Per risolvere il nostro tempo – questo enorme problema – e non aggravarne le contraddizioni, bisogna innanzitutto comprenderlo lucidamente. Una lucidità che alcune opere aiutano ad acquisire, come il volume Darwinismo e politica.
Darwinismo e politica (AM Edizioni, 2020), di David George Ritchie, a cura di Gabriele Zuppa e Antonio Lombardi, si presenta sotto molteplici chiavi di lettura; archeologia sociale, teosofia, filosofia, disamina, denuncia, manifesto.
Quattrocento pagine, pertanto, dense; capaci d'attrarre differenti lettori; e di soddisfarli appieno, tutti.
O, forse, no.
È probabile che coloro che si sentano figli del proprio tempo – che è il tempo di tutti noi da almeno tre secoli – storcano il naso fin dalle prime frasi. Tuttavia, è bene che proseguano: dopo Darwinismo e politica potrà accadere che le comfort zone – dai giornali alle chiacchiere al bar, dalle aule ai talk show – si facciano meno comfort; e si torni a filosofare.
Al fine d'incuriosire, di spingere all'acquisto, di esortare alla lettura e al confronto, e pur senza voler ridurre a un bignamino un'opera che, a dispetto dell'empireo ove nasce e che illustra, rimane accessibile anche a chi non ha passato un periodo sabbatico a Tubinga, proviamo a percorrere questi sei tracciati.
ARCHEOLOGIA SOCIALE. David George Ritchie, di cui vengono proposte le traduzioni di sei saggi – la sua prima opera, Darwinism and Politics del 1889, e i due studi complementari che ne svilupperanno i contenuti nella nuova edizione del 1891, ovvero Natural Selection and the Spiritual World e Natural Selection and the History of Institutions; il saggio Darwin and Hegel (1893), che dà il titolo a una raccolta di suoi contributi pubblicati nel frattempo; le prime due trattazioni degli Studies in Political and Social Ethics (1902): Social Evolution ed Equality – ci conduce nel suo mondo, a spasso fra le polemiche e i dibattiti del suo tempo. Per noi, un vero e proprio percorso archeologico che vede nelle donne e negli immigrati le due tappe più curiose; per le prime, dibattendo a favore dei loro pieni diritti politici grazie ad argomentazioni che ci paiono, oggi, così superflue e ingenue da strapparci un sorriso compassionevole per quei tempi – invero a noi assai contigui – così involuti; salvo poi doverci ricredere, rintuzzando il sorriso dietro a un volto avvampato dalla vergogna, ascoltando Ritchie sulle razze – e, di conseguenza, sugli immigrati –:
« Le persone in generale sono fin troppo pronte a riferirsi le differenze che trovano tra le nazioni a caratteristiche razziali, invece di prendersi la briga di cercare prima altre spiegazioni, come condizioni geografiche, istituzioni, storia passata e altre influenze esterne. Solo quando avremo eliminato tutto ciò che è dovuto a qualcuna o a tutte queste cause (se potremo mai farlo), avremo diritto ad attribuire i fenomeni restanti esclusivamente a caratteristiche di razza. Gli inglesi sono molto inclini a spiegare tutti i malcontenti irlandesi dicendo che discendono dal carattere irlandese, o, per farlo sembrare più scientifico, da quello “celtico”; questo è molto più conveniente che leggere qualche sgradevole pagina di storia e tracciare le conseguenze dell’oppressione politica. Una spiegazione etnologica non è ancora una spiegazione, ma soltanto una riaffermazione del problema da risolvere. » (Natural Selection and the History of Institutions, 1891)
Tuttavia, il centro del libro è l’interpretazione – anzi, l’appropriazione; ché si tratta di cattiva e sbrigativa interpretazione a scopo assertivo e propagandistico – di Darwin e delle sue teorie biologiche nella trasposizione alle scienze sociali. E qui, purtroppo, l’archeologia si fa amarissima attualità.
TEOSOFIA. Risulta fin troppo chiara sia da Ritchie sia dalle parole dei molti traduttori e curatori del volume, fra i quali emerge Gabriele Zuppa con la sua Postfazione, la rovinosa china che, di dirupo in dirupo, allinea Dio > Illuminismo > Darwinismo > Laissez faire in un percorso che alle buone intenzioni iniziali illuministiche e ai ripensamenti di Darwin – sia in biologia sia nei suoi riflessi sociali – sostituisce infine l’aberrante deriva nel Neoliberismo Divino.
