Il Ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi ha parlato di inserire la filosofia come disciplina obbligatoria negli istituti tecnici. Ma cos'è, ad ora, l'insegnamento della filosofia nel nostro ordinamento? E cosa dovrebbe aspirare ad essere?
di Lorenzo Mascia
Quelle che seguono sono alcune riflessioni sull’insegnamento della filosofia in Italia, alla luce della proposta del ministro Bianchi di introdurre lo studio della filosofia negli istituti tecnici. Tale proposta ha subito suscitato numerosi interventi di filosofi e insegnanti di filosofia, tra cui Massimo Cacciari. Cacciari 'boccia', per così dire, la proposta del ministro Bianchi dalla sua che bisognerebbe prima di tutto cambiare l'intero ordine della scuola italiana. Si può essere d'accordo con Cacciari, e anche col fatto che bisognerà capire che tipo di insegnamento della filosofia verrebbe applicato negli istituti tecnici (sarà uno studio della logica o della storia della filosofia?), ma il punto è che persino in un liceo classico non si insegna filosofia, talvolta neppure nelle nostre università. Ciò che tutt'al più viene insegnato è la storia della filosofia o, quando va bene, dei concetti. Insegnare filosofia è un bel problema che richiederebbe un discorso a parte. Quindi perché non vedere nella decisione del ministro Bianchi finalmente riconosciuto almeno il diritto di esistenza di coloro che si battono per l'importanza della filosofia sia per la cultura che per la vita di ciascuno? È un piccolo passo – certo, siamo ancora lontani dal ridarle il peso che merita – ma la filosofia con ciò può dimostrare di non essere solo un fossile da museo. Ecco perché, oggi più che mai, è necessario sviluppare nuove proposte per un insegnamento della filosofia alternativo a quello attuale. Questo compito ci impone di tener conto della situazione odierna e denunciarne le problematicità in riferimento ad un modello didattico che sappia rispondere a tali problematiche e adempiere a determinati obiettivi formativi che non sono evidentemente soddisfatti dall’attuale didattica. Il titolo scelto per questa breve riflessione intende sottolineare la centralità della questione di una didattica che sia filosofica, e dunque bisognerà, ma non in questa sede, intendersi sul significato della parola filosofia, e infine anche di una riflessione interna alla filosofia sulle caratteristiche che un insegnante ideale (per la scuola media- superiore) deve possedere. In altre parole ci si concentrerà, innanzitutto, su quello che dev’essere il modello didattico per l’insegnamento della filosofia e, infine, sulla figura di colui che dovrà trasmetterne i contenuti.
Una didattica della filosofia, per essere tale, deve possedere determinate caratteristiche. Cercheremo di far emergere queste caratteristiche per contrasto con le caratteristiche dell’attuale modello. Nella scuola italiana chi insegna filosofia, insegna, in realtà, storia della filosofia. Oltre ad essere anche insegnante di storia. Prendiamo ciò come un dato di fatto, non è nostro compito spiegare il perché di queste ambiguità tutte italiane. Anzi, per chi vorrebbe saperne di più, un autore che ha affrontato in modo dettagliato la questione è Alberto Gaiani (Queste questioni sono state accuratamente affrontate da A. Gaiani in Il pensiero e la storia e Insegnare concetti). Il fatto che chi dovrebbe insegnare filosofia insegni invece storia della filosofia (e storia), ci pone subito dinanzi ad un primo problema che riguarda da vicino gli obiettivi formativi che una disciplina come la filosofia ha da offrire. In quello che potremmo definire "metodo storico" d’insegnamento della filosofia è implicita l’idea di una didattica-per-autori. In questo modo, se i presupposti di un tale metodo d’insegnamento sembrano essere nobili – evitare i pericoli dell’indottrinamento e del dogmatismo, garantire il pluralismo delle opinioni e la democrazia, educare alla dimensione storica rendendo i discenti consapevoli del proprio passato (cfr. P. Parrini, L’approccio teorico-problematico nell’insegnamento della filosofia, pp. 22-23, in Insegnare filosofia (a cura) di L. Illetterati) – il rischio reale è invece quello di favorire una concezione ideologica della filosofia. Un altro rischio concreto è quello che già Hegel aveva denunciato, quando, con l’espressione "filastrocca di opinioni", intendeva prendere le distanze da una concezione della (storia della) filosofia come susseguirsi di visioni del mondo tra loro addirittura incompatibili. Il metodo storico sembra dare, dunque, più importanza a chi ha detto cosa e non al cosa. Più volte, nel corso dei vari dibattiti, fra gli addetti al settore e i non - si vedano, in particolare, le ultime indicazioni ministeriali sull’insegnamento della filosofia nelle scuole medie-superiori: si noterà che fin troppo spesso la maggioranza di coloro che prendono parte alla stesura delle indicazioni non sono né docenti di filosofia, né filosofi -, sulla didattica della filosofia, è emerso per contrapposizione un diverso approccio che prende il nome di "metodo teorico-problematico". Come ha giustamente sottolineato Paolo Parrini nel suo intervento in Insegnare Filosofia, «anche al di là della fondatezza storica e teorica della distinzione fra filosofia analitica e filosofia continentale, sarebbe sbagliato ricondurre la contrapposizione didattica fra metodo storico e metodo teorico-problematico