Spesso le testimonianze letterarie raccolte in una particolare epoca possono aiutarci a ricostruire il tessuto di idee di un’intera generazione di autori, anche in ambito scientifico; dopotutto come scrisse Stendhal ne Il Rosso e il Nero, i romanzi sono degli specchi in grado di riflettere il mondo che ci circonda, e questo fa della letteratura un mezzo di approfondimento per la nostra comprensione della storia. Alla luce del dibattito sul concetto di progresso che imperversò nel mondo vittoriano contemporaneo a Darwin, le pagine degli scrittori e dei romanzieri di quel periodo possono offrici un punto di vista in grado di farci comprendere meglio i termini di quel contesto di idee.
Nel 1909, mentre Marinetti pubblicava su «Le Figarò» il Manifesto del futurismo e l’esploratore Robert E. Peary (nonostante i sospetti) dichiarava di esser stato il primo uomo a raggiungere il Polo Nord, presso l’Università di Cambridge si celebrava l’autore dell’Origine delle specie, a cento anni dalla nascita e a cinquanta dalla pubblicazione della sua opera più famosa. Per celebrare Darwin intervennero Hooker, Weismann, Hugo De Vries, Ernst Haeckel e altri, tutti riuniti per l’occasione. Fra loro, unico francese presente fra la schiera degli invitati, il sociologo Célestin Bouglé (1870-1940), professore di sociologia alla Sorbona. Bouglé riconosceva come «il nome dell’autore dell’Origine delle Specie venisse soprattutto ricollegato, come ognuno di noi sa, alla dottrina della selezione naturale e a quella della lotta per la sopravvivenza», la cui fama, cresciuta a livelli esponenziali, ha permesso che questi concetti venissero usati «da scuole di filosofia sociale molto diverse fra loro». «Sistemi pessimisti e ottimistici, aristocratici e democratici, individualisti e socialisti sono stati per anni tutti in guerra, gettandosi scarti di darwinismo l’uno contro l’altro» (Bouglé, Darwin and modern science, p. 469).
Di fronte a questo insieme di rimandi e appropriazioni, dove le idee e gli sviluppi teorici rischiano di confondersi o di ingarbugliarsi, lasciando il lettore contemporaneo con un senso di spaesamento non facile da risolvere, il contesto culturale dell’epoca può offrirci il suo aiuto. Come ha scritto Alfred Whitehead: «È nella letteratura che la concreta visione umana trova espressione. Perciò, è alla letteratura che bisogna guardare, e soprattutto alle sue forme più concrete, se si vogliono scoprire gli intimi pensieri di una generazione». (Whitehead, Science and the Modern World, p. 106). Spesso questi pensieri sono stati (e sono ancora oggi) veicolo di idee e visioni scientifiche che, in ogni secolo, hanno trovato un loro spazio fra le pagine delle opere di innumerevoli scrittori. Alla luce dell’intimo rapporto che intercorre fra scienza e letteratura, quest’ultima spesso riesce ad incarnare le pulsioni, i valori e i desideri di un’intera epoca, aiutandoci ad intravedere anche le paure e le riflessioni ispirate da quei dibattiti a cui abbiamo appena accennato.
Tanto per fare un esempio, prendiamo un attimo l’idea di progresso. Quest’idea, per noi oggi divenuta banale, mise in realtà radici praticamente in ogni ambito della scienza e della filosofia di quel periodo storico. I concetti evolutivi e naturalistici dell’epoca si inserivano pertanto all’interno di una fede generale per il progresso molto in voga verso la metà dell’Ottocento, soprattutto nella cultura vittoriana. Non a caso era possibile trovare autori come lo statista George R. Porter (1792-1852), intenti a voler dimostrare come la storia inglese di quegli ultimi cinquant’anni rappresentasse effettivamente il coronamento di tali prospettive progressive, permettendo così ai «più zelanti sostenitori del progresso» di «vedere le loro speranze pienamente superate, ed i loro più attenti desideri portati alla meta del compimento» (Porter, The Progress of the Nation, p. XVII). Alcuni autori, come Herbert Spencer (1820-1903), divennero quasi dei profeti intenti a diffondere una fede nel progresso che sembrava rasserenare l’essere umano, provando «che tutto l’universo era tranquillo» e che l’uomo «poteva sorridere al mondo» (Toscano, Malgrado la storia, p. 36). In maniera simile, già agli inizi del XIX secolo, la frenologia offriva a tutti coloro che tenessero fede all’idea di una «progressività secolare», la possibilità di utilizzare tale scienza per migliorare la condizione umana, soprattutto da un punto di vista morale (Peel, Herbert Spencer, pp. 108-109). Attraverso le idee ereditarie (come l’ereditarietà dei caratteri acquisiti) e le teorie sull’uso e disuso degli organi e delle facoltà mentali, questi concetti trovarono posto anche nelle idee evolutive, caratterizzando spesso l’immagine dell’evoluzione come se si trattasse di un percorso incentrato sul costante miglioramento o progresso delle specie viventi, e offrendo così una visione evoluzionistica prettamente progressiva.
