Quale sia lo scopo dell’esistenza umana, magnificamente è esposto nella celebre terzina dantesca attraverso la quale Ulisse si rivolge ai propri compagni di ventura: «Considerate la vostra semenza: | nati non foste a viver come bruti, | ma per seguir virtute e canoscenza.» (Dante, Comedìa, Inferno, XXVI)
di Benedetta Carlon
La conoscenza è il mezzo che permette all’uomo di realizzarsi, di conquistare la propria felicità grazie alla comprensione di quanto lo circonda.
Per poterla raggiungere e aumentare è, però, innanzitutto necessaria la consapevolezza delle relazioni intercorrenti tra ogni cosa – quindi tra ogni oggetto, persona, animale, concetto, materia – nel Tutto.
L’esistenza particolare è indissolubilmente legata all’esistenza universale in ogni suo proprio aspetto; dunque, è impossibile considerare un’esistenza particolare isolandola dal resto.
Per fare un esempio, consideriamo un individuo: questi è figlio per i propri genitori, padre per i propri figli, marito per la propria moglie, insegnante per i propri alunni, cittadino per la propria nazione... e, così via, si potrebbero continuare a enumerare tutti i ruoli che egli assume rispetto ad altre figure – come, padrone per il proprio cane, nipote per i propri zii, condomino nel condominio in cui vive…
L’esistenza di questo individuo è determinata e dovuta a tutte queste relazioni, le quali sono infinite e le quali si estendono a ogni esistenza particolare.
È impossibile provare a considerare questo individuo ignorando o isolandolo da tutto il resto: certamente, nel momento in cui lo considereremo in un determinato ambito, ci riferiremo particolarmente alla relazione a noi più evidente che lo lega a esso, tuttavia non potremo mai considerare quella relazione come unica o separata dalle altre – ovvero, considerando l’individuo rispetto ai propri figli, diremo sì che egli è per loro padre, ma dovremo tener comunque in considerazione che egli è anche figlio, marito…
Tale ragionamento è da estendersi a ogni esistenza particolare.
Ne risulta che, come ogni parte è costituita dalle infinite relazioni tra essa e il Tutto, così il Tutto è costituito dall’insieme di tutte le relazioni esistenti, ovvero dall’insieme delle varie parti.
In termini matematici, ciò si potrebbe esprimere con la relazione: Parte : Tutto = Tutto : Parte.
Considerato ciò, aumentare la propria conoscenza significa ampliare l’insieme delle relazioni che si possono considerare, ampliare l’insieme delle relazioni di cui si ha consapevolezza.
Risulta immediato comprendere come questo porti, come detto sopra, alla felicità.
Dovendo, in un determinato momento – ovvero, in ogni momento della nostra vita –, compiere una decisione, e avendo a disposizione la conoscenza di una data quantità di relazioni, certamente la nostra scelta in quel frangente sarà la migliore rispetto a quella situazione – ognuno agisce sempre nell’intenzione di star compiendo il Bene –; tuttavia, se in quel momento avessimo avuto a disposizione la conoscenza di un numero maggiore di relazioni, la nostra scelta sarebbe stata ancor più accurata e avrebbe avuto una minore probabilità di rivelarsi, eventualmente, fallace una volta attuata.
Ed è proprio in ciò che si rivela la bontà della conoscenza e la felicità a essa dovuta: nel compiere ragionamenti sempre più affinati, nel sapere di aver considerato tutto quanto a noi visibile in quel momento e di aver eliminato le contraddizioni presentatesi fino ad allora, nell’effettuare le scelte migliori.
A tal proposito è necessario osservare come sia compito dell’uomo – e suo stesso desiderio – aumentare sempre la propria conoscenza, garanzia, in parte, della salvezza dall’errore.
Esso, come scrive Cartesio nelle Meditazioni metafisiche, è, infatti, dovuto sia a difetti di conoscenza, sia all’esprimere giudizi pur essendo nell’indifferenza, ovvero non avendo a disposizione argomenti che facciano propendere la scelta da una parte piuttosto che dall’altra.
« Infine, venendo a considerare più dappresso me stesso, e ricercando che natura abbiano i miei errori (ché sono essi soli la spia dell’imperfezione che è in me), mi rendo conto che dipendono da due cause che vi concorrono insieme: dalla mia facoltà di conoscere e dalla mia facoltà di scegliere, o libertà dell’arbitrio, ossia dall’intelletto e, congiuntamente, dalla volontà. »
Per raggiungere una conoscenza sempre più ampia, l’unica via da seguire è quella del confronto e del dialogo.
Potrebbe qui sorgere la domanda: «E l’esperienza? non è forse anch’essa utile?»
Ebbene, affermando la necessità del confronto non si sta negando l’utilità dell’esperienza.