a quella fra due maniere diverse di praticare la ricerca filosofica e di concepire i rapporti tra la filosofia da una parte e le scienze esatte e naturali dall’altra». Questa contrapposizione tra filosofia continentale e analitica riguarda la questione, non certo marginale, di intenderci, quando parliamo di qualcosa come la filosofia. Parrini sembra metterci in guardia dal ritenere che alla base del metodo storico e del metodo teorico - problematico stia un’effettiva e fondata distinzione tra analitici e continentali, ossia tra due modi di fare e intendere la filosofia che rivendicano la propria originaria autenticità. Inoltre, questa ulteriore contrapposizione ci permette di affrontare il tema centrale dei pro e dei contro dell’attuale metodo storico in uso nella scuola media-superiore italiana. Il metodo di insegnamento della filosofia nei licei presenta diverse caratteristiche, alcune positive, altre meno. Partiamo dalle caratteristiche problematiche. Il fatto di insegnare storia della filosofia e non filosofia, come abbiamo visto, ha, nel corso degli anni, privilegiato lo studio dei vari autori in ordine cronologico, e la classificazione secondo una specifica scuola, epoca, movimento, corrente culturale di appartenenza. La filosofia che si studia a scuola sembra essere una disciplina autoreferenziale, che riguarda lo studio di differenti visioni del mondo, spesso in contrasto fra loro, le quali comportano la comprensione di differenti linguaggi e modi di intendere determinate parole o concetti.
La (storia della) filosofia risulta essere così sempre più una brutta copia della letteratura che si studia nei licei, strutturata secondo differenti "-ismi" e ricostruzioni caricaturali dei differenti protagonisti, i filosofi. I problemi e le risposte ai problemi passano in secondo piano rispetto alle correnti di pensiero entro le quali vengono sviluppati e agli autori proposti. Così i grandi filosofi del passato diventano non solo voci autorevoli in una discussione teorica che ha molti interlocutori, bensì l’oggetto stesso del lavoro filosofico: come se studiassimo Kant per capire Kant (per imparare Kant), non perché ci interessi la questione della fondazione della conoscenza (si veda D. Marconi, Come si insegna filosofia analitica, p. 50, in Insegnare filosofia). Uno studente che per la prima volta si avvia allo studio della filosofia si ritrova a dover apprendere storicamente il pensiero di qualcuno su qualcosa che sembra non riguardare affatto la vita di tutti i giorni quanto piuttosto questioni e problemi marginali, di natura meramente logica o tutt’al più linguistica se non semantica, interpretazioni altisonanti delle teorie di altri, obiezioni, polemiche, critiche ai predecessori da parte degli autori successivi. Manca in generale un approccio al testo, una discussione in classe dei diversi problemi. Tuttavia, non ci sono solo aspetti negativi. L’approccio storico alla filosofia consente di conoscere un numero piuttosto elevato di autori che certamente vanno ricordati e meritano un accurato studio; è in qualche modo in grado di ricostruire la genesi di un determinato argomento che poi ha avuto risonanza in altri ambiti, come quello storico, artistico, scientifico, religioso, politico ecc. Come sottolinea Enrico Berti in Insegnare filosofia, «nel liceo la filosofia viene insegnata a tutti […] in modo che tutti i ragazzi italiani possano fare esperienza, almeno una volta nella vita, di che cosa significa affrontare un problema di senso in modo razionale. Ma […] non si può pretendere che tutti diventino filosofi». Se un approccio storico alla filosofia è utile per avere un quadro dettagliato dei diversi autori e delle diverse questioni in gioco che risulta poi vantaggioso per chi voglia continuare lo studio della filosofia anche all’università, non si può certamente ridurre la filosofia alla sua storia e per di più senza affrontare direttamente e tramite un approccio teorico - problematico le questioni che la filosofia ha posto e pone. Quest’ultima considerazione ci permette di avanzare una tesi che cercheremo di sostenere d’ora in avanti: perché una didattica sia filosofica è necessario che integri al suo interno gli aspetti più vantaggiosi del metodo storico e del metodo teorico - problematico senza ridurre la filosofia da una parte alla sua storia e quindi la sua didattica a didattica per autori, e tuttavia senza ridurre la filosofia a mera discussione, problematizzazione astorica e dunque acritica di questioni che riguardano tutti. Ciò permetterebbe anche di superare la contrapposizione tra filosofia continentale e analitica e propendere per una definizione più flessibile e ampia di filosofia, non per accontentare tutti, ma per riconoscere e valorizzare i buoni contributi alla riflessione filosofica indipendentemente dalle etichette. Per evitare di perdere di vista il nostro obiettivo principale, non ci resta che avanzare ora alcune proposte per migliorare la didattica in senso pratico e non più solo teorico, e infine tenteremo di delineare la figura adatta a ricoprire il ruolo di insegnante. Procediamo elencando, alcune proposte che non vogliono essere delle pezze da apporre all’attuale sistema didattico, quanto piuttosto dei punti di partenza per una nuova didattica che sappia raggiungere degli obiettivi formativi precisi e in accordo con quanto la filosofia è in grado di darci.
