Se lo scopo dell’istruzione è quello di formare la capacità critica delle giovani menti – così come è affermato nelle Indicazioni Nazionali del 2010 – allora la scuola non deve limitarsi a insegnare contenuti prestabiliti, ma deve avere come scopo la formazione dell'atteggiamento riflessivo dei discenti.
Lo scritto Il fine della filosofia di Isaiah Berlin si apre con la formulazione della seguente domanda: «Di che cosa tratta la filosofia?». Per rispondere a questa difficoltosa domanda il filosofo britannico decide di partire da una questione apparentemente più facile: «Cosa costituisce il campo delle altre discipline?». Se la filosofia si differenzia dalle altre discipline, allora capire il campo d’indagine di queste ultime può avvicinarci alla definizione delle domande filosofiche. Secondo Berlin il campo di una disciplina è costituito dal tipo di domande che deve affrontare. La caratteristica fondamentale delle domande non filosofiche è la seguente: il percorso per trovare la risposta è già stabilito. Nel momento in cui una domanda non filosofica è posta, «sappiamo dove cercare la risposta: sappiamo quello che rende plausibili certe risposte e altre no». Il percorso per trovare la risposta alle domande non filosofiche, scrive Berlin, può essere di due tipi: attraverso mezzi empirici o attraverso l’applicazione di regole prestabilite. Il primo percorso si serve dell’osservazione empirica, e cerca di rispondere a domande del tipo: «Dov’è il mio cappotto?», «Com’è il sistema sovietico di diritto penale?»; la seconda strada invece si avvale di principi prestabiliti come: assiomi, corollari, regole di deduzione, con lo scopo di rispondere alle domande poste dalle discipline formali.
Ricapitolando: le domande non filosofiche contengono già l’indicazione di come trovare la risposta. Questo non significa che le risposte siano facilmente individuabili: esistono questioni non filosofiche estremamente difficili. Queste domande portano però con loro una certezza: esiste un percorso da seguire per individuare la risposta. Al contrario, le questioni filosofiche non hanno al loro interno nessuna indicazione che ci guidi nella ricerca della risposta. Questioni come: «Che cos’è il tempo?», «Qual è il significato del ‘futuro’?» non danno alcuna indicazione rispetto all’individuazione della risposta. Isaiah Berlin riassume brillantemente questo concetto: «la domanda stessa non sembra contenere alcuna indicazione sulla via da seguire per trovare la risposta». Si potrebbe dire, usando degli altri termini, che le domande filosofiche sono quelle questioni che producono uno spaesamento nell’individuo. L’essere umano si trova di fronte ad una domanda spiazzante, una domanda che non offre una via prestabilita per individuare la risposta. Berlin esprime concisamente in questo passo la caratteristica principale delle domande filosofiche: «non si può rispondere ad alcuna di esse né con l’osservazione né con il calcolo, con metodi induttivi o deduttivi». Un’altra caratteristica che distingue questo tipo di domande è il fatto che si occupano di questioni generali: le domande filosofiche hanno a che fare con i principi e i fondamenti della conoscenza umana. La filosofia si occupa delle domande sui presupposti, ha come proprio obbiettivo l’individuazione del fondamento. Provando a riassumere la posizione di Berlin, le domande filosofiche si distinguono da tutti gli altri interrogativi per due motivi: non suggeriscono nessuna strada per ottenere la risposta, si occupano di questioni di principio. Roberto Casati nel suo saggio Prima lezione di filosofia mette in evidenza, seppur con concetti differenti, la dicotomia esplicitata da Berlin: «la distinzione tra filosofico e non filosofico coincide (spesso) con un’altra distinzione, quella tra metateorico e teorico. Le teorie permettono la formulazione di domande fattuali; le metateorie permettono la costruzione di teorie». Le discipline al di fuori della filosofia si muovono nel terreno del fattuale, di ciò che è osservabile; la filosofia si occupa del modo in cui la conoscenza umana percepisce, elabora i fatti della realtà. La filosofia si muove su un campo d’indagine inaccessibile alle altre discipline, la questione filosofica prende in esame i presupposti della conoscenza umana. «Il fine della filosofia», scrive Berlin, «è sempre il medesimo, aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non paurosamente, nell’ombra».