La letteratura dell’epoca può aiutarci a comprendere meglio questo contesto di idee. Ad esempio, proprio in relazione al progresso, notiamo come simili concetti fossero già diffusi nel dibattito naturalistico ben prima della pubblicazione delle idee di Darwin e il mondo letterario della prima metà del XIX secolo si trovava in fermento non meno degli ambienti scientifici. Le idee evolutive, già prima della pubblicazione dell’Origine delle Specie, si stavano diffondendo sempre di più, lasciando espandere questi discorsi nel dibattito pubblico di tutti i giorni, fino a coinvolgere gli ambienti culturali e letterari dell’epoca (Browne, Darwin, pp. 559-560). Lo scrittore Benjamin Disraeli (1804-1881), ad esempio, ci aiuta a comprendere come il tema del progresso fosse già presente nel dibattito di quel periodo, canalizzando l’immaginazione di coloro che vi prendevano parte. Nel suo romanzo Tancred (pubblicato nel 1847) il protagonista si soffermava a commentare proprio queste idee affermando come: «La cosa più interessante è il modo in cui si è sviluppato l’uomo. Sai, tutto è sviluppo. Questo principio è caratterizzato da un perpetuo avanzamento [...]. Noi siamo un anello della catena, come gli animali inferiori che ci hanno preceduto, e anche noi a nostra volta saremo inferiori [...] questo è progresso» (Disraeli, Tancred, pp. 109-110).
C’erano numerosi altri letterati affascinati dall’insieme di queste idee, tant’è che alcuni di loro prendevano addirittura spunto da certi testi per presentare una visione esaltante della suddetta progressione, considerata come «una legge di natura» in cui l’essere umano dimostrava «un graduale progresso» nello sviluppo dei suoi sensi (Martineau e Atkinson, Letters on the Laws of Man’s Nature, p. 207). A queste parole della scrittrice e giornalista Harriet Martineau, (1802-1876) si affiancavano le frasi del poeta amatoriale, nonché mineralogista, Robert Hunt (1807-1887), che nel suo The Poerty of Science (1848) parlava non solo della “mente dell’uomo” nel “suo progredire verso uno stato superiore”, ma presentava anche un quadro del mondo naturale basato sempre sul concetto di progresso (Hunt, The Poetry of Science, p. XIX). Fra gli estimatori più celebri dell’opera di Hunt c’era inoltre Charles Dickens (1812-1870), il quale rivelò tutto il suo interesse per simili temi attraverso una recensione a The Poetry of Science pubblicata sul «Literary Examiner» del 1848. Il suo scopo era quello di rendere ancora più popolari queste idee, dato che per lui la scienza sembrava in grado di meravigliare l’essere umano più di ogni altra cosa.
Dickens, ad esempio, aveva guardato con favore alle rappresentazioni evoluzionistiche offerte da Robert Chambers (1802-1871) nelle sue Vestiges of Natural History of Creation, il grande best-seller evoluzionistico pre-darwiniano, pubblicato nel 1844. Dickens, che inserì sempre elementi legati alla storia naturale nei suoi romanzi, apprezzava questa visione «liberale e scientifica del progresso» (Secord, Vision of Science, p. 241). Il problema è che quando uscì finalmente L’Origine delle Specie, anche l’opera di Darwin venne letta secondo questa chiave di lettura data dalla visione ormai diffusa del progresso evolutivo. Lo stesso Dickens ce ne dà testimonianza; essendo infatti interessato agli argomenti di natura scientifica, l’autore di Oliver Twist assorbì nel suo linguaggio narrativo alcuni aspetti della scienza dell’epoca, sensibilizzando la sua immaginazione a questi temi biologici (Levine, Dickens and Darwin, pp. 251-252). Egli non mancò neanche di pubblicare sul suo giornale una recensione al lavoro di Darwin, spiegando come L’Origine delle Specie avesse dimostrato che «tutta la natura si muove insensibilmente in avanti su per il pendio di una vasta scala mobile» (cit. in Nixon, Lost in the vast worlds of wonder, p. 320).
