Nel ‘900, i totalitarismi furono in primo piano nello scenario politico ma la loro ascesa non fu casuale, bensì coincise con la massificazione sempre più diffusa della società e soprattutto con un cambiamento filosofico che influenzò fortemente quel periodo: il nichilismo.
di Alberto Frasson
I più importanti totalitarismi del ‘900, dalla Germania nazista all’Italia fascista avevano un fattore in comune: l’enorme consenso popolare che erano riusciti a riscuotere. In Italia il regime fascista aveva istituito organizzazioni di massa come l’Opera nazionale dopolavoro, i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti, l’Opera nazionale Balilla: tutte queste associazioni avevano un unico scopo, quello di entrare nella mentalità del popolo e di plasmare la società secondo gli ideali che il regime imponeva. In Germania, Hitler si comportò nel medesimo modo creando il Ministero della propaganda che organizzava le parate militari in modo da elevare l’immagine del Reich. In tutti questi regimi autoritari quindi, le masse hanno rivestito un ruolo passivo ma allo stesso tempo determinante perché il loro consenso assicurava il potere. Ma cosa ha portato il popolo a fidarsi totalmente di regimi che successivamente porteranno alla loro rovina come nel caso del nazismo e del fascismo? Perché i regimi sono riusciti ad entrare così efficacemente nella mentalità delle masse? Per rispondere a queste domande è necessario partire da una analisi psicologica che spieghi quali logiche governano queste collettività.
A cavallo tra ‘800 e ‘900 un antropologo francese, Gustave Le Bon, nella sua opera Psicologia delle folle cercò di analizzare il comportamento dei fenomeni di massa e le tecniche per comandarle e il suo saggio divenne presto fonte d’ispirazione per tutti i dittatori del '900, da Mussolini a Hitler a Stalin. Per Le Bon le masse non hanno un carattere costruttivo bensì distruttivo, rendendo mediocri anche individui che presi singolarmente sarebbero di intelligenza elevata. Infatti sostiene:
« Nell’anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano […] Le folle accumulano non l’intelligenza, ma la mediocrità. »
Le Bon, come sostenevano altri pensatori della sua epoca, ritiene che le folle portino ad un processo di deresponsabilizzazione dell’individuo che singolarmente deve sostenere solamente su di sé l’onere delle proprie azioni ma che se inserito in gruppo sembra quasi “spartire” la responsabilità con gli altri componenti della massa. Si attua quindi un processo di alienazione dell’individuo che non rispecchiandosi più nel suo io individuale si sente in diritto di compiere azioni che fuori dalla folla non compirebbe mai.
Questa deresponsabilizzazione porterebbe quindi al bisogno di affidarsi a qualcosa o a qualcuno di carismatico, che sappia fare da guida: i condottieri. Per Le Bon i condottieri sono degli uomini d’azione, esaltati dal raggiungere il loro scopo a qualsiasi costo e questo dà loro un grande potere suggestivo che suscita attrazione alle masse; infatti, sostiene il sociologo, le folle non avendo una volontà chiara e distinta tendono a seguire chi ne possiede una.
Ma l’analisi psicologica di Le Bon risulta limitata, perché anche se riesce a dare una spiegazione alle logiche delle masse, per giustificare come degli ideali così contraddittori come quelli dei regimi siano riusciti a conquistare in modo tanto coinvolgente le masse dei cittadini è necessario uno sguardo anche al contesto storico e filosofico del secolo che ha preceduto il ‘900.
Dall’800 infatti la cultura positivista, fiduciosa nel continuo progresso della civiltà umana e contando sulla ricerca scientifica, si sentì abbastanza matura da non avere più bisogno della figura di Dio e ritenne quest’ultimo un concetto superato. A quel punto ogni valore assoluto perse di significato e il risultato fu una società fondata sul relativismo, dove non era più il valore più giusto ad imporsi, ma quello che veniva proposto – o imposto – con più forza. Ed è proprio qui che hanno le fondamenta i fascismi e i nazismi: nel nichilismo.
Friedrich Nietzsche, grande esponente del nichilismo, lo annunciò simbolicamente con la morte di Dio nel celebre aforisma 125 della Gaia scienza:
« Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? »
Le masse quindi, orfane di Dio, avevano bisogno di una nuova figura su cui fare affidamento, e di nuovi valori per sostituire quelli che erano andati distrutti.
Infatti, lo stesso Nietzsche, nelle ultime pagine di Cosi parlò Zarathustra, racconta di uomini che si misero ad adorare un asino, simbolo del sostituto di Dio derivante dall’ateismo “positivo” dell’Ottocento che cerca una nuova figura guida in qualsiasi cosa, come può essere lo Stato, la scienza o l’umanità, perché gli uomini, morto un Dio, cercheranno sempre una nuova figura di riferimento da cui farsi guidare. Così nella Gaia scienza:
« Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna – un’immensa e orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. »
Alla luce di questo, le masse, cercando dei nuovi ideali da seguire, si affidarono a quelli offerti dai totalitarismi: Hitler instillò nelle menti delle persone l’ideale di una razza superiore, quella ariana, mentre Mussolini diede ai suoi cittadini l’obiettivo dell’«uomo nuovo», perfettamente inquadrato nelle strutture del regime e pronto a combattere per la grandezza nazionale. Entrambi dunque, diedero alle masse nuovi valori in cui credere e per cui combattere.
Il popolo, quindi, non avendo più alcun punto di riferimento su cui fare affidamento e sentendosi vagare nello spazio vuoto e infinito, si aggrappò a quel “nuovo Dio” che gli desse dei valori in cui credere e che dicesse loro come comportarsi. Un pericolo dal quale è bene non smettere mai di guardarsi.
« Una delle cose secondo me spaventose diciamo così del nichilismo della cultura contemporanea è che ci stiamo davvero predisponendo al fascismo. Perché più svuotiamo la cultura di ogni valore, principio ispiratore e principio spirituale, più creiamo una fame che finirà per portarci a una condizione che ci permette di accettare il fascismo solo perché… sai, la cosa più bella dei fascisti è che ti dicono che cosa devi pensare, che cosa devi fare. » (David Foster Wallace, in un’intervista a Michael Silverblatt dell’11 aprile 1996)
23 maggio 2020