Dopo aver esposto una possibile definizione di filosofia, cercherò di capire se questa disciplina è una componente indispensabile dell’istruzione. Per semplificare il ragionamento, quando parlerò di scuola o di istruzione mi riferirò alla scuola secondaria di secondo grado, questo però non vuol dire che non si possa espandere il discorso ulteriormente. Se lo scopo dell’istruzione è quello di formare la capacità critica delle giovani menti — così come è affermato nelle Indicazioni Nazionali del 2010 — allora la scuola non deve limitarsi a insegnare contenuti prestabiliti, ma deve avere come scopo la formazione dell'atteggiamento riflessivo dei discenti. Il senso critico non è altro che la capacità di pensare al di fuori degli schemi prestabiliti delle cose, andare oltre lo status quo in cui si è immersi. Lo scopo dell’istruzione e della filosofia coincidono: entrambe hanno come proprio fine la messa in discussione di tutto ciò che è accettato acriticamente. L’indagine del presupposto è il luogo in cui filosofia e istruzione dovrebbero incontrarsi. Se l’istruzione non sviluppa la capacità critica degli studenti, allora fallisce nel suo scopo: allo stesso modo, se la filosofia non indaga i presupposti del conoscere, perde la propria essenza. Istruzione e filosofia sono legate nella necessità di indagare il noto.
L’insegnamento scolastico della filosofia dovrebbe stimolare il pensiero libero, molto spesso però questo non accade. La disciplina filosofica viene insegnata come se fosse una materia tra le altre: si cerca di renderla un sapere misurabile che produce dei vantaggi pratici. Nella situazione appena descritta, l’indagine del noto viene abbandonata, di conseguenza l’essenza della filosofia viene perduta. Si potrebbe dire, prendendo in prestito alcuni concetti di Isaiah Berlin, che la filosofia insegnata a scuola diventa una disciplina non filosofica: le domande che il professore solleva suggeriscono già un percorso per trovare la risposta. In questo caso la strada da seguire non è l’osservazione empirica o l’applicazione di assiomi, com’era per le questioni non filosofiche, ma lo studente per trovare la risposta non deve far altro che consultare il manuale di storia della filosofia. La filosofia insegnata a scuola, se non vuole perdere la propria essenza, non può diventare un insieme di pensieri da imparare a memoria.
«È importante che la filosofia a scuola non sia soltanto una serie di nozioni “che si imparano”, ma porti all’acquisizione di una forma mentale, di una capacità di ragionare in modo duttile, autonomo, efficace».(Alberto Gaiani, Insegnare concetti). La filosofia, afferma Gaiani, deve essere un «sapere concettuale», una disciplina che va al di là del mero dato empirico. «Fare filosofia significa metter in questione i presupposti. Cioè, mettere sotto esame i concetti» (ivi).
La distinzione tra domande filosofiche e questioni non filosofiche proposta da Berlin ci aiuta a superare la concezione di filosofia proposta a scuola. Se la filosofia diventa «una serie di nozioni “che si imparano”» (ivi), allora la distinzione enunciata da Berlin viene persa. Il filosofo britannico ci ricorda che la domanda filosofica ha due caratteristiche fondamentali: non suggerisce una via per individuare la risposta, occupa di questioni di principio. Se la filosofia insegnata a scuola non ha queste caratteristiche, allora non si sta effettivamente insegnando filosofia.
Per concludere prenderò in esame due obiezioni che vengono spesso fatte alla filosofia. Cercherò di confutare queste due critiche, perché possono minare l’idea che la filosofia sia utile nella scuola. La prima obiezione che prendo in esame è la seguente: la filosofia è astratta, non si occupa del concreto, quindi è inutile. Questa prima critica è contraddittoria perché ricade nella critica che vuole fare alla filosofia. Si può negare l’utilità della filosofia solo attraverso una confutazione filosofica, criticare la filosofia è già fare filosofia.
La seconda obiezione riguarda l’impossibilità di rispondere alle domande filosofiche. La critica può essere riassunta in questa domanda: che senso ha studiare qualcosa che non offre delle risposte sicure? Questa obiezione mette in evidenza un problema reale della filosofia: questa disciplina non offre conclusioni. Una caratteristica che i critici non evidenziano è l’inevitabilità delle questioni filosofiche. L’essere umano non può fare a meno di porsi questo tipo di domande, la filosofia è il tentativo di rispondere alle questioni che ci coinvolgono in maniera più radicale. Non ha senso accantonare la filosofia solo perché non offre risposte sicure, visto che non ci sono altre discipline capaci di rispondere alle domande radicali di cui la filosofia si occupa. Forse sarà difficile accettare una disciplina che non offre certezze, ma non per questo siamo giustificati ad abbandonare l’unico tentativo di risolvere le domande fondamentali che assillano l’essere umano.
17 marzo 2021
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