Innanzitutto, l’ora di filosofia non dev’essere un’ora d’aria del pensiero, come ha detto qualcuno, ma un’ora nella quale si crea un ambiente di interesse e coinvolgimento condiviso. In ciò è importante, come vedremo, la figura del docente. Ciò che bisogna imparare, quando si fa filosofia, è appunto a filosofare (I. Kant, Critica della ragion pura, p. 633. Lo scopo di imparare a filosofare è quello di formare dei Selbstdenker), ovvero ad acquisire e padroneggiare gli strumenti per fare della buona filosofia. Perciò è indispensabile un confronto col testo e più in generale con la storia della filosofia, intensa però, come sosteneva Kant, come la storia dell’uso (libero, autonomo, filosofico) della ragione. Ecco dunque, che su questo punto, metodo storico e teorico-problematico vengono a convergere. Se non si vuole cadere troppo spesso nel rischio di fare della filosofia un discorso autoreferenziale, è auspicabile che docente e discente rivolgano l’attenzione anche al presente, all’attualità, sempre trattandone secondo un preciso approccio, esito di una formazione al ragionamento filosofico di cui sopra. La filosofia non è un’impresa privata: «nel dialogo si pone, ma insieme si manifesta e si riconosce l’altro da sé come possibilità e come vincolo entro cui attuare e sviluppare la riflessione filosofica» (M. Santi, Fare filosofia in classe. Un approccio dialogico ispirato alla teoria dell’attività, p. 102, in Insegnare filosofia). Quando si tratta di imparare a filosofare, sarebbe anche utile lavorare sulle diverse terminologie e dunque sul linguaggio che adotta e sviluppa la filosofia. Si veda a proposito l’opera di G. Deleuze, Che cos’è la filosofia? dove Deleuze sostiene che la filosofia ha il compito di creare, inventare dei concetti in modo tale da catturare nel discorso aspetti della realtà che sfuggono al senso comune. Oppure anche L. Floridi, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale. Come hanno sostenuto tanti filosofi e tanti docenti di filosofia, è auspicabile che l’insegnamento della filosofia venga esteso anche agli ex-istituiti tecnici e certamente senza prescindere da nessun aspetto che caratterizzerà la buona didattica per come la si farà, semmai, nei licei.
La filosofia dovrebbe avere come principale obiettivo quello di formare un essere umano prima e poi un cittadino. Queste categorie sono da intendere in un senso molto ampio: la prima (essere umano) come persona consapevole dei propri limiti ma anche delle proprie possibilità e prima ancora che individuo come appartenente e dipendente da una comunità, quella umana. Ecco che allora interviene il termine cittadino, inteso come abitante del mondo e non di uno Stato, che è una costruzione storico-concettuale, ma di un insieme di relazioni con altri, suoi simili e non. La filosofia deve formare esseri umani, cittadini, società consapevoli della propria origine, che è sempre qui e ora, come avrebbe detto Nietzsche, nel momento in cui la si interroga. Tutte queste proposte non possono prescindere da una riflessione finale, ma non marginale, sulla figura dell’insegnante. Qui si sta parlando di una filosofia, di una formazione filosofica che si presti agevolmente a farsi didattica, adatta a trasmettere se stessa ad altri. Un buon insegnate di filosofia è preferibilmente giovane ma non inesperto, che abbia competenze da "tecnico della ragione" senza ridursi ad esso, mantenendo l’apertura alla dimensione storica del pensiero filosofico. Per “tecnico della ragione”, espressione coniata da Kant, si intende colui che possiede tutte le abilità e gli strumenti necessari per praticare un discorso di tipo razionale, ma che, senza un fine che sia il fine ultimo della ragione e che funga da guida alle sue abilità, non può dirsi filosofo. Dovrebbe insegnare Filosofia e non Filosofia e Storia. Dovrebbe formarsi anche manualisticamente, ossia saper attingere di qua e di là dai contributi di più filosofi in modo accurato. Infine, non dovrebbe mai smettere di approfondire le sue conoscenze e preferibilmente saper anche trattare di tematiche scientifiche (interdisciplinariamente e transdisciplinariamente) per quanto possibile. Per concludere vorrei accennare solo brevemente alla questione della didattica e della corporeità. Mi riferisco alla dimensione corporea della paideia. Forse non è tanto importante dove si insegna, o a chi, quanto piuttosto come lo si fa. Credo che la condizione di possibilità imprescindibile per l’insegnamento della filosofia (sia in un liceo o in un istituto tecnico), come di qualsiasi altra disciplina sia un ottimale ambiente interiore, emotivo, sentimentale, più che quello esteriore. Quando docente e discente, cioè, instaurano un rapporto di scambio e fiducia reciproci.
8 dicembre 2021
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