Pirandello ci rendeva consapevoli di come l'identità sia composta da un complesso insieme di relazioni: «C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno». Nella società attuale, immersi in una realtà virtuale, è il processo di identificazione stesso, reso faticoso dalla società liquida, a generare smarrimento.
di Beatrice Sgarbossa
Negli ultimi decenni l’umanità ha affrontato grandi cambiamenti, dovuti sopratutto ai progressi tecnologici e scientifici. Dall’invenzione dei primi telefoni, si è passati ai computer, poi ai cellulari e infine alla straordinaria diffusione di Internet. Da alcuni dati del Global Digital Overview in 2020, lanciato da We Are Social e Hootsuite è possibile analizzare lo scenario social e digital a livello globale. Si nota come più della metà della popolazione sia un utente della rete e inoltre come quasi 3,8 miliardi di persone siano attive nell’uso dei Social Media. Si calcola, infatti, che l’utilizzo dei social media da mobile abbia una crescita annua del 14 per cento. Un altro dato interessante è che il tempo medio giornaliero speso da una persona nella navigazione in Internet ammonta a circa 6 ore.
Questa panoramica generale ci fa comprendere come la penetrazione di Internet nella società abbia fortemente modificato le abitudini delle persone. Nei paesi più sviluppati è la normalità che un ragazzino possieda un cellulare e un account Google. Fin da giovani ci si abitua a confrontarsi con un pubblico molto ampio e internazionale, che commenta e giudica da dietro uno schermo. Si sente il bisogno di esprimere il proprio pensiero, di pubblicare contenuti personali per cercare l’approvazione da parte degli altri. I social media, più di molte altre piattaforme, hanno provocato consistenti mutamenti nello sviluppo dei rapporti interpersonali tra giovani.
Così, in una società interconnessa e sempre online, i giovani vagano alla ricerca della loro identità, cercando di avere un riscontro positivo dalle altre persone e inseguendo stereotipi, idoli e mode.
La ricerca della propria identità è un tema che interessa l’uomo, perché permette di definirsi nella realtà in cui è immerso. Identità deriva infatti dal latino identitas e a sua volta da idem, che significa stessa cosa e rappresenta ciò che rende un’entità definibile e distinguibile dagli altri enti, in quanto possiede caratteristiche particolari e permanenti che la rendono ciò che è.
Quando l’uomo ricerca la sua identità, significa quindi che ricerca quei valori, quegli ideali, quel modo di reagire a determinati eventi che lo rendono unico. L’uomo sente il bisogno di trovare qualcosa di stabile, di immutabile nella sua persona proprio perché si accorge di possedere varie sfaccettature. Persona deriva infatti dallo stesso termine latino che significava maschera teatrale, etimologia interessante in quanto fa comprendere come fin dall’antichità l’uomo comprese di essere sempre in “divenire”, come afferma Eraclito. Il tema dell’identità viene poi fortemente ripreso nella seconda metà dell’Ottocento da intellettuali come Sigmund Freud, Italo Svevo e Luigi Pirandello, che con grande introspezione analizzarono i comportamenti dell’uomo, la sua coscienza e la frammentazione della sua personalità.
In particolare, Luigi Pirandello trattò il tema dello smarrimento e della scomposizione dell’identità nel romanzo Uno, nessuno e centomila, pubblicato nel 1926. Attraverso la narrazione della vita di Vitangelo Moscarda, l’autore affronta la crisi di identità a cui sta andando incontro l’uomo. Il protagonista infatti scopre coesistere nella sua persona l’immagine che egli ha di sé e le numerose che invece gli attribuiscono gli altri, giungendo così a tali conclusioni:
« Mi si fissò invece il pensiero ch'io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m'ero figurato d’essere. »
« Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m'avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano. »
« Ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa. »
Moscarda, dopo svariate vicissitudini, lunghi monologhi e profonde riflessioni arriva così alla conclusione che, non potendo coincidere la sua immagine con le svariate altre e non potendo sapere quale sia quella giusta, egli in realtà non sia nessuno. Moscarda arriva quindi ad annunciare:
« Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso. »
Pirandello espone, così, in modo introspettivo e profondo la problematica che attanagliava l’uomo nel Novecento, ovvero la crisi dell’individuo, dovuta a riflessioni e scoperte che portarono a dubitare l’oggettività della realtà e i valori da perseguire. Il tema della decadenza dell’identità, che si impone in quei primi decenni del Novecento, ora si può ritenere completata. Nella società digitale infatti, lo smarrimento dell’identità si è andato ad acuire trasformandosi in conformismo e banale apparenza.
