Raddrizzare il tronco di un albero cresciuto storto risulta difficile o quasi impossibile mentre sorvegliare la sua crescita verticale tramite un sostegno fin dal primo germoglio si dimostra efficace: questo è il potere dell’educazione. Riuscire a comprendere da subito le categorie necessarie al movimento dialettico della ragione permette di non far proprie quelle abitudini errate, quelle consuetudini inspiegabili e quei dogmi indistruttibili che rendono insidioso il processo di ricerca della verità.
di Andrea Carli
La trasmissione dei caratteri ereditari avviene tramite la trascrizione del DNA: lo sviluppo fisiologico del discendente avviene seguendo la ricetta biologica che i genitori gli trasmettono tramite il processo della riproduzione. La progressione temporale della specie avviene in modalità differenti, dalla riproduzione sessuata nei mammiferi alla scissione binaria nei batteri, ma in tutte le casistiche il processo termina con un discendente uguale all’individuo di partenza o che, tramite uno sviluppo di varia durata, raggiungerà una spiccata somiglianza con lo stesso.
La caratteristica che differenzia l’Homo sapiens dagli altri esseri viventi, tanto da garantire la metamorfosi «da animali a dèi» come illustrato nell’omonimo libro dello storico Yuval Noah Harari, è l’aver sviluppato un linguaggio raffinato rispetto a quello degli altri mammiferi; con il quale è in grado in modo unico di comunicare informazioni basilari, di dare spiegazioni articolate e, con l’aggiunta della scrittura a corroborare il tutto, di trasmettere in maniera precisa la cultura. L’essere umano riesce quindi a condividere con i simili una quantità di informazioni di vario genere largamente superiore e in minor tempo rispetto agli altri esseri viventi raggruppati da Linneo con la nomenclatura binomia.
La capacità oratoria del Sapiens permette quindi di condividere in maniera efficace la cultura e a testimonianza di questo aspetto abbiamo lo sviluppo tecnologico: nel corso della storia ha avuto un’evoluzione a carattere esponenziale e non lineare. Tuttavia un utilizzo della dialettica di carattere sofista coadiuvato da uno scarso senso critico degli uditori produce elementi tossici per la società: indottrinati ed abituati ad eseguire comandi senza interrogarsi sulla motivazione e sostenitori di idee nocive perché seguaci del gruppo che promette di attuare i propri interessi anche se non si è magari scarsamente interrogato sulla bontà degli stessi. Questi individui sono nocivi al processo di ricerca della verità in quanto l’impostazione dogmatica non permette loro di contribuire al processo di selezione naturale delle idee: per eliminare l’ostruzionismo di costoro l'unica soluzione sta nell’educazione.
Similmente a quanto avviene per gli altri mammiferi e per alcune specie di uccelli i figli del Sapiens trascorrono il tempo dello sviluppo sotto l’ala protettrice dei genitori: la differenza che va a caratterizzare il Sapiens è la grande durata di questo periodo, che non termina con la capacità della prole di sopravvivere autonomamente e, in alcune situazioni, non termina nemmeno con l’indipendenza economica. Questa differenza sostanziale tra l’essere umano e gli altri animali è dettata proprio dalla capacità di trasmissione della cultura, consentita dal linguaggio: i cuccioli d’uomo hanno la possibilità di apprendere moltissime nozioni da applicare in maniera teorica, così da essere preparati alle varie evenienze della vita senza mettere a rischio la propria incolumità; gli altri animali, al contrario, non godono di questo paracadute.
È proprio il periodo dell’infanzia ad essere nevralgico per il processo di educazione: osserviamo come i bambini non siano degli uomini in miniatura e come debbano apprendere oltre a svilupparsi fisicamente. L’educazione deve rendere l’individuo curioso, attento e acuto verso ciò che lo circonda per semplificare il suo processo di ricerca della conoscenza e deve impegnarsi in un confronto attivo con lo stesso per comprendere le motivazioni degli ordinamenti, degli usi e dei costumi in modo tale da permettere al Sapiens di valutarli e di comprendere cosa funziona e cosa no, senza ovviamente tralasciare il percorso storico che li ha determinati. Un metodo educativo dialogico vuole rendere consapevoli i Sapiens della loro appartenenza alla società e deve renderli competenti su traguardi scientifici ed etici raggiunti dalla stessa permettendo loro di partecipare appieno alla ricerca della verità. L’evoluzione del Sapiens gli permette di riuscire a modificare i propri comportamenti tramite i caratteri acquisiti senza necessitare di modifiche permanenti al genoma: quindi l’educazione non deve imporre contenuti tanto da bloccare quel processo così incredibile che è il pensiero, ma deve focalizzarsi sullo sviluppo dello stesso.
L’arduo compito di rendere efficace il processo educativo non pesa unicamente sulle spalle di genitori nella vita domestica e di insegnati durante la permanenza nelle aule ma ricade su tutti gli individui che interagiscono con i soggetti in fase di formazione. Da questo punto di vista la società di certo non favorisce coloro i quali vogliono cimentarsi nelle professioni educative: i membri di queste categorie professionali non godono dello stesso prestigio sociale e della stessa retribuzione di coloro i quali invece gestiscono la ricchezza. La società italiana non riconosce il nobile e umile compito di educare: umile poiché l’educatore deve diventare inutile nei confronti dell’educando, poiché, apprese le conoscenze, egli sarà in grado di procedere da solo. Spingendoci oltre nell’analisi di questo paradosso la mancanza di investimento nel settore dell’educazione porterà ad avere dei membri della società che non saranno in grado di partecipare alla stessa, oltre al fatto di essere incapaci di partecipare al progresso; d’altro canto è impensabile per qualsiasi imprenditore inserire nella manodopera del personale incapace o non formato.
