O si salva l’umanità, o si salva il capitale: non c’è una terza alternativa

 

La società in cui viviamo è attraversata da miriadi di contraddizioni, fra cui una delle più lampanti è l’incapacità – data la priorità di far profitto per i capitalisti – di rispondere adeguatamente ai problemi che minano la collettività umana e i suoi primari bisogni. L’emergenza climatica e l’attuale pandemia non han fatto altro che mettere a nudo tali contraddizioni.

 

Nel suo report del 2014, l’Intergovernmental panel on climate change rende noto pubblicamente quanto il surriscaldamento globale stia causando danni ingenti alla natura e alla società umana e quanto, se non ridotto e fermato entro la fine del secolo, esso porterà a danni irreversibili da cui sarà difficile poi uscirne salvi. In particolare, l’aumento delle temperature è uno dei fattori che mette a rischio in molte regioni la presenza di acqua potabile e la produzione nonché la distribuzione di prodotti alimentari, a causa dell’aumento di catastrofi climatiche come siccità, inondazioni improvvise, uragani, ecc. che colpiscono enormemente la filiera agricola e in generale quella alimentare.

 

A causa di questa situazione, evidenzia l’IPCC, si aggraveranno le condizioni economiche di molte popolazioni e, in particolare, diventerà sempre più difficile lottare contro la povertà e la denutrizione che continuano a dilagare. Basti pensare come, quattro anni dopo, la FAO riporta che ben 821 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, un numero aumentato anche a causa dei peggioramenti climatici e il loro suddetto peso sulla produzione alimentare.

 

Oltre a chi stenta a vivere o purtroppo muore per la fame, non va neppure dimenticato chi muore a causa dell’inquinamento atmosferico diretto: un articolo del «Le Scienze» evidenzia che le morti dovute a ciò nel 2015 sono stimabili a 8,8 milioni di persone, con le malattie correlate a ciò più comuni che sono l’infarto cardiaco, l’ictus, la polmonite e il tumore al polmone.

 

Come se non bastasse, il cambiamento climatico causa alterazioni ambientali che favoriscono anche la diffusione di vari parassiti, infezioni batteriche o virali, come evidenzia un rapporto dell’OMS del 2007. Tutto l’ecosistema ha sviluppato un particolare e precario equilibrio basato su differenti fattori, fra cui uno è quello della temperatura presente nei differenti organismi e sistemi ambientali: un’alterazione accentuata e repentina di questa – come sta avvenendo negli ultimi anni – può avere effetti disastrosi e imprevedibili. Una riflessione, quella portata dall’OMS, che è più che attuale, specie di fronte alla presenza negli ultimi anni di differenti epidemie e, come tutti purtroppo sappiamo, della diffusione pandemica che sta avendo il coronavirus.

 

Insomma, la crisi climatica è un fatto che ci riguarda tutti e che, se non risolto in tempo, ci può portare alla catastrofe. Nonostante questo e nonostante migliaia di appelli sia popolari che dal mondo scientifico, il capitalismo ha continuato a marciare imperterrito nella sua logica del profitto prima di tutto, negando così una seria tutela dell’ambiente e del benessere dei ceti popolari. Una situazione che evidenzia come, se non si scardina il sistema economico in cui viviamo, non si potrà che continuare a vivere in una società dove chi ha le redini del potere non fa altro che vedere pure i peggio disastri come occasioni per far soldi. Detto in breve: la lotta per l’ambiente è lotta contro il capitalismo, che è la radice alla base dell’attuale emergenza climatica. Altrimenti si continueranno a vedere solo sterili appelli ad un cambiamento per salvare il pianeta e, con esso, l’umanità.

 

Di contro a questa situazione desolante, alcuni hanno intravisto qualche differenza nella crisi sanitaria globale che stiamo vivendo. In particolare, mentre prima i milioni di morti per denutrizione, povertà, catastrofi ambientali, ecc. sembravano non importare poi molto al sistema economico internazionale, ora la diffusione del coronavirus sembra aver smosso ingenti manovre politiche e risorse economiche per arginare i danni che tale pandemia sta causando all’umanità. Ha fatto scalpore, in particolare nell'Unione Europea, la sospensione momentanea del patto di stabilità, garantendo ai differenti Stati maggiori spese di quelle normalmente consentite.

 

 

Per quanto ovviamente alcune delle misure di contenimento del virus attuate siano sacrosante, non bisogna illudersi nell’idea che, di fronte ad una minaccia globale, i popoli si siano stretti forti assieme per lottare assieme questa “guerra”, al di là di divisioni di classe o statali. Il modo in cui molti Stati stanno reagendo mostra anzi quanto il capitalismo non sia mai veramente capace di risolvere una crisi, sia essa sanitaria, ambientale o umana.