Nella società attuale, attraverso i social media, è accresciuta l’importanza dell’apparenza e della prima impressione. Il potere di piattaforme come Instagram e Facebook sta infatti nel ridurre la distanza tra ciò che si è e ciò che idealmente si desidera essere. Postare foto, video, frasi permette di selezionare il modo in cui si vuole apparire al pubblico e permette inoltre grazie ai commenti e ai like di ricercare l’approvazione delle altre persone.
A tal proposito Patricia Wallace, psicologa e insegnante al Maryland University College, descrive la formazione di un’identità online con queste parole:
« La maggior parte delle persone si costruisce e mantiene online una persona che è una versione potenziata di se stessa. Valorizza le caratteristiche positive e smorza quelle negative, a volte creando veri e propri personaggi nuovi rispetto al reale. »
I giovani, inseriti in una società così iperconessa, cercheranno quindi di formare la loro identità non più attraverso relazioni nella realtà in cui vivono, ma attraverso uno schermo nella realtà virtuale. Con le opportunità che Internet presenta risulta fuorviante e fittizio formare una identità autentica. Ci si abitua così a esaltare la superficialità e il primo impatto. I giudizi che formuliamo sono sempre meno analitici e profondi, basati su brevi esperienze e pochi stimoli. L’attenzione che poniamo per capire se qualcosa ci interessa o meno è sempre minore. La società, così, si è adagiata al “tutto e subito” e al seguire il bello che attrae superficialmente. Non è un caso, infatti, che le “storie” di Instagram durino 15 secondi, o che siano nati nuovi lavori come gli Influencer o gli Imprenditori digitali, o che le aziende si affidino specialmente all’estetica e al design dei loro prodotti. Anche il semplice modo di conoscere una persona è cambiato: le nozioni su cui si fa affidamento sono la tipologia di post condivisi, il numero di like e di followers su Instagram, o di mi piace e amici su Facebook.
I social media sono entrati a far parte della nostra vita, hanno alterato le abitudini e anche il nostro cervello. Un gruppo di ricercatori di diversi Paesi, nell’articolo The Online Brain: How the Internet May Me Changing Our Cognition pubblicato nella rivista World Psychiatry, asseriscono infatti:
« Siamo nell’era di Internet, degli smartphone e dei tablet, l’epoca dell’essere connessi sempre e ovunque, e qualcosa sta cambiando nella nostra testa: alcune aree cerebrali risulterebbero potenziate mentre altre facoltà si starebbero indebolendo. »
Il nostro cervello va incontro alla frammentazione dell’attenzione, allo sviluppo del multitasking, all’indebolimento della memoria, alla stanchezza mentale per un sovraccarico di stimoli, allo sviluppo di stress e depressione, all’estraniamento dalla società, alla dipendenza.
Nekeshia Hammond, psicologa, speaker, autrice e presidente eletto della Florida Psychological Association, afferma che i livelli di dopamina, il "centro di ricompensa" del cervello, potrebbero potenzialmente essere influenzati dall’utilizzo delle piattaforme online, portando così a una maggiore smania per la soddisfazione mentale, che deriva dai social media. E, inoltre, continua sottolineando che le persone piuttosto di concentrarsi sul lavoro e sulla famiglia, dedicano il tempo ai social, i quali iniziano drasticamente a cibarsi della giornata di ciascuno e ad abituare il cervello a un controllo costante e ossessivo. I social media governano ormai la vita dei giovani, come una droga a cui si è dipendenti per sentirsi apprezzati e appartenenti a una società.
Se ricercare la propria identità sembrava un’impresa ardua nel XIX secolo, ora, nei decenni della tecnologia, appare ancora più utopico.
I giovani, distratti da tutti gli stimoli che recepiscono, iperconessi a una realtà digitale, perdono il controllo su quello che accade intorno a loro e, ossessionati dall’apparenza, imitano idoli e stereotipi per sentirsi apprezzati. Se Pirandello rifletteva sul possedere centomila identità differenti, ora il problema risiede nel conformarsi all’identità degli altri e nel creare identità false e virtuali. Tra la frammentazione dell’identità che Pirandello afferma e la società digitale in cui si vive, il giovane deve riuscire a comprendere qual è la sua personalità e che tipo di vita desidera vivere. La società propone così modelli che il giovane disorientato e disattento insegue, adeguandosi ingenuamente al sistema che impone la massa. Si palesano così i problemi attuali: il consumismo, l’individualismo, il nichilismo, l’agnosticismo, la perdita di identità.
15 febbraio 2021
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