“Ridere per non piangere”: il black humor nasce dalla volontà di interpretare in chiave umoristica una situazione, un evento o alcune caratteristiche personali negative cercando di sdrammatizzarle. Ma esiste un confine fra autentico umorismo e falsa ironia? Se l’umorismo non suscita ilarità è forse perché il suo autore non sta realizzando lo scopo iniziale del black humor? È forse perché egli sta in realtà mascherando i suoi sentimenti di odio e rancore dietro ai termini “ironia’’ o “black humor’’?
L’umorismo nero o black humor è una forma di ironia che riguarda temi delicati di cui normalmente parliamo a capo chino. Tra questi temi ne ritroviamo alcuni considerati molto seri, tra cui la guerra, l’orientamento sessuale, la religione, la disabilità, la diversità culturale e molti altri argomenti scottanti sui quali comunemente si preferisce non scherzare.
Il black humor, eseguito nella maniera corretta, non ha lo scopo di offendere o discriminare la cerchia di persone di cui si parla, ma piuttosto di strappare una risata anche a quello stesso gruppo; in alcuni casi è molto utile perché porta le persone a ragionare su temi gravi o considerati dei taboo. Si conoscerà sicuramente il famoso detto “ridere per non piangere”. Ecco, l’umorismo nero nasce dalla volontà di interpretare in chiave umoristica una situazione, un evento o alcune caratteristiche personali negative cercando di sdrammatizzarle e allo stesso tempo di stimolare una riflessione.
Perché questo tipo di umorismo non fa sempre ridere? Che cosa si nasconde dietro una battuta mal riuscita? La persona target o la categoria target dello humor pubblico, fatto quindi sui social, su carta stampata o con qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa, non è mai conosciuta personalmente dal creator, non possiamo di certo conoscere ad esempio tutta la categoria delle persone disabili sulle quali facciamo umorismo e non è sicuramente detto che il pubblico a cui ci rivolgiamo abbia la nostra stessa sensibilità o percezione dell’ironia. Per conoscere gli argomenti che possono urtare la sensibilità di una persona dobbiamo infatti prima conoscere a fondo il suo vissuto.
L’efficacia del black humor dipende quindi anche dal grado di confidenza che abbiamo con il nostro target: se non conosciamo chi ci troviamo di fronte non possiamo sapere come reagirà ad una battuta ironica su un qualsiasi argomento delicato.
Tutto ciò premesso non possiamo tralasciare il fatto che l’umorismo è comunque soggettivo; vero è che il pessimo umorismo dilaga, ma la stragrande maggioranza delle battute che generano indignazione, a guardare bene, non fa davvero ridere, in quanto si tratta di vere e proprie offese.
Il punto intorno al quale ruota tutta la questione è che una battuta deve essere frutto di un lavoro approfondito sia sotto l’aspetto della scelta del lessico più adeguato, sia per la parte di comunicazione non verbale. Quello dell’umorista professionista è un vero e proprio lavoro: dietro ad una freddura si nascondono infatti ore e ore di studio per raggiungere il giusto equilibrio tra ironia e riflessione. Con questo non possiamo limitare l’ironia ai soli professionisti, ma sarebbe intellettualmente onesto che qualsiasi battuta ironica fosse frutto di un’elaborazione volta a evitare fraintendimenti.
Se l’umorismo non suscita ilarità è forse perché il suo autore non sta realizzando lo scopo iniziale del black humor? È forse perché egli sta in realtà mascherando i suoi sentimenti di odio e rancore dietro ai termini “ironia’’ o “black humor’’?
Se la risposta a questa domanda è sì, allora una battuta diventa un insulto o una discriminazione ingiusta, che inevitabilmente si ripercuoterà negativamente sulle persone a cui è diretta. La falsa ironia, che nasconde un sentimento di rancore, rifiuto e intolleranza verso una cerchia di persone, può avere conseguenze terribili e ingiuste. La progressione di queste battutine, nel vasto pubblico iperconnesso di oggi, incontrerà il favore di altre persone piene di odio e, come un’onda, si alimenterà rischiando di travolgere quella minoranza, comportando la sua emarginazione sociale. Ricordiamo infatti che la Shoah non iniziò con i forni crematori, non iniziò con i campi di concentramento o di sterminio, e non iniziò neanche con la morte di 6 milioni di ebrei, ma essa ebbe inizio con il rifiuto di una comunità, con la distinzione tra “noi’’ e “loro’’ e la conseguente emarginazione sociale.
