Tendenzialmente si associa la democrazia al concetto di “volontà del popolo”: democratico è quello Stato che rispetta ed esegue quanto il popolo vuole. Ma esiste veramente tale volontà granitica e come si esprime? Soprattutto, se mai essa esiste, ciò significa che lo Stato democratico è uno Stato dove il popolo, nella sua collettività, viene prima dei singoli esperti riguardo cosa vada deciso in politica?
Nel momento in cui una persona ha un dolore fisico persistente, tendenzialmente decide di rivolgersi a un medico. Se, per esempio, una donna soffre di reflusso gastroesofageo, questa cercherà uno specialista gastroenterologo per capire che ha e cosa può fare per stare meglio. Una volta ottenuta una visita, ascolterà il medico che valuterà, in caso anche tramite analisi ed esami, che cosa ha la paziente, così da prescrivere una terapia utile per risolvere o alleviare il problema. In questa situazione, una persona ignorante in campo medico si rivolge a un esperto, affinché questo le spieghi che tipo di problema fisico ha, quali sono le cause e quali i rimedi. In questa relazione il concetto di esperto è fondamentale: se il medico non fosse riconosciuto come colui che, meglio di altri, sa come risolvere un problema fisico, chi mai andrebbe da lui?
« Essere esperto significa saper realizzare meglio di qualcun altro ciò di cui si ha conoscenza, che l’altro quindi non possiede. Siamo tutti medici in una certa misura, poiché tutti ci occupiamo della nostra salute: e lo saremo tanto più quanto più ci riusciremo con successo. Coloro che meglio vi riescono saranno più propriamente chiamati medici. Chi sa meglio occuparsi della salute è chiamato medico. » (Gabriele Zuppa, Platone democratico)
Si tratta, in questo caso, di una relazione non democratica? A prima vista, sembrerebbe di sì. “La scienza non è democratica”, ripetevano alcuni: si va dall’esperto in quanto si sa di non sapere abbastanza in medicina. Lui dice che fare e il paziente – l’ignorante – obbedisce. Eppure, le cose sono più complesse di così. Si pensi a questo: non è il gastroenterologo che decide il paziente, ma il paziente che decide a che gastroenterologo rivolgersi. È il paziente, in primis, a valutare quale medico specialista, secondo lui, è più esperto; è il paziente, di fronte a risultati magari deludenti, a rivolgersi a un altro specialista per trovare una cura migliore. Colui che necessita di cure ha una conoscenza medica bassa: per questo motivo decide di rivolgersi a chi ne sa di più. Questo rivolgersi non è tuttavia un negare la propria volontà: è un ricercare un confronto con chi si spera sappia dare soluzioni e risposte ai propri problemi. Se quella persona – l’esperto – nel confronto si rivela capace di risolvere il problema e spiegarne la cause, allora il paziente accetterà l’autorità; se l’esperto farà cilecca, il paziente non riconoscerà – almeno nel suo caso – la capacità del medico di essere un esperto e cercherà, di conseguenza, chi sembrerà più esperto di lui.
« È il sapere che abbiamo sulla salute che ci indirizza nella scelta del medico a cui affidare noi stessi, ovvero – diciamolo di nuovo – il nostro aumento di sapere: egli ci dirà che stile di vita condurre e quali medicine prendere. Così noi verificheremo il nostro sapere passato e il sapere che lui ci trasmette, prima suo, ora anche nostro. L’accertamento che noi compiamo, lo compie anche chi si presenta come sapiente, come colui che sa più di noi, nel caso specifico il medico. È solo dal confronto con la realtà, con la capacità realizzativa, che il sapere si misura. » (Ivi)
Si tratta di una relazione tutt’altro che antidemocratica. Anzi, per riprendere di nuovo il citato Platone democratico:
« La questione della democrazia è tutta qua. Chi si dica, chi pretenda di essere qualcuno deve esibire questa sua presunzione, deve mettere alla prova il proprio sapere – verificare, mostrare la verità di quel che dice, crede, sa di essere. Accertamento che è fondamentale per tutti: si tratta di sapere quale sia il sapere, cioè di come si produca l’oggetto delle nostre attese, delle nostre ricerche. » (Ivi)
La democrazia, in tale ottica, è la possibilità di avere un confronto, di riconoscere chi sono gli esperti e farsi guidare da essi. Farsi guidare, però, non per autorità imposta, ma con consapevolezza: dando assenso a colui che sa, meglio di altri, dimostrare la sua intelligenza in un determinato ambito. Questo concetto, per certi versi, sembrerebbe facilmente approvabile. Tuttavia, è questo il modo in cui noi concepiamo la democrazia nel campo dove maggiormente parliamo di essa, cioè nella politica?
