. Nel giornalismo si punta a degli sguardi e la salute globale non è fra questi. »
Eppure i problemi riguardante la sofferenza quotidiana e la sanità sono molti e preoccupanti. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), nel rapporto sulle statistiche sanitarie mondiali, rivela:
« Le malattie non trasmissibili hanno causato 41 milioni di decessi nel 2016, pari al 71% di tutti i decessi nel mondo; la metà dei 7,3 miliardi di persone nel mondo non può accedere ai servizi sanitari essenziali. »
Secondo un recente rapporto dell’UNICEF e dell’OMS:
« nel mondo una persona su tre continua a soffrire uno scarso accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari. Circa 2,2 miliardi di abitanti del pianeta non dispongono di un accesso all'acqua potabile gestito in sicurezza, ben 4,2 miliardi non possiedono servizi igienici adeguati e complessivamente 3 miliardi non hanno gli strumenti basilari che occorrono per un semplice ma indispensabile comportamento igienico: lavarsi le mani. »
Come riporta Kristof, però, il giornalismo rivolge la sua attenzione sugli spettatori, non sul valore delle informazioni. È anch'esso sempre più appiattito su una visione frivola, che si riduce facilmente al gossip, che rincorre il sensazionalismo dei social, a cui il pubblico si abitua. Le informazioni che interessano la maggior parte della popolazione sono legate anch’esse a quei desideri consumistici e di immediata fruizione che distolgono l’attenzione da ciò che conta realmente.
Si rimane in superficie anche quando si crede di fare sul serio. Se si parla di povertà, lo si fa per elogiare le nazioni e le organizzazioni o le istituzioni che inviano annualmente aiuti ai Paesi più poveri, ma ignorando totalmente la causa di tale condizione. Jason Hickel, nel libro The divide, esplicita i motivi di tale condizione di povertà, dimostrando come essa sia stata creata proprio da quelle nazioni più ricche elogiate per gli aiuti che donano.
« Lo sviluppo dell’Europa – spiega Hickel – non sarebbe mai potuto avvenire senza il saccheggio delle colonie, il sottosviluppo del sud del mondo non era altro che una delle conseguenze del modo in cui le potenze occidentali avevano organizzato il sistema mondiale per anni, prendendo il controllo delle loro materie prime per costruire le loro industrie senza l’interferenza degli occidentali […]. Europa e Stati uniti Usarono il loro potere per sottomettere l’economia di un mondo che si stava sviluppando in modo universalmente equo. »
A distanza di anni dal colonialismo e dall'imperialismo, però, la situazione non pare mutata, se non lievemente: i fondi, guardati con ammirazione, destinati agli aiuti per lo sviluppo, nella realtà sono poca cosa se confrontati con le perdite strutturali e i flussi in uscita a danno dei paesi del sud del mondo, da parte di quelle nazioni “benefattrici”.
L'umanità soffre, e pure l'ambiente in cui vive, sempre più. Se consideriamo la vita di tutti i giorni, molto probabilmente ancora non ci rendiamo conto che molte nostre azioni non fanno che innescare la distruzione ambientale a cui stiamo assistendo. Eppure, nonostante gli occhi puntati sulle conseguenze, in pochi esplicitano le cause di tutto ciò, lasciando la società in un'ignoranza che la fa sentire non colpevole.
L’Onu, in un suo rapporto con l’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico), asserisce:
« Le attività umane si stima che abbiano causato approssimativamente 1 grado di riscaldamento globale dai livelli pre-industriali, con una variazione probabile da 0,8 gradi a 1,2 gradi. Il riscaldamento globale è probabile che raggiunga 1,5 gradi fra il 2030 e il 2052, se continua ad aumentare con questo ritmo. »
La Direzione generale per l’Azione per il clima, della Commissione Europea, afferma che ciò che danneggia maggiormente il nostro pianeta sia
« la combustione di carbone, petrolio e gas che produce anidride carbonica e ossido di azoto, l’abbattimento delle foreste: gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo CO2 dall'atmosfera. Abbattendoli, quest'azione viene a mancare e la CO2 contenuta nel legno viene rilasciata nell'atmosfera, alimentando in tal modo l'effetto serra […]. Lo sviluppo dell’allevamento di bestiame […]. »
Inoltre, in accordo con il rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), asseriscono:
« Il settore dell'allevamento è la più importante fonte di inquinanti delle acque, principalmente deiezioni animali, antibiotici, ormoni, sostanze chimiche delle concerie, fertilizzanti e fitofarmaci usati per le colture foraggere e sedimenti dai pascoli erosi. I bovini e gli ovini producono grandi quantità di metano durante il processo di digestione. I fertilizzanti azotati producono emissioni di ossido di azoto. I gas fluorurati causano un potente effetto serra, fino a 23.000 volte più forte dei quello provocato dalla CO2. »
Ma in una società sempre più industrializzata come la nostra, basata su meccanismi che contribuiscono all’avanzare di questo problema globale, creare informazioni allo scopo di un miglioramento della sanità collettiva, va a discapito di quelle aziende, fabbriche, industrie capitalistiche che continuano a produrre quantità elevate di agenti inquinanti che stanno pian piano distruggendo il nostro pianeta e che spesso finanziano i media. L'esempio eclatante di questi giorni è la trasmissione in almeno 11 telegiornali delle stesse parole, celebrative delle politiche adottate da Amazon.
Dunque dai capitalisti alla società, dai giornalisti all’ascoltatore, cosa è doveroso e più giusto fare? Dovremmo ripartire dai fondamenti, sempre meno in vista.
« Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo. »
Il monito di Kant nella Critica della ragion pratica ci spinge a riconoscere che è nell'azione morale che troviamo il valore di ciò che facciamo e il fondamento del bene comune.
È evidente che nella società odierna ci troviamo di fronte individui che affermano il proprio interesse immediato su quello della comunità, che si considerano altro da ciò che li circonda. Presto o tardi quella piccola parte di felicità che, ignari, credono di aver ottenuto, non si rivelerà che illusoria. Ma se non sarà presto, sarà troppo tardi per rimediare. Per tutti.
4 giugno 2020