Due concetti chiave della filosofia, intelletto e ragione, hanno assunto un ruolo particolarmente significativo nell’ambito della filosofia classica tedesca. Il significato che Kant attribuì a tali concetti subì un mutamento in Hegel, il quale attuò una rielaborazione concettuale sulla base della sua dialettica. Cosa significano “intelletto” e ragione”? Quali sono le caratteristiche proprie e distintive di tali concetti?
di Samir Adhami
Nella Critica della ragion pura (Kritik der reinen Vernunft, 1781) Kant stabilisce una relazione del tutto particolare tra tre facoltà conoscitive: sensibilità, intelletto e ragione. Non sarà possibile, nell’ambito di questa breve trattazione, ripercorrere e soffermarsi sulle argomentazioni kantiane nella loro interezza. Basterà però analizzarne alcuni aspetti, al fine di far emergere l’essenza del discorso intorno alle suddette facoltà. Nella parte intitolata Estetica trascendentale Kant mostra che un primo passo − decisivo e fondamentale − di ogni conoscenza, passa attraverso il riconoscimento dell’esistenza nell’uomo di una facoltà che possiamo chiamare “sensibilità”. Ogni nostra conoscenza ha inizio con la sensibilità, la quale conferisce all’intelletto gli oggetti (i dati della sensibilità). Bisogna però, innanzitutto, soffermarsi su un aspetto: cioè la definizione di “trascendentale”. Il termine assume nella Critica una varietà di significati, a volte anche totalmente differenti l’uno dall’altro, e non è sempre possibile individuare un significato univoco. Si tratta di un concetto-chiave, ma allo stesso tempo profondamente ambiguo. Kant stesso fornisce una definizione che troviamo nell’Introduzione all’opera: «Io chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa in generale non tanto degli oggetti, bensì del nostro modo di conoscenza degli oggetti, in quanto questa dev’essere possibile a priori» (I. Kant, Critica della ragion pura, Introduzione). L’accento è posto sull’a priori, cioè su di un tipo di conoscenza che deve fondarsi su concetti non desunti dall’esperienza, ma indipendenti da essa e che possono essere rintracciati nelle strutture stesse nel pensiero umano.
« E qui faccio un’osservazione che concerne tutte le considerazioni successive e che sarà bene tener sempre innanzi agli occhi: e cioè che non bisogna chiamare trascendentale ogni conoscenza a priori, bensì solamente quella attraverso la quale conosciamo che e come alcune rappresentazioni (intuizioni o concetti) sono impiegate o sono possibili esclusivamente a priori (cioè la possibilità della conoscenza e il suo uso a priori). Pertanto né lo spazio né una sua qualsiasi determinazione geometrica a priori sono rappresentazioni trascendentali; lo sono invece soltanto la conoscenza dell’origine non empirica di queste rappresentazioni e la possibilità che tuttavia posseggono di riferirsi a priori agli oggetti dell’esperienza. » (I. Kant, Critica della ragion pura, Logica trascendentale).
Ora, senza addentrarci troppo nella definizione tecnica del concetto di trascendentale, passiamo a considerare il modo in cui Kant pensa il rapporto tra sensibilità e intelletto, per arrivare poi a determinare il ruolo della ragione. Ciò aiuterà a comprendere come Hegel reinterpreti tali facoltà. Innanzitutto, la sensibilità è una facoltà conoscitiva avente la stessa dignità dell’intelletto. Non è una facoltà inferiore. La sua funzione nella costruzione della nostra conoscenza è assolutamente imprescindibile, tanto è vero che proprio la mancanza di riferimento all’ambito dell’esperienza possibile, sarà per Kant il contrassegno principale della ragione.
Grazie alla sensibilità possiamo ricevere e accogliere molteplici rappresentazioni: gli oggetti stessi agiscono sulla sensibilità e producono modificazioni. Se non ci fosse questa funzione recettiva della sensibilità, non saremmo in grado di essere affetti da nessun oggetto, e non avremmo alcuna intuizione sensibile delle cose e alcun rapporto immediato con gli oggetti. Accanto a tale funzione, però, Kant descrive anche una funzione reattiva della sensibilità. È la capacità che abbiamo di rispondere, in qualche modo, alla modificazione che l’oggetto provoca, conferendo un ordine al molteplice sensibile che percepiamo. La sensibilità può fare questo grazie alle forme pure di spazio e tempo. Grazie a tali forme conferiamo un ordinamento spazio-temporale agli oggetti dell’esperienza. In virtù di questo duplice funzionamento della sensibilità, possiamo avere dinanzi a noi ciò che Kant chiama “fenomeno”, distinto dalla cosa in sé, ossia da come un oggetto è in sé stesso.