Questa recensione anonima pubblicata sul giornale di Dickens (non sappiamo se ne fu lui stesso l’autore) dimostra come l’opera di Darwin venisse recepita da alcuni autori come se si trattasse della dimostrazione di una effettiva inevitabilità del concetto di progresso. Come è stato ricordato «non si deve al darwinismo la fede nel progresso che pervase non solo le scienze sociali ma gran parte della vita culturale dell’Ottocento. Se mai fu la teoria dell’evoluzione ad essere interpretata alla luce di questa credenza [...] col risultato che il darwinismo stesso finì col sembrarne la conferma scientifica» (La Vergata, Guerra e darwinismo sociale, p. 28). In effetti, il contesto letterario pre-darwiniano ci dimostra proprio come le idee sul progresso fossero già incredibilmente diffuse ben prima che Darwin rendesse note le sue teorie. Questi elementi devono per forza aver influenzato il modo in cui venne recepita L’Origine delle Specie, ma allo stesso tempo Darwin non era neanche esente dal subire influenze da parte del contesto intellettuale che lo circondava.
Dopotutto, e vale la pena ricordarlo, anche Darwin era un uomo del suo tempo. Per certi versi l’autore dell’Origine delle Specie lavorò sempre per relativizzare il concetto di progresso, stando attendo a non dividere il mondo naturale secondo categorie tipiche della tradizione naturalistica e classificativa di quel periodo (come superiore ed inferiore); eppure, nonostante i suoi impegni, anche lui finì per utilizzare terminologie che si riallacciavano al vecchio concetto della scala naturale e al progresso degli esseri viventi, offrendo un’immagine dell’evoluzione incentrata (in parte) sul miglioramento delle forme di vita attraverso la selezione naturale (Darwin, L’Origine delle Specie, pp. 116-119 e p. 193). Difficile dunque non vedere in un simile vortice di pensieri il sentimento di un uomo che, come ha scritto Ruse, stava «lottando» con l’idea di «progresso»; in effetti ci «credeva, ma non era del tutto sicuro in cosa credesse» (Ruse, Monad to Man, p. 146).
Tutto questo può aver portato molti dei suoi lettori a sentirsi persino legittimati nel continuare a sostenere una visione della natura di carattere progressivo, visto che la stessa visione sembrava emergere quasi sottotraccia all’interno dei suoi stessi scritti. Non c’è da stupirsi allora, se più scuole di pensiero (sociali, filosofiche e scientifiche) si appropriassero dei concetti darwiniani per sostenere idee molto diverse fra loro. Alcuni proiettarono sulle dinamiche sociali queste visioni naturalistiche, altri ancora si appellarono alla contingenza del modello darwiniano per screditare il progresso, altri difendevano al contrario un modello evolutivo incentrato soprattutto sulla cooperazione e l’altruismo. Alcuni traevano invece dall’opera di Darwin un senso di fiducia per il futuro, ritrovando nella sua opera quella fede generale per il progresso della vita in grado di ispirare l’intera collettività. Ad esempio il celebre imprenditore Andrew Carnegie (1835-1919), auto dichiaratosi anche allievo di Spencer, scrisse «che negli ardui momenti in cui il suo spirito si imbatteva nel dubbio sui massimi temi religiosi, sulla stessa esistenza di Dio e l’intero schema della salvezza, le pagine darwiniane da The Descent of Man e spenceriane da The Data of Ethics, First Principles, Social Statics [...] lo inondavano di calda luce» perché «aveva scoperto la verità dell’evoluzione» ossia «che tutto va bene dal momento che procede verso il meglio» (cit. in Toscano, Malgrado la storia, pp. 18-19).