FILOSOFIA. Altrettanto chiara appare l’assoluta necessità di tornare a unire scienza e filosofia; la prima con il suo dettagliato studio della parte analizzata, ma ben sapendo che essa sia come è anche perché in relazione con il tutto, di cui fa parte; la seconda come studio del tutto, ben sapendo ch’esso altro non sia che la sommatoria delle parti. In cotanta visione non esiste scienza senza che vi sia l’idea delle conseguenze e delle interazioni sul tutto di ciò che si va scoprendo e dimostrando, e non esiste filosofia che non si avvalga e non si fondi sulla scienza e le sue evidenze.
DISAMINA. E qui giungiamo alla già citata Postfazione; per la precisione ai suoi primi dieci paragrafi. In essi Zuppa trae le conclusioni non solo dal pensiero illuminato di Ritchie ma anche da tutto il non pensiero oscurantista a lui posteriore. A segnare l’acuto dipanarsi di tale disamina bastino i dieci titoli degli stessi:
1. L’ingenua separazione di scienza e filosofia
2. Il metodo scientifico e la sua favola
3. Fine delle ideologie o caccia alle streghe?
4. Evoluzione del darwinismo e deriva terrapiattista
5. La cometa della superstizione
6. Dio, ovvero Darwin
7. Un diavolo per capello: corrispondenza filosofica
8. Quale selezione naturale?
9. “Geni” egoisti
10. I «princìpi metafisici» del darwinismo e del liberismo
DENUNCIA. Al termine d’un testo così denso e così elevato, Zuppa ci riporta nel pieno dell’attualità: in quel Neoliberismo Divino che va soffocando il mondo, inteso sia come globo terracqueo sia come umana agorà.
Una denuncia che trova il suo culmine nel paragrafo L’economia si è davvero fagocitata la politica? allorché inchioda noi tutti alle nostre responsabilità di demos: nel nostro concedere un primato alla scienza e, nella fattispecie, alla scienza economica; un primato, a mio parere, molto somigliante a quello che ci vogliono propinare come l’essenza della politica, il chi vince piglia tutto:
« L’economia, se non cerca di uscire dal suo perimetro particolare iniziale, inserendosi consapevolmente nella comprensione della società nella sua totalità di aspetti, essa diviene economia di una società di cui sa poco, quindi un’economia di nulla, un’economia da nulla. [...]
Naturalmente ciò vale anche per i burocrati della “filosofia” e di tutte le “scienze”. Ogni scienza, che non sappia di determinare e di determinarsi in una visione filosofica del tutto, è scienza che decade presto in tecnica, che decade a sua volta in burocrazia. [...]
L’economia, isolata dalla complessità in cui è inserita, è una filosofia misera e, quindi, come tale, le riesce pure male di essere una scienza. »
MANIFESTO. Zuppa affida la proposta al Platone/Socrate dell’Eutidemo, nonché al Platone di Apologia di Socrate:
« Una vita senza ricerca non è degna per l’uomo di essere vissuta. »
Non importa se questa ricerca sia di tipo scientifico o di tipo filosofico – ché sono la medesima cosa vista da due differenti punti di partenza –; oppure, semplicemente la ricerca personale di ciascheduno, tesa al comprendere la realtà nella quale viviamo e operiamo. Ciò che importa è che la ricerca, intesa come indagine sia del tutto sia di tutte le parti che lo costituiscono, torni a indirizzare il pensiero e l’azione di ognuno di noi, come della società nel suo intero.
Concludendo sul tornare a filosofare, nulla di più adeguato delle parole finali con le quali Gabriele Zuppa ci accomiata, immersi in un cogito ergo sum che diviene augurio d’emancipazione:
« Tale rinnovamento si può realizzare dimostrando che è impossibile che il bene di un individuo coincida con il male di un altro individuo.
Fintantoché questa svolta non inizierà ad attuarsi, rimarremo inevitabilmente nel solco di quella logica qui analizzata, sulla quale ancora e soprattutto si basa la nostra società capitalista postmoderna; logica che – liberatasi dalle maglie della tradizione – realizza la sua forma estrema con cui si impone su scala planetaria. »
26 ottobre 2020