Un viaggio nella nascita della Preistoria per collocare la “Morte dell’Uomo” in seno alla “morte” della Storia Politica. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la scienza della Preistoria non nasce in concomitanza dell’invenzione della parola che indica il suo oggetto di studio. Affinché l’oggetto del sapere preistorico potesse emergere doveva compiersi la fine dell’ordine coloniale europeo sul resto del mondo.
di Giovanni Padua
Prima parte
Dagli anni Settanta del secolo scorso il futuro sembra essere svanito sotto i colpi di un realismo pessimista. Non è un caso che gli ultimi strascichi del Secolo Breve siano stati attraversati dall’annuncio della fine della Storia. Il progresso storico della civiltà occidentale si è davvero arrestato?
Prima di tutto: cosa è la Storia? La lingua tedesca è rivelatrice: la storia, intesa come die Geschichte, è il progressivo apparire degli eventi mentre la collezione in cui vengono raccolti e interpretati è die Historie. Ogni interpretazione è di per sé una Novità, non esiste un interpretare che sia “specchio” dell’interpretato. Con la Storia/Historie ci troviamo a fronteggiare questo problema in tutta la sua cogenza: più si retrocede nel passato, più lo sguardo dello studioso-interprete si spalanca “interiormente”, in mancanza di appigli testuali e di documenti deve dar sfogo alla propria vis immaginativa per divinare gli eventi divorati dal tempo che fu. In Su verità e menzogna in senso extramorale, Nietzsche rivela la prima fondamentale “verità” circa l’essere umano: la nostra comprensione del mondo è imprigionata nel circolo vizioso del linguaggio e nonostante il pensiero ritenga di pervenire alla verità delle cose, tutto ciò che ottiene è una verità umana che cioè è relativa alla nostra posizione nel mondo. Ciò accade dunque tanto con quelle scienze che oggi definiscono i contorni della nostra episteme – quei saperi che in actu exercito credono di scoprire il mondo e in actu signato difatti lo creano, quanto con quei saperi come quello storico pur nell’assoluta affidabilità degli strumenti e delle scienze ausiliari di cui lo studioso-interprete si serve per le sue indagini sul passato.
Pur nella generalità del suo interesse, la disciplina storica occidentale condivide con il mito l’involontario ingigantimento di quell’entità chiamata “popolo”. Così come l’essere umano, nella sua ricerca delle verità ultime non trova che verità “umane”, irrimediabilmente antropocentriche, ponendoci all’interno dei confini di una data cultura si potrà notare che i discorsi sul passato che essa produce pervengono inevitabilmente a verità etnocentriche, che tendono cioè a sopravvalutare il contesto etnico-culturale di provenienza e a sminuire o svalutare tutto ciò che a questo centro non si conforma.
L’Ottocento, il secolo tedesco, è una fucina culturale di nuovi saperi, le “nuove” scienze umane – La filologia, la biologia e l’economia politica – portano la guerra all’interno dell’intreccio dei saperi che avevano definito l’episteme dei secoli precedenti. È sotto la spinta della Historie che il sistema di storia naturale di Linneo, muterà nella moderna biologia, così come la grammatica generale, schiudendosi come una crisalide, tramonterà in favore della filologia classica, alla stregua dell’analisi delle ricchezza che è caduta, accecata dalla fede nel valore della moneta e segmentata dall’eresia fisiocratica, sotto i colpi della consapevolezza della storicità assoluta dei rapporti economici e risorgerà nelle vesti dell’Economia Politica più attenta ai processi di produzione della ricchezza e alle capacità poietiche del lavoro umano. In ciascuno dei saperi menzionati, a fare la differenza, rispetto ai saperi del passato, è il riferimento all’Uomo. Non si tratta più solamente di Humanitas, intesa come intreccio di valori e modello ideale di educazione, ma della nuda vita dell’essere umano come “gruppo”, “popolazione”, “gregge” e “società” di cui, prima il Sovrano e poi l’apparato burocratico dello Stato di Polizia deve prestare attenzione in quanto totalità. Eppure, questa modernità al vapore che ha il suo epicentro in Germania è decisamente una falsa modernità: l’Uomo è qui ancora un abbozzo, un disegno ricalcante la civiltà ottocentesca europea e le sue frammentazioni micro-culturali (gli Inglesi, i Tedeschi, i Francesi, gli Spagnoli e gli Italiani), un idolo sotto la cui venerazione si sono perpetrati i più violenti massacri e la più pervasiva operazione di controllo dei corpi dei cittadini dello stato ma soprattutto dei corpi non-caucasici non conformati al modello della Kultur classica greco-romana. L’Uomo nasce a immagine e somiglianza di quell’entità che chiameremo Stato Etnico o, con un sinonimo, Nazione.
