La filosofia andrebbe insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado, non come filastrocca di opinioni, ma trasmettendo nella prassi quotidiana quel modello archetipico dell'amicizia che si è realizzato nell'Accademia di Platone.
Ci sono luoghi squisiti nella storia che ci sono da esempio, fonte costante di ispirazione, ogni volta che torniamo a visitarli. Dovremmo diffonderli e custodirli nell'esperienza, provandola a ricreare, a meditare, rendendocene vieppiù consapevoli. Perché sono luoghi dello spazio e del tempo, ma, anche e soprattutto, dell'anima.
Uno di questi si colloca lì dove tutto è iniziato e funge da archètipo, da modello insuperabile, originario – qualcosa che se non fosse storia apparterebbe di diritto al mito o alla leggenda. Si tratta dell'Accademia di Platone.
È il luogo in cui gli amici si ritrovavano a discutere per capire se stessi, sempre più, e quell'universo che ci avvolge misterioso e meraviglioso – l'Essere che, svelandosi progressivamente, progressivamente si nasconde; che si mostra più complesso e, nella complessità irrisolta, il Suo mistero si infittisce. Cresce la conoscenza e con essa, di pari passo, la consapevolezza di non sapere.
Dentro e sopra di noi ci sono moralità e costellazioni che a contemplarle acquietano e tormentano, perché assieme mostrano la grandezza e la piccolezza di cui siamo fatti; questo paradosso è l'uomo: è tanto quando comprende quanto sia poco; tale che non può padroneggiare la propria grandezza senza aver fatto i conti con la propria piccolezza – non sarebbe così grande infine. Orgoglio e umiltà sono legati indissolubilmente.
Fin dove ci si possa spingere, nell'azione e nel sapere, lo si capisce conoscendo gli altri – quei mondi dentro il mondo – e grazie alle loro conoscenze: lo si apprende nel vivere assieme e nel dialogo, lì dove l'esperienza e il sentimento si fanno parola, dove la vita si fa suono e segno, dove una dimensione sconfina e penetra nell'altra.
Dai commenti scambiati nella chiacchiera al dialogo, fino all'esercizio dell'arte dialettica – queste forme ascendenti del confronto ci restituiscono il piacere, l'intensità, l'energia tra i più belli. Più profondamente costitutivi, essenziali. Nella frequentazione che intreccia, gli uomini si fanno uomini. Destini si raccontano e si legano. Dei vissuti degli altri, che divengono nostri, palpitiamo. Nel volto emozionato degli altri ci specchiamo e troviamo altre emozioni, quelle altrui; pure, infine, nostre.
Cos'è in fondo il vivere in società se non il tentativo di rendere possibile, strutturandola, questa intima fonte, da cui tutte le attività umane attingono e per cui si sviluppano? Nella misura in cui una comunità politica non vi riesce, essa fallisce. Ma anche se complessivamente fallisce, al suo interno avrà i suoi casi fortunati e felici, focolai di quell'archètipo platonico che deve essere assurto a modello. Uno Stato illuminato favorirebbe e tenterebbe in tutti i modi che la capacità di dare e chiedere ragione – di esprimere se stessi – sia praticata fin dalla più tenera età: per questo la filosofia dovrebbe essere insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado. Perché la filosofia non è filastrocca di opinioni, quella alla quale gli studenti vengono abitualmente costretti come schiavi nelle scuole. La filosofia è quella foga di capire di più, di sapere di più, di venire a capo di se stessi e del mondo, di sbarazzarsi del proprio vecchio sé e del mondo che mostra la faccia dell'assurdità – perché non compreso; un mondo che si estende ancora e ancora, con l'avanzare della comprensione, a coinvolgere ciò che all'inizio sembrava così lontano e indifferente e che si rivela così prossimo e imprescindibile poi.
La radice delle scienze particolari è la medesima. Lo scienziato è quel filosofo che si concentra su qualche particolare, pur non dimentico dell'origine e del fine della sua ricerca: capirsi, capire il mondo; non dimentico del piacere costitutivo del cammino: il confrontarsi assieme, nel dialogo, con metodo, tra amici.
Certo non tutti finiscono per fare gli scienziati o i filosofi, per sprofondare nella parte o inabissarsi nel tutto. Ma la saggezza di vivere, del vivere assieme nella comunità politica, tutti in un senso o nell'altro, in un grado o nell'altro la sviluppano e provano piacere nello svilupparla. E così ognuno diventa esperto del suo campo, del suo pezzo di mondo e ciascuno lo fa nella società, nel dialogo, nel piacere – più o meno addomesticato, più o meno razionalizzato – del dare e rendere ragione, di farsi presenti a se stessi e agli altri, dell'accrescere la propria competenza.
È celebre la definizione che Aristotele dà dell'uomo come animale sociale o politico, a sintesi della disamina che egli conduce nei suoi trattati etici e politici; ma la complessità semantica di quell'espressione è ancora più ampia, poiché è l'esito di un'analitica esistenziale che scandaglia l'animo umano nella sua singolarità, benché – per stare nell'alveo dei paradossi – essa si dia per essere trascesa. Con la consueta laconica semplicità dei suoi trattati:
« riguardo a se stessi è desiderabile la percezione di esserci, e ciò vale anche riguardo all'amico; tale percezione diventa attiva nel vivere assieme, quindi è ragionevole porsi ciò come obiettivo. » (Etica Nicomachea, IX, 12)
Così, lo stare con gli altri, con degli amici, può bensì essere superficiale, ma anche quando ha il carattere del passatempo ha radici ben più profonde, che Aristotele chiama «la percezione di esserci»: tale è il centro di gravità delle attività umane e dello stare assieme.
« […] quello in cui per ciascuno consiste l'esserci, ciò per cui desiderano vivere, è proprio ciò in cui vogliono passare il tempo con gli amici; per questo vi è chi beve insieme, altri giocano a dadi, altri fanno insieme filosofia, e tutti passano la loro giornata facendo quelle cose che compongo una vita. » (Ivi)
Con gli amici ci si può dunque intrattenere, ma mai soltanto intrattenere: anche nelle attività più banali coinvolgiamo quella varietà emozionale di cui sono composte le corde dell'animo umano e che esse devono essere toccate per la «percezione di esserci». Nelle attività quotidiane risuona quell'universo che le contiene e che spinge ad indagarlo qui e là, a ciascuno secondo la sua misura e magari fino a diventare esperti, scienziati e filosofi. Talvolta questo stare assieme si realizza in piena consapevolezza, con sistematica trasparenza, con un'organizzazione che amplifica: tale si è verificato nell'Accademia, dove Aristotele trascorse vent'anni, facendo filosofia insieme con gli amici: vi entrò a 17 anni e vi rimase fino all'età di 37, alla morte del maestro Platone.
30 novembre 2020
DELLO STESSO AUTORE
La sterile polemica politica e il mantenimento dello status quo: il caso Trump
Il coraggio di superare il capitalismo e il ruolo della filosofia
Anche un «dio» si può sbagliare. Wittgenstein tra aneddoti ed “ingenuità”, meraviglia ed angoscia
Il sottosuolo filosofico del nostro tempo e l'errore “etico” fondamentale
Congedandoci da Severino. Che cosa egli sarà per noi
Breviario anticomunista. Come liberarsi del passato per incatenarsi nel presente
PER APPROFONDIRE CON LA SAGGISTICA
Darwinismo e politica | David Foster Wallace come esperienza filosofica | Apocalisse democratica | ...