La forma è, dunque, una funzione universale di ordinamento, non un elemento costitutivo dell’oggetto (come invece era nella tradizione aristotelico-scolastica). Che spazio e tempo siano forme a priori, significa che sono funzioni indipendenti dall’esperienza, che ogni essere umano possiede e grazie alle quali siamo in grado di conferire un primo ordine agli aspetti sensibili percepiti.
Ora, nell’idea di Kant, la sensibilità, da sola, non può farci conoscere alcunché. Nell’Estetica trascendentale non abbiamo ancora la conoscenza di un oggetto, ma alcune sensazioni uditive, tattili, olfattive, gustative che vengono spazialmente e temporalmente ordinate. Per conoscere vi è bisogno dell’attività di sintesi dell’intelletto. Scrive Kant all’inizio della Logica trascendentale:
« La nostra conoscenza trae origine da due sorgenti fondamentali dell’animo, di cui la prima consiste nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), e la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Attraverso la prima, un oggetto ci è dato, attraverso la seconda esso viene pensato […] Intuizione e concetti costituiscono pertanto gli elementi di ogni nostra conoscenza; non ci può dunque esser data la conoscenza né dai concetti senza un’intuizione che corrisponda ad essi in qualche modo, né dall’intuizione senza concetti. » (I. Kant, Critica della ragion pura, Logica trascendentale)
Le forme a priori dell’intelletto sono per Kant i concetti puri, cioè le categorie. Compito dell’Analitica trascendentale è quello di scomporre l’intelletto stesso per scoprire come tali concetti siano individuabili unicamente nell’intelletto; come siano cioè, concetti a priori, e non a posteriori. Ora, per Kant l’attività principale dell’intelletto è ciò che si chiama “sintesi”. L’intelletto sintetizza, cioè penetra, raccoglie e unifica il molteplice sensibile che la sensibilità ci fornisce. Se la sensibilità non fornisse i dati, gli oggetti, i concetti dell’intelletto sarebbero totalmente vuoti, e pertanto non sarebbe possibile alcuna sintesi. Una sintesi è possibile solo in quanto la sensibilità ci offre una materia. Tale materia viene “pensata”, e quindi unificata grazie all’azione dell’intelletto. La sensibilità, con le forme a priori di spazio e tempo, aveva già una forma di attività ordinatrice del sensibile. A questa attività ordinatrice Kant aggiunge la sintesi, propria dell’intelletto.
Ciò che a questo punto è particolarmente importante notare − non potendo addentrarci con precisione nell’analisi dell’intelletto svolta da Kant nell’Analitica − è il ruolo della terza facoltà conoscitiva, la ragione. Ci sono concetti eterogenei rispetto alle categorie, che ci spingono al di là dell’esperienza possibile, nel campo della metafisica, e a cui non corrisponde alcuna intuizione sensibile: le idee trascendentali. Tali idee derivano proprio dalla ragione e sono studiate da Kant nella Dialettica trascendentale. Questo procedimento razionale non conduce mai, secondo Kant, a una vera conoscenza, ma tutt’al più ad una “apparenza trascendentale”, cioè all’illusione di poter oltrepassare i limiti dell’esperienza e di poter accedere all’ambito metafisico, giungendo a conoscenze oggettivamente valide.
Ogni conoscenza, come già ricordato, non può prescindere dagli elementi dell’intuizione e del concetto. Le idee mirano, invece, a costruire una conoscenza affrancandosi dal necessario riferimento al sensibile. L’uomo arriva, cioè, a pensare come possibile una conoscenza solo in virtù di concetti a priori. Ma, come Kant ha mostrato, il concetto senza intuizione è vuoto.
La determinazione di questi concetti ha avuto un’influenza decisiva sulla filosofia tedesca posteriore a Kant. Prenderemo qui in considerazione la rielaborazione operata da Hegel nell’ambito della sua dialettica. Infatti, l’intelletto e la ragione assumo un significato del tutto particolare nel sistema hegeliano, con punti di contatto ma anche con grandi differenze rispetto alla speculazione kantiana.
