È davvero inscindibile il legame alle nostre radici? È irreversibile la nostra incapacità ad amputarle in maniera definitiva? Un breve excursus attraverso alcune tappe storiche.
Significato ed etimologia
Tradimento: dal latino tradère. Composto dalle particelle trans (oltre, al di là) e dère (consegnare, dare). Definito come «l’atto e il fatto di venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà: commettere un t., macchiarsi di un t. infamante; t. di un’idea, di una causa, dei compagni di lotta, di un amico; con particolare riferimento al dovere o all’impegno di essere fedele al coniuge o alla persona cui si è uniti da un rapporto d’amore e d’affetto: il loro matrimonio è fallito, pare per i continui t. del marito […]» (diz. Treccani).
Tradizione: dal latino traditio-onis «Nel significato etimologico, è voce dell’uso giuridico, indicante la consegna di una cosa mobile o immobile, che ha per effetto il trasferimento del possesso della cosa, soprattutto con riferimento al diritto romano» (diz. Treccani).
Già da una veloce lettura delle sole definizioni ed etimologie delle due parole, emerge un chiaro legame fra due concetti estremamente connessi. Nel latino tardo la parola “tradimento” è stata in effetti utilizzata anche come sinonimo di tradizione. Lo stesso dizionario di cui sopra, riporta, in merito al significato della seconda parola un significato al quanto raro e appartenente al mondo antico: «letter. Ant. Tradimento: nell’opinione del mondo e nella relazione degli storici rimase poi sempre incerta l’innocenza e la tradizione del Cardinale (P. S. Pallavicino)».
Nel corso delle varie epoche, nel corso dei differenti processi storici, sociali e culturali, il tutto si è tradotto, di fatto, su un piano puramente semantico, nell’eterna diatriba fra fedeltà alla tradizione e il suo non rispetto, il suo tradimento. Se da un lato il perseguire principi tradizionali investe di sicurezza e solidità morale, conferisce un’aura di “rispetto” e di omogeneità, garantisce una collocazione certa e quindi non spiazzante per il proprio simile, così bisognoso di certezze, vere o mendaci che siano; dall’altro, il suo non rispetto, il suo tradimento, ha generato, e continua a generare, effetti molto diversi a seconda delle diverse ere e, nelle stesse ere, in culture diverse. Tant’è che anche in una società quale quella attuale, in cui tutto sembra accelerare, dalle modalità di lavoro alle relazioni umane, ancora non si riesce ad eliminare il freno che la tradizione ci pone e ci impone; rimane, di fatto, solo un accelerare rispetto ad una velocità precedente perché, per poter correre davvero, occorrerebbe tagliare i freni.
Pare essere innato nell’essere umano il legame a qualcosa, il senso di appartenenza al gruppo, al ramo, all’albero. Probabilmente guidata dalla tendenza, prettamente animale, all’autoconservazione, l’aderenza alla tradizione, a prescindere dalle sue cangianti sfaccettature, rimane un baluardo a cui aggrapparsi nei momenti più bui. In cui auto-imprigionarsi per la paura stessa di vivere tali momenti. È così rassicurante rinchiudersi al buio di una cella illuminata da una piccola lampadina, rispetto al rischio di perdere la vista guardando alla luce vera.
E come si potrebbe, disquisendo di tradizione e tradimento, non riflettere su fede e religione? Come si potrebbe non parlare di ciò che divinizzando l’una pratica l’una e l’altra? Probabilmente la religione stessa ha insegnato agli uomini cosa è la tradizione; il desiderio di immortalità, il terrore dell’oscurità, la paura mascherata sotto auree promesse di eterno sono ciò che hanno reso il nodo di questo macigno ancor più stretto intorno ai nostri esili arti. Un passaggio cruciale nella distinzione fra uomo libero e uomo schiavo; fra la creazione di stili tradizionali e il tuffo nell’anarchia.
Diversamente, l’illuminismo ha tentato di porre basi solide per un salto in una direzione diversa; il risultato è stato parziale, e in qualche modo anch’esso schiavo: schiavo di schemi logici e di una ragione astratta, limitata. Ma un gradino più in alto verso la vetta dell’uomo libero, se inteso come libero di tagliare i suoi legami più profondi a proprio piacimento. Charles-Louis de Secondat barone di La Brède e di Montesquieu, un nome fra innumerevoli altri, operò una profonda critica, in piena ondata e stile illuministi nei confronti della Chiesa, della fede in un Dio e di tutto ciò cui questo comportava. Mise in luce, in una meticolosa analisi degli aspetti religiosi, la strumentalità di questa quale mezzo, molto più umano di quanto millantasse, nel raggiungere scopi e conquiste terrene più che ultraterrene. La sua Dissetation sur la politique Romains en matière de religion potrebbe essere letta come il manifesto di questa sua “battaglia”.
Ciononostante, nulla è concretamente cambiato. E l’uomo, nomade per nascita, ha continuato a peregrinare di tradizione in tradizione convincendosi durante ogni tappa di vivere libero e a suo agio in essa.
Più recentemente, collocandoci temporalmente in quel periodo storico distruttore di certezze per antonomasia, ossia il periodo a cavallo fra fine Ottocento e inizio Novecento, Bertrand Russell, in una sua nota, scriveva: «In etica come in altri campi del pensiero umano ci sono due tipi di opinioni: da una parte quelle rette sulla tradizione, dall'altra quelle che hanno qualche probabilità di essere giuste».
Emerge come da un lato abbiamo una definizione, etica in questo caso specifico, fissa, certa, la cui esistenza e solidità non è messa in discussione neanche dal motore giusto o sbagliato che la spinge, di un tipo di “opinioni”; dall’altra, nel mare dell’incerto, della sfida, si rileva invece la probabilità, o il suo contrario, l’improbabilità. Russell visse l’epoca di cambiamenti storico-scientifico-culturali per eccellenza; ed è in questi momenti, come del resto è stato il secolo dei lumi, in cui, più che in altri, emerge il sentore prima, il desiderio poi e la brama in ultimo, di cercare ciò che è al di là dello schema; al di là del dettame e del dovere morale e tradizionale.
Ancora, l’invenzione di Internet, l’avvento della modernità liquida così come definita da Zygmunt Bauman, l’esistenza di una società il cui tessuto è così fine da non essere più così visibile né tangibile, avrebbero potuto essere l’ascia per porre definitivamente fine al rimanere inchiodati a terra. Eppure, quelle radici rimangono lì. Nonostante il sudore per i colpi sferzati al tronco, nonostante le fatiche, continua ad essere presente un “Alessandro” in ognuno di noi; la nostra ascia rimane sfortunata prigioniera di crudeli tentacoli che, pur invecchiando, non lasciano la preda; a ricordarci il nostro scarso raggio di movimento, la nostra scarsa capacità di crescita; a ricordo del fatto che le nostre chiome crescono sì verso l’alto, ma le nostre radici sprofondano nel fango in maniera proporzionale.
«Che cos’è la tradizione? Un’autorità superiore, cui si obbedisce non perché comanda ciò che è a noi utile, ma perché lo comanda”». (Friedrich Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali)
È pur vero che tagliare una pianta, per quanto in basso si possa andare, non garantisce la sua distruzione. Forse, per quanto ci sforziamo, continuiamo a sbagliare strumento; e più che di lame avremmo bisogno di un martello.
2 giugno 2020