Perché ci sentiamo colpiti dal black humor, anche se non siamo noi il target principale?
Prendiamo in esame la controversa vicenda della vignetta di Charlie Hebdo nella quale vengono ritratte diverse persone sepolte da strati di pasta, con lo scopo di ironizzare su un sisma disastroso che investì l’Italia nel 2016. Il disegno, secondo l’autore, voleva interpretare in salsa “ironica” il dramma che colpì il nostro Paese, con quasi 300 morti. Negli italiani questa vignetta suscitò un forte sentimento di rancore e di indignazione, eppure non c’erano i nostri parenti ritratti sulla vignetta. La morte viene considerata un taboo e la stragrande maggioranza di noi ha sperimentato su di sé il dolore per la perdita di una persona cara e non apprezza che ciò sia oggetto dell’altrui ilarità. I destinatari della vignetta non erano una stretta cerchia di amici dell’autore, ma un pubblico ben più vasto. All’interno di questo pubblico non c’erano solo i parenti delle vittime del sisma, ma anche tutte quelle persone che nella propria vita avevano conosciuto da vicino la morte e che quindi, per empatia, si sono immedesimate in loro. La vignetta ha avuto l’unico effetto di ledere la sensibilità altrui, facendo riemergere il dolore dell’esperienza del contatto con la morte e non ha realizzato il fine principale del black humor, cioè quello di strappare una risata e favorire una riflessione sul sistema costruttivo delle abitazioni in Italia.
Un esempio molto simile si è replicato nella prima quarantena di marzo 2020 quando è diventato virale un video che ha provocato scalpore e ribrezzo tra molti italiani. Si tratta di un servizio mandato in onda nelle tv francesi in cui si riprende uno chef italiano che sputa Covid-19 starnutendo sulla pizza che sta preparando, denominandola “pizza corona’’; in questo modo lui e per estensione tutti gli italiani venivano rappresentati come degli untori. Questo video non conteneva alcun tipo di ilarità, al contrario aveva lo scopo di diffamare l’Italia e sminuiva una tragedia che stava pian piano consumando il nostro Paese. Lo sputo, in particolare, è un gesto che indica disprezzo e umiliazione, quindi è evidente che questo video nasconde non solo una provocazione diretta agli italiani, ma anche un sentimento di discriminazione e inimicizia. In ciò si torna al concetto che se il creator è spinto dall’odio non crea black humor e ne consegue che ad essere indignato non è solo il target, in questo caso i pizzaioli, ma un’intera nazione.
Arrivati a questo punto dobbiamo chiederci: è giusto continuare con il black humor sui giornali, nelle trasmissioni televisive o nei social dove non conosciamo il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo? È legittimo o etico che chiunque possa utilizzare i mezzi di comunicazione facendo umorismo su qualsiasi argomento? Dobbiamo partire dal fatto che è utopia pensare di trovare una risposta definitiva e uguale per tutte le situazioni. Coloro che si azzardano a portare questo tipo di humor davanti a un vastissimo pubblico vengono spesso criticati e fraintesi. La verità è che dipende anche da chi fa humor. Se un nero fa una battuta sul razzismo tutti, neri e bianchi, ridono e non si sentono offesi, molto probabilmente perché il creator stesso appartiene al target destinatario del suo humor ed è chiaro che sta solamente ironizzando. Una situazione diversa accade quando un bianco insiste con battute sui neri, perché fa nascere nel pubblico un sospetto sulla sua possibile intenzione razzista.
Da questi ragionamenti, possiamo dedurre che se creator e target coincidono non si genererà mai nessun fraintendimento, infatti l’autoironia è sempre esilarante.
Se creator e target non coincidono e, come dicevamo all’inizio, il creator cova sentimenti negativi verso il target e non ha la capacità di stabilire dei confini al di là dei quali si oltraggia la sensibilità degli altri, allora molto probabilmente deve essere fermato, togliendogli la possibilità di generare un’onda di odio e discriminazione. Su cosa possiamo basarci per capire invece se il creator è veramente ironico? Certamente non si può prescindere dal suo trascorso, in particolare da tutto ciò che negli anni ha affermato o scritto sui temi oggetto della sua ironia. Tanto più una persona è affidabile, ha una certa autorevolezza, dovuta al fatto di essere sempre stato nel giusto, senza mai sconfinare nella cattiveria, tanto meno correrà il rischio che il suo umorismo venga frainteso.
20 aprile 2021