Un interessante contributo culturale alla costruzione del nuovo Stato unitario

 

Il Fiorentino critica lo Stato costituito in funzione dell’individuo e cerca l’integrazione del concetto di libertà del singolo con quella di Stato. Propone un concetto di Stato, sì «organismo di svariate attività», ma, a cui è necessario imprimere una più profonda unità, «l’unità del volere».

 

di Giuseppe Gallelli

 

 

Lo storico della filosofia Francesco Fiorentino (Sambiase 1834 – Napoli 1884) dopo l’avvento della Sinistra al governo (1876) rimane fortemente amareggiato, come, del resto, quasi tutti i maggiori ideologi della Destra.

E, in polemica con la Sinistra, propone, nelle due lettere Lo Stato moderno inviate a Silvio Spaventa, una concezione si etica ma soprattutto storica e liberale dello Stato che considera «risultato di tutta la nostra storia, della coscienza collettiva di tutta la nazione»

 

Critica le conseguenze del contrattualismo rousseauiano che, a suo parere, pone gli individui come cause meccaniche della comunità e fa sua la concezione hegeliana di stato etico, integrata, però, dal concetto di nazionalità.

Come aveva osservato Bertrando Spaventa, secondo Hegel Rousseau avrebbe guardato all’individuo naturale non cogliendo il doppio aspetto del concetto di libertà, ossia la differenza tra la forma che è «l’interesse del soggetto nell’azione» e il contenuto che è «l’essenza» e «l’interesse della ragione» (B. Spaventa, Da Socrate ad Hegel).

L’errore di Rousseau consiste nell’incapacità di trovare un principio che «sia l’essenza e il contenuto della volontà umana» (ivi).

 

« Il contratto sociale, donde Rousseau volle derivare lo Stato, scrive Fiorentino a Silvio Spaventa, come nota ragionevolmente l’Hegel, ha almeno il pregio di aver compreso che lo Stato è essenzialmente pensiero. Se non che questo contratto non manca d’inconvenienti. È pensiero, ma particolare, e quindi incapace di quella universalità e di quella assolutezza che nello Stato è necessario richiedere… La volontà di Rousseau, essendo individuale, non può, con l’aggiungersi ad altre che le siano compagne, disvestire la propria limitazione. Non è cosa che possa conseguirsi con l’addizione l’organismo dello Stato: è processo, non è somma […] Il solo aggregato delle volontà non formerà mai la volontà universale dello Stato.» (F. Fiorentino, Lo Stato moderno e le polemiche liberali. » (Ivi)

 

E continua:

 

« Con la Rivoluzione francese lo Stato si svestì  delle ultime spoglie della teocrazia e della feudalità; e questo fu progresso vero. E fu progresso… il cercare il fondamento dell’uomo. Ma [...] la natura umana vi era considerata dal lato sensitivo più che dal lato etico [...] Questo indirizzo erroneo fu continuato anche dopo, e né la scuola storica, né la scuola filosofica del diritto che le si contrappose, tennero conto alcuno delle individualità nazionali. L’Hegel, per esempio, corresse il primo di questi errori, definendo lo Stato per l’attuazione dell’Idea etica [...] ma non colse l’importanza della nazionalità [...] Il nuovo fondamento dello Stato moderno è dunque la nazione [...] Lo Stato  non ha più da fare con l’individuo astratto, naturale, selvaggio, ma deve ricomprendere un organismo di svariate attività che ha già una vita, un genio determinato, un costume, una letteratura, un linguaggio [...] A quest’organismo nazionale lo Stato imprime il suggello di una più rigorosa e profonda unità, l’unità del volere [...] L’unità nazionale è comunanza teoretica, l’unità dello Stato è unità pratica. » (Ivi)

 

E poco dopo:

 

« La Nazione è il contenuto, lo Stato la forma; quella è individualità, parte naturale, parte psichica; questo è l’atto pieno dell’assolutezza e della necessità. » (Ivi)

 

Da questo punto di vista egli distinguerà, sia nella prima edizione che nella seconda degli Elementi di filosofia, la società civile dallo Stato. Nella società civile, infatti, le volontà «s’accordano in una volontà comune: ma l’accordo concerne soltanto l’utilità della vita; i mezzi, cioè, non già il fine [...] Nello Stato, invece, la comunione è cercata per sé, e costituisce essa il fine» (F. Fiorentino, Elementi di filosofia ad uso dei licei; F. Fiorentino, Lezioni di filosofia).

 

I fratelli Bertrando e Silvio Spaventa
I fratelli Bertrando e Silvio Spaventa

 

Il Fiorentino critica, così, lo Stato costituito in funzione dell’individuo e cerca l’integrazione del concetto di libertà del singolo con quella di Stato. Propone un concetto di Stato, sì «organismo di svariate attività», ma, a cui è necessario imprimere una più profonda unità, «l’unità del volere».

Lo Stato, per Fiorentino, è espressione di una essenza razionale ed etica, ma anche storicamente fondata e promotrice dei processi di sviluppo della società civile.

 

« Se lo Stato meramente giuridico, egli scrive a Silvio Spaventa, quale uscì dalla Rivoluzione francese, avendo a sostegno l’individuo astratto, poté limitarsi a tutelare l’esteriore sicurezza, lo Stato moderno, emerso dall’organismo nazionale, ch’è concreto ed etico, non può tenersi a quella semplice guarentigia, ma dee penetrare più addentro nell’indirizzo dell’attività nazionale. Questa esigenza tu esprimevi con la formula, che lo Stato moderno dà insieme tutela, giustizia e direzione. » (Ivi)

 

E conclude:

 

« Uno Stato vigoroso e potente ha mestieri di ricomprendere in sé tutta l’attività nazionale, di stimolarla, di moltiplicarla, di dirigerla. […] La scuola, quindi, la società industriale, la banca sono come cerchi di varia estensione dentro la sfera massima che tutti li tiene racchiusi. Rinchiusi… ma non distrutti, sebbene impotenti di balenare oltre l’orbita designata a ciascuno. » (Ivi)

 

Giovanni Gentile, nella prefazione alle due lettere, ristampate in Lo Stato moderno e le polemiche liberali tenta di accreditare il fascismo come erede dello Stato nazionale, costruito nel Risorgimento, sminuendo l’operazione culturale di Silvio Spaventa (cfr. G. Amendola, Una battaglia liberale. Discorsi politici 1919- 1923) e di Francesco Fiorentino (cfr. in particolare Ritratti storici e saggi critici, raccolti da G. Gentile) dalla cui opera emerge, al contrario, uno Stato che ha sì una propria dimensione etica che gli deriva dalla nazione, cioè dal vincolo naturale, morale e storico che forma l’insieme della cultura, ma che è soprattutto costruttore di civiltà e di un popolo ove i singoli membri diventano corpo vivo, attraverso la scuola e tutte le attività, sia economiche che scientifiche, culturali e sociali, che lo Stato ha il compito di stimolare, moltiplicare e dirigere.

 

 1º novembre 2021

 








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