“Io da grande vorrei essere un supereroe”, “Io vorrei andare nello spazio”, “Io vorrei cambiare il mondo”, ammettiamolo, chi da bambino non ha mai risposto in modo così irrealistico alla classica domanda “Cosa farai da grande?”. Nessuna di queste risposte era banale, eppure nell’espressione dell’adulto che aveva posto la domanda spuntava un sogghigno, un sorrisetto che derideva i nostri sogni ambiziosi, accompagnato da frasi rassegnate come: “Deve ancora capire come funziona la vita” sussurrate all’orecchio dell’amico. Gran parte di questi sogni si sono infranti, cosa ha cambiato il bambino che era in noi?
di Riccardo Bassani
Crescendo in una società nella quale si viene derisi per ogni sogno ambizioso esternato, diventa estremamente faticoso anche solo tentare di realizzarlo. La società a cui mi riferisco comprende innanzitutto gli adulti che rappresentano fin da piccoli un punto di riferimento per ciascuno di noi: la famiglia e la scuola. La nostra personalità viene inevitabilmente influenzata dall’esempio che ci viene offerto dai nostri genitori e dai nostri insegnanti, assorbiamo da loro l’entusiasmo, il carisma, la voglia di uscire degli schemi intravedendo attraverso i loro atteggiamenti la concreta capacità di migliorarsi ogni giorno per poter realizzare quell’obiettivo ambizioso. Al contrario se quello che ci trasmettono questi educatori è rassegnazione ad una vita piatta e senza emozioni, spingendoci ad accontentarci di quello che la vita ci porta, il nostro potenziale sarà sprecato. Questo sistema educativo sempre più diffuso getta le fondamenta per un muro che giorno dopo giorno diventerà sempre più difficile da abbattere.
I pochi che hanno distrutto queste barriere, sono stati accusati di essere stati aiutati totalmente dalla fortuna. Siamo così vincolati dai limiti sociali che ormai qualsiasi evento grandioso è frutto della fortuna. Il nostro potenziale è soffocato dall’influenza sociale e non è segno di salute mentale essersi adattati ad una società profondamente malata.
Ma perché allora devo avere un obbiettivo o un sogno?
«La tragedia della vita non consiste nel non raggiungere i propri obbiettivi, la tragedia sta nel non avere un obbiettivo da raggiungere», così disse Benjamin Mays famoso attivista americano per i diritti civili che ispirò grandi menti come Martin Luter King.
Una vita senza un obbiettivo non è una vita, alzarsi tutte le mattine senza sapere cosa fare per realizzare i nostri progetti e vivere esperienze che abbiamo a cuore, a fine giornata ci lascerà con la sensazione che sia passato un giorno senza averlo veramente vissuto. Magari abbiamo lavorato, siamo andati a scuola, fatto mille cose diverse senza saperne bene il motivo, ma solo perché qualcuno ha deciso che andavano fatte. In tutto questo non abbiamo trovato il tempo per lavorare sui limiti mentali che nel frattempo la società ci ha costruito e abbiamo deluso quel bambino che è in noi e che sognava grandi cose.
E proprio ad un sogno mi riferisco, a qualcosa che ci faccia sentire veramente vivi ed al solo pensiero ci vengano i brividi. Emozione è sinonimo di felicità, quindi dovremmo fermarci e chiederci: “Che cosa mi emozionerebbe? Cosa mi farebbe svegliare prima dell’alba più felice che mai?”. Non facciamo l’errore di accontentarci di obbiettivi mediocri perché fare qualcosa di ambizioso o irrealistico è più facile che fare qualcosa di realistico. Avere un obiettivo particolarmente difficile produce un afflusso di adrenalina che garantisce la resistenza necessaria a superare le inevitabili prove e tribolazioni che ogni obbiettivo porta con sé. Gli obbiettivi realistici, gli obbiettivi che rientrano nel livello medio di ambizione, non sono grandi fonti d’ispirazione e alimenteranno energie sufficienti ad affrontare il primo o il secondo problema, dopo di che finirà l’avventura. Se la potenziale ricompensa è misera o media, così saranno gli sforzi per conquistarla.
Tra soldati si dice: «Tutti vogliono andare in paradiso ma nessuno vuole morire», infatti il 99% delle persone non è disposto a fare quello che è necessario per il conseguimento di un grande obbiettivo.
Certamente un sogno paradisiaco non sarà raggiungibile in poco tempo. Tutti gli eventi sono preceduti da un processo, un retroscena fatto di tentativi, rischi, duro lavoro, sacrifici e fallimenti. Se cerchiamo di evitare il processo, non realizzeremo mai gli eventi. Sfortunatamente viviamo in una società del “Lo voglio adesso” influenzata dai mass media che mettono in risalto e glorificano l’evento, ma nascondono il processo nel ripostiglio, asciugando accuratamente il sudore dei protagonisti perché il pubblico non lo veda. E così sembra che il successo sia frutto di un evento fortunato anziché di un duro lavoro.
Cambiare la società non è facile, ma possiamo iniziare a costruire la nostra nuova mentalità per poter diventare quei genitori o quegli insegnanti che il bambino che è in noi avrebbe meritato di avere. Cerchiamo di uscire dalla nostra comfort zone rompendo le abitudini, accettando le sfide e iniziando a lottare per ciò che vorremmo veramente essere.
In tutto questo quindi Il mindset svolge un ruolo fondamentale perché tutte le nostre azioni consce e non sono dettate dalla mente, dobbiamo quindi da un lato forgiare la nostra personalità e renderla abbastanza forte da non essere influenzata negativamente dagli altri e dall’altro instaurare un dialogo continuo con noi stessi. Le conversazioni più importanti che abbiamo sono quelle con noi stessi, ci svegliamo con loro, camminiamo con loro, ci andiamo a letto e alla fine agiamo in base a loro. Dobbiamo assicurarci che il dialogo con il nostro io interiore sia convincente abbastanza da avere il coraggio e la temperanza di non abbandonare l’obbiettivo strada facendo.
Il raggiungimento dell’obbiettivo non è una destinazione ma un viaggio personale che vale la pena di essere vissuto fino a quando i sogni saranno vivi e ci sarà una possibilità di realizzarli. Quando un bambino ci confesserà il suo super sogno rispondiamogli con le parole di Bebe Vio dopo aver vinto la medaglia d’oro alle paralimpiadi di Tokyo: «Se sembra impossibile, allora si può fare!»
27 ottobre 2021