Bisogna, tuttavia, notare come il primo sia comunque più proficuo della sola seconda, poiché permette di acquisire la consapevolezza di ancor più relazioni, derivate dalle esperienze altrui, e di formulare, poi, un giudizio migliore.
Infatti, nel momento in cui si condividono pensieri, idee, ragionamenti, essi divengono automaticamente patrimonio anche del destinatario o ascoltatore.
A tal proposito, l’affermazione «Quell’idea non mi appartiene, non la condivido!» risulta estremamente contraddittoria.
L’opinione della persona può certamente differire dall’idea in questione, ma quell’idea è, in realtà, non soltanto contenuta – anche se come negazione – nell’opinione della persona stessa, ma anzi ne è alla base; la persona non può dire che quell’idea non le appartenga, poiché è proprio anche in funzione di essa che ella ha sviluppato o rafforzato un certo pensiero.
Risulta evidente quale immensa importanza abbia l’Espressione: essa non deve mai essere impedita; al contrario, deve essere sempre non soltanto favorita, ma anche ricercata.
L’Espressione non deve essere considerata come una “possibilità”, bensì come una “necessità”.
Necessità poiché permette il chiarimento non soltanto delle proprie idee, ma anche di quelle altrui.
Necessità poiché, essendo ogni parte legata al Tutto, il beneficio derivato da una riflessione si manifesta pienamente solo se essa è condivisa con altri e messa in discussione.
La centralità dell’Espressione e la sua necessità è evidenziata molto chiaramente in Della libertà di pensiero e discussione, secondo capitolo del Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, in cui essa viene giustamente individuata tra le condizioni necessarie per la crescita della conoscenza.
In particolare, nell’opera si sottolinea in più punti la negatività del reprimerla:
« Ma impedire l’espressione di un’opinione è un crimine particolare, perché significa derubare la razza umana, i posteri altrettanto che i vivi, coloro che dall’opinione dissentono ancor più di chi la condivide: se l’opinione è giusta, sono privati dell’opportunità di passare dall’errore alla verità; se è sbagliata, perdono un beneficio quasi altrettanto grande, la percezione più chiara e viva della verità, fatta risaltare dal contrasto con l’errore. »
E ancora:
« Non possiamo mai essere certi che l’opinione che stiamo cercando di soffocare sia falsa; e anche se lo fossimo, soffocarla resterebbe un male. »
Oltre al non permettere l’espressione di un’opinione perché ritenuta falsa, un’altra ragione con cui, purtroppo, spesso ci si oppone all’Espressione è legata al concetto “vince la maggioranza”, “la maggioranza ha il potere di decidere”.
Tale concetto, che rappresenta una delle manifestazioni della Legge del più forte, è particolarmente errato e pericoloso.
La maggioranza non è, infatti, garanzia del Bene o della scelta migliore, i quali possono essere raggiunti solo considerando il maggior numero di relazioni possibile – e, quindi, solo confrontando tutte le opinioni.
Anche ponendo che, in un certo caso, la maggioranza abbia effettivamente un’idea comune migliore rispetto a quella della minoranza, comunque sarebbe sbagliato seguirla senza che vi sia stato un confronto tra le due parti, poiché si perderebbero altre opinioni che avrebbero potuto aiutare a individuare una soluzione ancor migliore.
Su questo punto, sempre Mill afferma:
« Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero più diritto di far tacere quell’unico individuo di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l’umanità. » (Ibid.)
Un altro pericolo ed errore che sovente si realizza, è rappresentato dal «sonno dogmatico indotto da un’opinione definitiva» (Ibid.), ovvero dal non discutere e non riflettere più su una questione una volta raggiunto un punto di accordo e di equilibrio, una volta “dissipati”, cioè, i dubbi che si avevano inizialmente.
Il giudizio non può, infatti, essere mai considerato definitivo poiché il contesto in cui è applicato e in cui era stato formulato subisce continui mutamenti, dovuti e correlati ai mutamenti – anche minimi e impercettibili – delle relazioni nel Tutto.
L’uomo deve sempre essere consapevole dell’impossibilità di conoscere le infinite relazioni esistenti, e ciò non deve rappresentare un elemento di demotivazione, bensì di stimolo.
La ricerca della conoscenza, la filosofia – amore del sapere – deve guidare la vita ed è un viaggio la cui meta – la conoscenza – viene continuamente allontanata, poiché «non arriverà mai ad un punto tale da non essere più suscettibile di un accrescimento ancora maggiore» (Cartesio, Meditazioni metafisiche).
Essa rappresenta lo strumento con cui l’uomo può illuminare il proprio cammino.
« Non saranno la luce e il chiarore del sole a farci uscire dalle tenebre, ma la conoscenza delle cose. » (Tito Lucrezio Caro, De rerum natura)
27 novembre 2020