Quello che è certo, è che simili modelli continuarono a perdurare nel pensiero occidentale persino dopo la morte di Darwin. Per esempio, in uno dei suoi racconti della maturità Anton Cechov (1860-1904) poneva la seguente riflessione ai posteri: «Io percorro una scala che si chiama progresso, civiltà, cultura – vado e vado senza sapere esattamente dove sto andando, ma davvero solo per questa meravigliosa scala vale la pena di vivere» (Cechov, I racconti della maturità, p. 121). L’immagine della scala del progresso, che si poteva ricollegare alle tradizionali concezioni della scala naturale, rappresentava il modo forse più diffuso in quel periodo per immaginare il progresso, persino quello di carattere biologico. Queste idee dunque continuarono a circolare anche nell’epoca successiva a Darwin, tant’è che molti scrittori erano sempre intenti a riflettere su queste questioni all’interno delle loro opere. Come ad esempio lo scrittore Émile Zola (1840-1902), che leggendo l’opera di Darwin e osservandone la diffusione, si chiedeva: «Darwin aveva dunque ragione? [...] il mondo non sarebbe che una lotta, dove i forti divorano i deboli per la continuità e il miglioramento della specie?» (Zola, Germinal, pp. 409-410). Porsi queste domande significava interrogarsi sul senso dell’evoluzione, domandandosi se alla fine dei giochi questo processo fosse effettivamente in grado di spalancare le porte per un miglioramento (e dunque un progresso) degli esseri viventi (compreso l’uomo) oppure no.
I dubbi e le riflessioni espresse dagli autori di quel tempo ci fanno capire quanto le vecchie credenze sulla possibilità di realizzare un perfezionamento della natura umana, molto in voga ai tempi dell’illuminismo francese e anglo-scozzese, continuassero a farsi strada nel pensiero evolutivo dell’epoca, il quale, pur differenziandosi nei suoi contenuti, sembrava sempre intento a ruotare attorno ai medesimi temi. Tutto ciò rafforzava senz’altro la fede generale per «l’inevitabilità del progresso» facendo dell’evoluzione un processo di carattere prettamente cumulativo (Bowler, Theories of Human Evolution, pp. 150-152). Le stesse idee che abbiamo fin qui approfondito, potevano riversarsi anche sul piano del progresso sociale, influenzando dunque non solo l’evoluzionismo ma persino la sociologia contemporanea a questi autori.
Anni dopo, James Joyce (1882-1941), in uno dei suoi temi padovani dei primi anni del Novecento, sintetizzò in una sola frase la sua idea di evoluzione, scrivendo che: «La dottrina evoluzionista, nella luce della quale la nostra società si bea, c’insegna che quando eravamo piccoli non eravamo ancora grandi» (Joyce, Scritti italiani, p. 181). Tali modelli erano talmente radicati nel pensiero biologico di quel tempo da sembrare coesistenti alla stessa idea di evoluzione, investendone quasi ogni aspetto. In questo modo se ne contorceva il significato ben oltre le ambiguità espresse dallo stesso Darwin, e la si presentava come un processo dagli esiti grandiosi, attraverso una visione esaltante e allo stesso tempo rassicurante, dove gli elementi più innovativi di casualità e relativismo introdotti dall’autore dell’Origine delle Specie venivano disinnescati in favore di una visione progressiva verso il meglio. Così facendo venivano forse attenuati «gli aspetti più inquietanti del darwinismo». In fin dei conti «il motivo stesso dell’evoluzione, poi, era il più facile da addomesticare: bastava inglobarlo in una versione dinamica della scala ascendete delle forme che conduce all’uomo, coronamento della creazione» (La Vergata, L’equilibrio e la guerra della natura, pp. 556-557).
Allo scopo di approfondire simili tematiche, assieme al rapporto che intercorre fra scienza e letteratura, è stato organizzato presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza un ciclo di incontri dal titolo Evoluzione, Scienza e Letteratura, che mirerà ad approfondire proprio a partire dai romanzi, racconti o pagine di diversi autori (con una breve parentesi cinematografica) l’evoluzione delle tematiche e dei dibattiti che hanno caratterizzato il difficile percorso delle idee evoluzionistiche. Dalle teorie biologiche del tardo XVIII sec, passando per la rivoluzione darwiniana e le riflessioni evolutive, fino ad arrivare ai grandi temi odierni relativi al cambiamento climatico, questo ciclo di incontri ricostruirà il percorso dei grandi temi scientifici, fra distopie e utopie, che hanno affascinato la produzione letteraria di molti autori e autrici, i quali proprio attraverso la letteratura sono riusciti a porre nuovi e più profondi interrogativi anche di carattere filosofico.
7 novembre 2021
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