Creazionismo ed evoluzionismo, nel pensiero di Carlo Molari, tendono a conciliarsi. Questo tentativo è costato al teologo romagnolo il processo inquisitorio e l'allontanamento dall'insegnamento. Ma siamo sicuri che le due visioni si oppongano?
Di recente è stata pubblicata, per i tipi di Gabrielli Editori, un’ampia ricerca del gesuita e teologo Carlo Molari, dal titolo Il cammino spirituale del cristiano. La sequela di Cristo nel nuovo orizzonte planetario, un testo prevalentemente tratto dalle centinaia di pagine trascritte dalle registrazioni dei corsi tenuti ai famosi Colloqui di Camaldoli.
Al centro delle ricerche di Molari troviamo il confronto tra la bimillenaria tradizione teologica del cristianesimo e la cultura contemporanea ormai planetaria, in particolare l’evoluzionismo di matrice darwiniana. Un confronto che inevitabilmente ha assunto i caratteri dello scontro e che, nell’ormai lontano 1978, lo videro costretto al pensionamento anticipato dalla Pontificia Università Urbaniana, presso la quale insegnava, a causa delle tesi considerate ai limiti dell’ortodossia.
Al di là della vicenda umana, per la quale non si può non esprimere che comprensione, la questione è decisiva poiché emblematica di ogni conflitto teologico e pastorale che anima il cristianesimo da diversi decenni, ma che durante il pontificato di Benedetto XVI e Francesco I ha assunto i contorni di uno scontro epocale tra due anime apparentemente inconciliabili, come l’eccellente film I due papi ha di recente reso accessibile anche a chi di solito non è appassionato di sottigliezze teologiche: da un lato i tradizionalisti, difensori ad oltranza della dottrina millenaria della Chiesa, dall’altro coloro che, prima timidamente e ora con sempre più veemenza, chiedono nelle più svariate maniere alla Chiesa di adeguarsi ai tempi. Basti pensare ad alcune delle recenti prese di posizioni di Bergoglio in ambito etico (percorso più agile per ottenere l’assoluzione dall’aborto, larghe aperture alle unioni civili per le coppie omosessuali) e alle relative e ormai consuete polemiche di coloro che, aggrappandosi alla figura di Benedetto XVI, avvertono il pericolo di un crollo definitivo del cristianesimo a favore dei principi e dei valori del relativismo contemporaneo.
L’evoluzionismo, che – è bene ricordarlo – non è una teoria scientifica quanto piuttosto una sorta di ipotesi paradigmatica di fondo, che la scienza reputa valida per la comprensione della realtà, rappresenta una delle vie d’accesso privilegiate per comprendere le attuali inquietudini all’interno del cristianesimo.
Sin dalle origini, mediante la riflessione filosofica di giganti del calibro di Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino per citare solo i più noti, la Chiesa si è riconosciuta intorno alla dottrina del creazionismo metafisico per cui Dio, eternamente esistente e sussistente, ha creato tutto ciò che esiste. Ancora oggi la Chiesa sostiene che «indubbiamente […] è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana». Tra le varie conseguenze implicate dalla dottrina creazionista, la più rilevante è che tutto il creato è inserito nell’Ordine stabilito una volta per tutte dal Creatore e non è frutto del caso.
Dal lato opposto della barricata, invece, troviamo la dottrina evoluzionista che, da Darwin fino ai più recenti sviluppi, sostiene che l’intero universo è il prodotto del puro avvicendarsi delle più arbitrarie e caotiche casualità e nient’affatto il frutto di un disegno divino ordinatore.
Il tentativo, compiuto negli anni Settanta da Molari, di tenere insieme il creazionismo e l’evoluzionismo non poteva non andare incontro all’altolà della Chiesa che, all’epoca, era arroccata in difesa della tradizione e, di conseguenza, del creazionismo.
Ciò che più conta, tuttavia, in questo che potrebbe sembrare un dibattito tra intelligenze angeliche sul proprio sesso, è che il creazionismo e l’evoluzionismo nascondono due antitetiche visioni del mondo: il primo concepisce la realtà come ordinata ab aeterno da Dio e che, di conseguenza, l’uomo deve riconoscerla a prescindere dall’epoca storica in cui si trova a vivere e ad essa adeguarsi in ogni ambito, quello morale anzitutto; per l’altro, al contrario, la realtà è il prodotto caotico del caso, da cui l’uomo cerca di non farsi sopraffare e che considera possibile e legittimo ogni cambiamento e ogni variazione in ogni ambito, di nuovo in particolare nell’ambito morale.
Una lontananza, all’apparenza estrema, che lacera e divide i cristiani e non solo i cristiani.
Tuttavia, ciò che a prima vista sembrerebbe inconciliabile potrebbe nascondere un’affinità di fondo in grado di spiegare il motivo per cui la Chiesa si trova su un piano inclinato che la porta ad accogliere sempre più le istanze di un tempo, il nostro, che non si riconosce più nella visione creazionista di un universo immagine dell’Ordine assoluto di Dio.
Al cuore della teologia creazionista cristiana, infatti, troviamo che tutte le cose dell’universo sono da Dio create ex nihilo sui et subiecti: «dal loro esser (state) nulla e dalla nullità della materia di cui son fatte». Nonostante abbiano alle spalle addirittura Dio, le cose del mondo, in quanto create ex nihilo, sono puro caso, esistono casualmente. Il caso prevale sull’ordine divino anche se intende, invece, essere spiegazione e anticipazione assoluta delle creature, mantenendo tuttavia, contraddittoriamente, la loro nullità originaria, ossia il loro essere originariamente un nulla che non può in alcun modo essere spiegato e anticipato in un disegno ordinato. La stessa creazione divina del mondo risulta casuale, nonostante l’intenzione più ferma di vedere in essa la negazione più radicale della casualità.
Questa contraddizione, risalente alle origini della formazione della teologia cristiana e covata per secoli, sta lentamente venendo alla luce attraverso le voci di chi, come Molari, chiedono che la teologia – la parola su Dio – parli la lingua del nostro tempo, che va via via sempre più prendendo coscienza nell’impossibilità di conciliare un Dio ordinatore e il caos della realtà.
Sennonché, se il creazionismo pensa inconsapevolmente la realtà come disordine, l’evoluzionismo non è altro che la necessaria rigorizzazione delle premesse che il creazionismo aveva in sé e il conflitto tra le due visioni, che il grande pubblico si rappresenta associandole ai due papi, è un conflitto solo di superficie, poiché nel fondo della loro anima sia il creazionismo sia l’evoluzionismo – sia Dio sia il caso – sostengono la stessa cosa.
Così stando le cose è inevitabile che il cristianesimo proceda di gran carriera verso la distruzione della sua forma tradizionale. Ma le cose stanno veramente così o, forse, tra creazionismo ed evoluzionismo, tra Dio e il caso tertium datur?
[Questo articolo è uscito già su La città. Quotidiano della Provincia di Teramo del 14 marzo 2021]
10 aprile 2021
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