Nella visione di Hegel il primato non spetta all’intelletto, bensì alla ragione. Tutto lo sforzo speculativo di Hegel sta nel superare il modo intellettualistico di pensare. Ma in cosa consiste il pensiero dell’intelletto? Come si caratterizza? E cosa lo distingue dal pensiero della ragione? Il concetto chiave per comprendere questa sottile differenza è l’astrazione. Kant, nella determinazione della differenza tra una logica generale e una logica trascendentale, aveva dichiarato che la logica generale (o formale) ha come fondamento la considerazione dei soli aspetti formali ed essenziali: astrae quindi da qualsivoglia contenuto materiale. In altre parole, forma i concetti universali (concetto di uomo, concetto di casa ecc.) e tralascia ciò che costituisce la diversità degli oggetti sensibili. La logica trascendentale trova, invece, dinanzi a sé, il molteplice sensibile offerto dalla sensibilità. E da questo deve partire per mostrare come sia possibile un’origine a priori della nostra conoscenza.
Hegel, dal canto suo, lega indissolubilmente l’astrazione al pensiero dell’intelletto. L’intelletto tende a isolare gli elementi della realtà, a separarli, senza riuscire ad unificarli in una conoscenza sintetica. Ciò che per Kant costituiva il tratto distintivo dell’intelletto − cioè la sintesi − per Hegel non ha a che fare con il pensiero intellettivo. Al contrario, l’intelletto non sarebbe in grado di esprimere e conoscere la realtà nella sua interezza. Raggiunge, cioè, solo una conoscenza parziale della realtà, proprio perché gli aspetti della realtà vengono isolati e separati dal ragionamento astrattivo.
Per tali ragioni la filosofia, secondo Hegel, per essere davvero scientifica, non può fondarsi sull’astrazione dell’intelletto. Ciò che caratterizza la conoscenza filosofica in quanto scienza è che essa non presuppone né il metodo né l’oggetto dell’indagine. Scrive Hegel nell’Enciclopedia delle Scienze filosofiche in compendio (Enzyclopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, 1817): «La filosofia non gode del privilegio di cui si avvantaggiano le altre scienze, di poter presupporre tanto i suoi oggetti, quanto il metodo del conoscere, per iniziare a procedere, come già ammesso.» (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, § 1).
La filosofia ha un grado di scientificità maggiore rispetto alle scienze positive, è scienza in un senso più radicale, in quanto solo essa è scienza dell’intero, scienza della totalità. Ora, l’intero non può essere compreso mediante l’intelletto − la cui prerogativa è quella di separare, analizzare e isolare gli elementi del reale − ma è compito proprio della ragione. La filosofia si muove sempre in direzione della totalità, cioè del reale in tutte le sue manifestazioni, connessioni e contraddizioni.
Quando l’intelletto considera un ente, lo esamina isolatamente, prescindendo dall’intima connessione che lo lega agli altri enti. Fare questo significa, però, precludersi la possibilità di conoscere il reale. La ragione hegeliana si prefigge il compito di superare il pensiero astrattivo dell’intelletto, nella direzione di una sintesi e comprensione dell’intero, il che significa passare anche attraverso il negativo e le contraddizioni della realtà. La ragione conosce l’intima connessione degli enti, mediante il procedimento di sintesi concettuale che la caratterizza. Infatti, il sapere filosofico è caratterizzato dall’elemento del concetto, il quale non rimanda però al potere astrattivo dell’intelletto, bensì al potere proprio della ragione.
Da questa breve riflessione risultano chiare le differenze nella determinazione concettuale delle due facoltà. L’intelletto e la ragione presentano in Kant ed Hegel funzioni diverse. Kant concepì l’intelletto come facoltà conoscitiva concettuale − il cui fondamento veniva individuato nell’atto della sintesi. La ragione era considerata come origine delle idee trascendentali, le quali − conducendo il pensiero al di là di ogni esperienza possibile − non potevano garantire una reale conoscenza della realtà, ma solo un’apparenza di sapere. Hegel, al contrario, caratterizzò l’intelletto come pensiero astratto che analizza il reale senza poter offrire una conoscenza dell’intero. La ragione hegeliana, invece, venne presentata come il tentativo di superare il modo intellettualistico di pensare e come l’unica facoltà davvero in grado di condurre l’uomo ad una comprensione totale della realtà.
06 maggio 2021
SULLO STESSO TEMA
M. Ginex, Ripensare Kant oggi
A. Lombardi, A 250 anni Hegel ci sfugge ancora
G. Zuppa, Hegel profeta del Postmoderno