Il significato del lavoro

 

In questo primo maggio ci si interroga sul significato che il lavoro dovrebbe assumere nella sfera individuale e sociale.

 

di Alessandra Zen

 

 

Il primo maggio di ogni anno in molti Paesi del mondo si festeggia la cosiddetta “festa dei lavoratori”, per ricordare le lotte e le rivendicazioni per i diritti dei lavoratori. L’origine di tale festa si fa risalire al 1886, anno in cui, proprio il primo maggio, era stato organizzato uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti al fine di rivendicare migliori condizioni lavorative. Nel 1889, tre anni dopo, a Parigi si diffonde l’idea di organizzare una grande manifestazione, finalizzata a ridurre la giornata di lavoro a otto ore, a opera della Seconda Internazionale, che si occupava di organizzare i sindacati e i partiti operai e socialisti europei. La manifestazione si tenne proprio il primo maggio 1890 e coinvolse moltissime persone. Del resto, nell’Ottocento le condizioni di sfruttamento e di coercizione dei lavoratori rappresentavano una realtà diffusa capillarmente in diverse zone del mondo. È da anni che Marx denuncia la situazione di alienazione in cui vivevano i lavoratori inglesi. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx palesa come il lavoro che l’operaio è costretto a svolgere sia “esterno a lui” perché non gli appartiene:

 

« Il lavoro, l'attività vitale, la vita produttiva, appare all'uomo solo come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservazione dell'esistenza fisica. Ma la vita produttiva è la vita generica. [...] E la libera attività consapevole è il carattere specifico dell'uomo. Ma la vita stessa appare, nel lavoro alienato, soltanto mezzo di vita. » (Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844)

 

In tali condizioni di totale alienazione ed estraniazione da se stessi l’attività produttiva diventa mezzo di soddisfazione di bisogni elementari ma, al contempo, la propria esistenza diviene mercificata. Il lavoro, che dovrebbe rappresentare quell’attività che permette di innalzare ed elevare il proprio Spirito interiore, non fa altro che annichilirlo.

 

Sullo sfondo di tali considerazioni ci si interroga, quindi, sul ruolo che il lavoro assume nella vita di ciascuna persona. Il termine lavoro deriva dal latino “labor”, che significa “fatica”. Il lavoro rappresenta, quindi, un’attività che richiede il coinvolgimento della molteplicità delle risorse e facoltà umane e che consente la realizzazione della persona come membro della comunità.

 

L’articolo 4 della Costituzione italiana recita:

 

« La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. »

 

 

Vorrei in questa sede porre un’attenzione particolare alla concezione di lavoro come funzione e attività che concorre al «progresso materiale o spirituale della società». In tale concezione si ravvisa una percezione della società come insieme costituito dalla molteplicità dei suoi membri, i quali, attraverso il loro lavoro e impegno, possono contribuire a migliorare la comunità nella quale si trovano ad agire. Il lavoro conduce alla realizzazione di se stessi nella misura in cui contribuisce al funzionamento della società concepita nella sua globalità e interezza. Nel lavoro l’individuo deve porre al servizio della comunità il suo ingegno e le sue potenzialità, al fine di, da un lato, come appena visto, contribuire allo sviluppo sociale della comunità, dall’altro di riconoscere nel lavoro uno strumento di sviluppo e realizzazione personale. 

 

Tuttavia, nel senso comune la parola “lavoro” sembra rimandare a un’accezione completamente negativa; nonostante dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri i lavoratori abbiano acquisito maggiori diritti e migliori condizioni di vita (anche se non bisogna dimenticare che esistono ancora molte forme di sfruttamento lavorativo), la parola “lavoro” ha assunto un’accezione negativa, che indica una fatica, intesa come notevole dispendio di energie, sia fisiche che mentali. Partendo dal presupposto con il quale Marx analizza il lavoro, se quest’ultimo viene concepito negativamente significa che il dispendio di energie e risorse non viene indirizzato a una crescita e realizzazione personali. Come ben sappiamo, qualsiasi conquista richiede uno sforzo e impegno notevoli: «più grande è la lotta più glorioso sarà il trionfo», afferma Mr. Mendez nel cortometraggio Il circo della farfalla del 2009. È proprio questo cortometraggio che a mio avviso palesa il valore che il lavoro dovrebbe possedere.

 

Il cortometraggio ha come protagonista Will, ragazzo nato senza braccia e senza mani che, privo di qualsiasi prospettiva professionale futura, si ritrova a dover svolgere il mero ruolo di “fenomeno da baraccone” in un circo. Grazie all’aiuto di Mr. Mendez riuscirà a entrare nel gruppo del “Circo della farfalla” e, finalmente, a esprimere il suo potenziale.

 

Emblematica è la scena finale in cui un bambino con problematiche alle gambe si avvicina a Will e lo abbraccia, perché, attraverso la sua performance circense, è divenuto un simbolo e un emblema per la società. Ecco, quindi, che il cortometraggio fornisce una chiave di interpretazione del valore del lavoro: quest’ultimo deve rappresentare il mezzo per realizzare se stessi ma anche per consentire uno sviluppo della comunità. 

 

Ciò che ci auguriamo in questa “festa dei lavoratori” è che il lavoro possa rappresentare per tutti lo strumento di realizzazione del proprio Spirito, ma anche uno strumento di progresso sociale. 

 

1° maggio 2020

 








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