Tendenzialmente, infatti, il concetto di democrazia in politica viene associato a quello della volontà popolare: quanto la gente chiede, il politico deve eseguire. Quante volte la campagna elettorale di un politico si basa sul concetto per cui il suo progetto è veramente "popolare"? O meglio, si son mai visti aspiranti governanti affermare dei principi espressamente non coincidenti con quanto la propria comunità esige? Eppure, anche in tal caso, si sta parlando di un campo – quello della politica – assai complesso, riguardante temi e decisioni che intersecano più ambiti e scienze e la cui comprensione è tutt'altro che semplice.
Quali sono i metodi migliori per risolvere il riscaldamento globale? Il sistema scolastico dovrebbe essere finanziato pubblicamente o lasciato al mondo privato? Bisogna pianificare l'economica o lasciare il mercato libero? Queste sono solo alcune delle domande che la politica pone: veramente la "volontà popolare" è sempre capace di sapere qual è la direzione giusta?
Prima di rispondere a ciò, si faccia però un passo indietro e ci si chieda: ma questa volontà popolare esiste? Può essere, inoltre, rappresentata? Due domande assai problematiche. Riguardo la prima, è difficile concepire una volontà granitica di una comunità: qualsiasi società, per quanto abbia o possa avere delle tendenze di pensiero comuni, è sempre una realtà eterogenea, fatta di persone con ideali e principi non coincidenti se non pure contrastanti. Ciò non significa che la società sia inevitabilmente un insieme contraddittorio di persone e che non possa trovarsi una conciliazione su alcuni temi: semplicemente, una unità in senso immediato – senza presupporre un dialogo e una continua dialettica in comunità – non esiste. Di fronte a ciò, presupporre di sapere la volontà popolare, come qualcosa che si conosce prima di essere eletti e, una volta eletti, la si attua, è non poco problematico. In primis, perché rischia di semplificare eccessivamente le differenti volontà presenti dentro al popolo e, in secondo luogo, perché appiattisce il ruolo del politico a un semplice ricopiare, acriticamente, quanto la comunità chiede. Inoltre, se il politico viene concepito non come l'esperto che sa e che guida, ma come colui che rappresenta il volere del popolo, il rischio è che questi finisca, anche quando la sua politica si rivela contraddittoria, a proseguire il suo operato in quanto eletto come rappresentante – in quanto lui è la volontà del popolo.
Bisognerebbe, invece, demitizzare questa idea del popolo come espressione di una volontà intoccabile se non di per sé perfetta – da rispettare e fine. Come ogni singolo, anche la collettività può avere idee politiche confuse. Il ruolo del politico, forse, andrebbe anche qua visto come quello di un esperto nel modo sopra delineato: come colui che propone una spiegazione sul da farsi, su come comprendere e affrontare certe tematiche complesse (riscaldamento globale, educazione, sanità, corruzione in politica, pace globale, ecc.). Esperto non in quanto si impone sugli ignoranti, ma in quanto dimostra – nelle parole e nei fatti – la sua conoscenza e la sua esperienza; in quanto convince la popolazione delle sue capacità e della giustezza di eleggerlo.
Forse, proprio una tale concezione permetterebbe di notare come i governanti e i governati non possano equivalersi: i primi non potranno mai rappresentare in toto la volontà dei secondi, essendo questa qualcosa di eterogeneo e non immutabile nel tempo. Soprattutto, però, non dovrebbero neppure volerlo, in quanto i politici dovrebbero porsi – in senso democratico appunto – come gli esperti, come coloro che sanno guidare il popolo, educarlo, aumentarne la consapevolezza riguardo la direzione politica da intraprendere. Il tutto senza scavalcare il popolo, senza negare la possibilità che esso dia l'assenso alla guida dei governanti, ma sottolineando che anche la politica è una scienza e, come tutte le scienze, richiede studio e conoscenza. In tal senso, allora, potrebbe essere che il concetto di esperto non neghi assolutamente quello di democrazia. Forse, per concludere, la ricerca di una struttura di governo che non si appiattisca a un populistico "affermare cosa il popolo vuole", ma ricerchi la costante educazione di tutti e, al contempo, la promozione non autoritaria di chi si rivela sapiente in politica potrebbe essere proprio quel governo da molti voluto. Il governo che fa il bene del popolo, senza scavalcare il popolo – ma senza, al contempo, idealizzarlo.
28 aprile 2021
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Gabriele Zuppa, Platone democratico
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