 

Innanzitutto, è lo stesso capitalismo che ha creato in primis questa crisi. Non nel senso complottista per cui il virus è stato creato in laboratorio, ma nel senso che questo sistema per primo ha puntato a tagliare sui diritti sociali. Tagli che hanno ovviamente colpito la sanità, la quale in Italia, a guardare esclusivamente il periodo dal 2007 al 2015, ha visto una diminuzione di 5741 medici e 6881 infermieri (dati della Ragioneria dello Stato), senza guardare poi alla diminuzione delle strutture ospedaliere e dei posti letto che negli ultimi decenni si è fatta sempre più evidente. Tutti questi tagli alla sanità stanno avendo ovviamente un impatto enorme nella crisi attuale. I danni causati da un virus non dipendono solo dal virus stesso e dal suo livello di pericolosità, ma anche da come uno Stato reagisce a quella minaccia. Le carenze ospedaliere ovviamente non fanno che aumentare il numero di malati che non ricevono le cure adeguate e, in certi casi, arrivano ad una morte che magari si sarebbe potuto evitare.

 

Il capitalismo, poi, è quello stesso sistema che, nello svilupparsi della crisi, non fa che continuare ad acuirla, in un senso sia internazionale che nazionale. A livello internazionale, si vede come i differenti Stati – espressione di differenti gruppi e monopoli industriali –, di fronte al pericolo del virus e alla scarsità delle proprie risorse sociali e sanitarie per affrontarlo, non sanno far altro che lottare per salvare se stessi, dimenticando quella retorica della solidarietà internazionale che, in quanto retorica, si fermava sempre e solo alle parole. Un egoismo ancora più lampante quando, mentre gli Stati Uniti o i differenti Stati dell’Unione Europea fanno a gara per accapparrarsi o rubarsi mascherine o altri prodotti sanitari, una realtà socialista come Cuba – il quale, ben guardandosi dal non tutelare i diritti fondamentali del proprio popolo, è lo Stato col maggior numero di medici in rapporto alla popolazione – invia più di una brigata di medici per aiutare la Lombardia e il Piemonte, tre le regioni in Italia più colpite dalla pandemia attuale.

 

A livello nazionale, poi, possiamo notare che lo scontro per salvare il proprio Stato, in realtà, è uno scontro per salvare la propria classe, quella capitalista. Classe che, in una delle sue maggiori espressioni, cioè Confindustria, ha fatto una pressione non indifferente sul governo per mantenere il comparto produttivo aperto – nonostante già a febbraio fosse ben noto il pericolo di contagio di massa, dopo i primi casi in Veneto e Lombardia. Classe capitalista che, quando ormai a inizio marzo azioni di quarantena non potevano più essere rinviate, ha comunque spinto affinché non si negasse la produzione di beni non essenziali, mettendo a rischio la vita di milioni di lavoratori e favorendo la diffusione del contagio. Sarebbe da chiedersi se non sia un caso che le zone a maggior contagio siano quelle con la maggior produzione industriale, oltre a esser quelle – di conseguenza – più inquinate. Tutto ciò ovviamente senza dimenticare che le aziende rimaste aperte durante il lockdown, in molti casi, non solo non hanno rispettato le norme sanitarie richieste dal governo, ma non si son fatte scrupoli a licenziare lavoratori ritenuti superflui dato il calo della produzione o della richiesta di servizi (come nel mondo del turismo) e a far lavorare all’eccesso i dipendenti rimanenti (come nel mondo alimentare). Testimonianze a riguardo se ne possono trovare, purtroppo, parecchie.

 

Insomma, prima c’era l’ambiente, ora c’è il coronavirus, ma la logica è sempre la stessa: se non si supera il sistema economico vigente e le sue contraddizioni, il profitto rimarrà sempre il valore primario su tutto. Col risultato che il sistema politico nazionale e internazionale si muoverà solo quando sarà lo stesso profitto a esser messo in pericolo e si muoverà nei limiti necessari per arginare la diminuzione del guadagno. E se ora quel che va fatto, per il capitalismo, è il debellamento del virus per permettere la ripresa del mercato, poi – di fronte alla recessione economica che si sta già sviluppando – toccherà probabilmente ai diritti e alle tutele dei lavoratori esser sacrificati in nome della ripresa economica. Come ieri – e oggi e domani – la lotta per l’ambiente era lotta contro il capitale, come adesso la lotta contro l’emergenza sanitaria è lotta contro il capitalismo, domani la lotta per tutelare i lavoratori e i ceti popolari non cambierà il suo antagonista. Se non arriviamo a prendere coscienza di ciò, la spirale delle catastrofi globali non avrà fine.

 

 13 maggio 2020

 








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