La parzialità della nozione ottocentesca di Uomo dipende dalla parzialità della Historie. La Storia Politica, ossia quella narrazione costruita sulla linea del concetto di “progresso”, tanto caro alla civiltà vittoriana, non era altro che una somma di prospettive contraddittorie ed etnocentriche – basti pensare al modo in cui la storiografia “latina” e quella “teutonica” leggono gli esiti della battaglia di Teutoburgo o nei modi in cui raccontano lo spostamento delle popolazioni germaniche durante le ultime fasi dell’impero romano d’occidente.
Come affermato da Andrea Carandini, in La nascita di Roma. Dei, Lari, Eroi e uomini all’alba di una civiltà: il mito è la realtà e la storia la sua metafora.
La Ragione, ossia il mito costruito lungo la falsa modernità a partire dall’Umanesimo, fino all’Illuminismo per poi giungere al Positivismo ottocentesco, come ordine universale ed essenza del genere umano ha contribuito ad erigere e perpetrare il dominio di alcuni uomini su altri uomini pur presentandosi come natura dell’uomo in generale.
Negando la Storia come progresso, il centro fondante le scienze Umane della “falsa” modernità, sarà possibile seguire da vicino l’ennesima mutazione delle scienze umane. Durante il XX secolo la “morte dell’Uomo” farà strage delle scienze umane e le costringerà a subire la mannaia del riduzionismo naturale.
Il lato del linguaggio, il fronte filologico, sarà compromesso dalla psicanalisi e dalla linguistica; il lato antropologico della biologia sarà relativizzato dall’etnologia e da una nuova antropologia naturale, mentre l’economia politica sarà espunta dalle scienze e relativizzata dalla sociologia. Ciò è stato possibile attraverso la germinazione delle Altre Storie, quelle che mostrano la Storia come mito “autistico” (nel senso di “chiuso in se stesso”) di un popolo.
Questo processo è stato innescato dall’emersione della Preistoria, l’altra storia per eccellenza, a sua volta generata dalla nascita della geologia, delle discipline paleontologiche e delle scienze paleoetnologiche. È con l’emersione di un tempo naturale immenso che la Storiografia (die Historie) mostrerà finalmente il suo volto di narrazione interessata e pertanto è necessario fotografare la nascita del discorso sulla preistoria.
Contrariamente a quanto sostiene la vulgata, la Preistoria non nasce nell’Ottocento, il XIX secolo semmai vedrà la nascita delle “parole” che rappresenteranno la strumentazione concettuale della Vorhistorie ma non c’è ancora traccia delle “cosa” preistorica. Questo perché ad oscurare l’oggetto del discorso preistorico è la presenza ingombrante dell’Uomo.
Per far sì che la Preistoria emergesse con tutte le sue devastanti implicazioni per la cultura europea era necessario quello che Foucault, e prima ancora Nietzsche, aveva definito “il tramonto dell’Uomo”.
L’antropologia del XIX secolo, ancora presente nei primi decenni del XX, è una “falsa” antropologia o comunque un sapere costruito a partire dallo sguardo colonialista degli Stati etnici europei.
Ciò che il discorso preistorico mette in pratica è la rievocazione di una soggettività del passato capace di relativizzare e rimpicciolire il presente europeo. È attraverso il discorso sulla preistoria, libero dalle catene nazionaliste che sarà possibile operare una catarsi dai miasmi dell’umanesimo.
9 aprile 2021