Posto che il fine dell'uomo sia il bene come ci dice Aristotele nella Metafisica, come e in cosa l'uomo può seguire questo bene? Una delle strade per cui l'uomo segue la propria natura è il lavoro perché esso è ciò attraverso cui l'uomo esprime se stesso.
Oggi è difficile capire cosa si vuole nella vita? Qual è il nostro posto nel mondo?
Ci troviamo di fronte a una società, al solito, spaccata in due: chi può e chi non può. Chi ha la possibilità, i mezzi e gli strumenti per intraprendere qualsiasi percorso voglia, e chi invece tali mezzi non li ha. C'è chi da quando è piccolo sa già cosa vuole fare “da grande”; chi ha già intuito quale sia la sua vocazione e invece c'è chi la sua missione non l'ha ancora trovata, perché ancora nascosta.
Dal momento che il bene è il fine dell'uomo per natura, in un certo senso qualsiasi cosa l'uomo faccia dovrebbe tendere al bene. Il problema, però, è che non avendo la totalità dispiegata e quindi non compresa, commettiamo errori e perdiamo la via maestra, facendo il male. Si faccia un esempio: se A uccide B, C e anche D è perché riteneva che facendo questo fosse bene, cioè gli recasse piacere o comunque fosse migliore per lui/lei. Nessuno fa qualcosa per danneggiarsi, perché ciascuno tende a una migliore condizione, il problema sta nel capire quale sia il meglio per noi e per gli altri; e se una persona si danneggia, si fa del male, è perché quel male le provoca piacere e secondo lei è un bene.
Ma allora come cercare di tendere davvero al bene tenendo conto delle nostre inclinazioni, del nostro vissuto, dell'ambiente in cui viviamo e delle altre parti che insieme a noi formano il tutto?
Una delle possibili vie è appunto il lavoro, cercare di capire quale sia davvero il nostro posto nel mondo, quale sia effettivamente lo spazio che ci accoglie in questa totalità. Ed è necessario che ci sia armonia tra il singolo e l'esterno: se vediamo infatti una persona che esprime tutta se stessa nel lavoro che fa, ci emoziona, viceversa ci mette tristezza una persona che fa qualcosa per cui non è portata. Non è facile trovare la propria strada, appunto perché è necessario analizzare ciò che nel mondo possa vibrare col nostro più profondo essere e a volte il nostro intimo è nascosto perfino a noi stessi.
Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, precisamente nelle pagine dedicate al rapporto servo-padrone, ci mostra come il lavoro sia ciò attraverso cui il servo libera se stesso nel senso che si comprende come autonomo:
« [...] il lavoro è formazione. Il rapporto negativo con l'oggetto diviene forma dell'oggetto stesso, e diviene qualcosa di permanente; e ciò appunto perché l'oggetto ha autonomia rispetto a chi lo lavora. Questo termine medio negativo, cioè il fare che dà-forma, è nel contempo la singolarità o il puro essere-per-sé della coscienza, la quale ora, nel lavoro, esce fuori di sé e accede all'elemento del permanere. Tramite tutto ciò, la coscienza che lavora giunge dunque a intuire l'essere autonomo come se stessa. »
L'individuo quando lavora trasferisce all'esterno il suo più proprio essere, modificando l'esterno cui “affida” se stesso e riconoscendosi nell'altro da sé. Quindi il lavoro dovrebbe essere visto come qualcosa di nobile invece del semplice mezzo, attraverso cui guadagnare, come di solito viene definito; o meglio, nella società capitalistica il lavoro ha questo significato, che tradotto, vuol dire “la vendita di se stessi”.
Invece, il guadagno che si ottiene tramite il lavoro dovrebbe solo servire alla propria sussistenza, poiché lo scopo non è il denaro, ma il modo attraverso cui esprimiamo noi stessi e modifichiamo il mondo: ecco perché il lavoro dovrebbe essere considerato una missione, una vocazione. In questo modo scopriamo la nostra libertà proprio perché la libertà è riuscire a esprimere davvero se stessi stando in relazione col mondo. Se infatti vediamo il lavoro nell'ottica capitalistica ci accorgiamo che diventiamo venditori e schiavi allo stesso tempo perché siamo noi che vendiamo noi stessi. Diventando schiavi, poi, diventiamo meri esecutori, macchine, oppure nulla-facenti il cui unico cibo e unica preoccupazione sono banconote e monete e continuiamo così a rimanere infelici poiché questa non è la nostra natura.
Diceva Aristotele nella Politica che «l'uomo è un animale sociale» e infatti fa parte della nostra natura essere in relazione con gli altri. E pensare di risolvere i problemi del mondo con il denaro, non può in alcun modo essere la soluzione, poiché i problemi, proprio perché tali, per essere risolti devono avere un processo, ci deve essere una mediazione, un percorso, perché ogni cosa, possiamo dire, se vogliamo usare le parole di Hegel nella Fenomenologia dello spirito, deve percorrere «il cammino del dubbio e della disperazione», poiché ogni cosa fa parte della totalità che non è dispiegata totalmente (si perdoni il gioco di parole) alla coscienza singola.
Ecco che il lavoro diventa importantissimo per la nostra felicità e libertà; e sebbene la ricerca della nostra vocazione spesso sia molto difficile, è necessario impegnarsi fortemente per trovarla: è responsabilità che ognuno di noi ha per gli altri e per se stesso.
4 settembre 2020
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