È intrigante e coinvolgente quanto è stato precedentemente asserito su educatore ed educazione, ma è necessario indagare cosa accada quando l’educazione viene impartita anziché essere dibattuta e valutata. Nonostante ciò possa sembrare incredibile, considerando i danni quasi irreparabili che causa al singolo e alla società, gli usi e i costumi di molte epoche sono stati imposti e non acquisiti: i casi più eclatanti sono quelli dei periodi di governo totalitario o dittatoriale, senza dimenticare ovviamente le forme di monarchia assoluta in cui il potere del sovrano era vidimato dal suo presunto legame con il divino. Imposizioni, dogmi, regole, paure, pregiudizi e misticismi distolgono l’essere umano da quella caratteristica, così unica e fondamentale, che lo distingue dagli altri viventi: un chiaro e consapevole movimento dialettico della coscienza. Nel XXI secolo risulta impensabile venerare le forze della natura per la maggior parte dei Sapiens che popolano il pianeta – escluse ovviamente le popolazioni che si stanziano in zone del mondo non ancora toccate dal confronto delle culture che ha reso esponenziale l’evoluzione mentale e tecnica –, ma non risulta ancora strano per molte persone affidarsi a testi che terminano in «è parola di Dio» nonostante il secolo dell’illuminismo fosse il XVIII. La spiegazione per questo fenomeno va sicuramente ricercata in una scarsa alfabetizzazione culturale ma va soprattutto indagata nell’ordinamento della società: un’organizzazione non meritocratica della stessa favorirà sicuramente ricatti e favoritismi rendendo ambiguo il processo di ricerca della verità travisandolo con una forte dose di relativismo; ciò spingerà gli individui che non sono stati educati al senso critico a seguire la via più promettente solo all’apparenza, senza andare a verificare se la bontà presunta della scelta sia reale o meno.
Un metodo educativo partecipativo, così diverso da quelli notoriamente utilizzati, non è infallibile e ciò si allinea alla possibilità di errore che da sempre caratterizza la specie Sapiens e, in analisi più approfondita, la natura stessa. Ma la strada da compiere è ancora lunga.
Al selvaggio regolamento di conti tramite percosse oggi si cerca di optare per il confronto dialogico, e, per ricordare quali siano i valori e i comportamenti necessari al Sapiens per relazionarsi ai suoi simili, sono stati scritti dei codici che comunemente vengono riassunti sotto il termine giurisprudenza. La legge, che dovrebbe essere specificazione delle potenzialità del singolo in relazione agli altri e non impedimento alla manifestazione di sé, viene spesso affiancata da un codice, detto appunto penale, che ricorda la punizione inflitta a coloro i quali trasgrediscono la legge, appunto. Se in alcuni idilliaci luoghi del mondo le punizioni riguardano la detenzione e dei lavori volti al miglioramento della società, mentre in altri Paesi viene ancora praticata la pena di morte spesso coadiuvata dalla tortura. La pena di morte, per ricordarne il paradosso, è stata discussa in maniera eccellente da Cesare Beccaria nel suo trattato Dei delitti e delle pene pubblicato nel 1764: risulta chiaro che non vi sia una comprensione dell’errore da parte del colpevole se viene ucciso, che non potrà più far parte del progresso, e che la società si macchia di un crimine da essa stessa condannato. Sia con la pena di morte che con la tortura non vi è alcun processo di rieducazione e di comprensione dell’errore e delle sue motivazioni; ma questa è la stessa violenza che si commette percuotendo un bambino che si rende protagonista di una marachella: il soggetto nella prossima situazione non avrà le competenze necessarie per evitare di ricommettere lo stesso errore, in quanto ha già dimostrato di non possederle commettendo ciò; quindi, o fuggirà dal problema per timore di scontare nuovamente la pena o cercherà una soluzione alternativa per svincolarsi dall’ostacolo senza mai comprenderne l’entità fino in fondo.
Pertanto, nemmeno la detenzione preventiva dei Paesi “civilizzati” risolve il problema, in quanto impedisce momentaneamente, in base alla durata della condanna, ai Sapiens di ripetere l’errore, ma non aiuta a prevenire una futura ripetizione dello stesso: le carceri devono diventare dei veri e propri istituti correzionali basati sul metodo educativo dialogico e non dei semplici edifici di confinamento. Le loro strutture devono passare da gabbie in cui accumulare la rabbia, dovuta ad una mancanza avvenuta nel processo educativo che ha portato all’errore, a luoghi di comprensione, approfondimento e confronto che favoriscano il reinserimento più rapido possibile nella società, in modo da rendere più semplice e rapida – in quanto tutti i Sapiens se ne occupano – la ricerca della verità tramite quell’incredibile processo di selezione naturale delle idee.
13 ottobre 2020
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