Scambi: un festival per ri-conoscere e ri-conoscersi

 

Scambi festival mette al centro la relazione in tutte le sue sfaccettature, come quella del riconoscimento. Detta con Hegel, a Scambi i partecipanti «si avvicinano sì con incertezza e timidezza, ma anche con fiducia, giacché ognuno sa immediatamente sé nell’altro, e il movimento è soltanto l’inversione attraverso cui ognuno fa esperienza che anche l’altro sa sé nel proprio altro». 

 

di Margherita Moro, Scambi festival

 

 

Scambi è un festival innovativo che si tiene a fine agosto a Sanremo, in Liguria. Il suo format è quello del laboratorio: tante attività diverse, legate ad uno stesso tema, costellano la Pigna, il centro storico della città dei fiori, un luogo per molto tempo dimenticato che oggi sta rinascendo.  

 

Il laboratorio di Scambi Festival è paneuretico. In estrema sinteticità, la pan-eur-eticità è quella caratteristica ascrivibile a tutto ciò che fa scoprire (eurisko) noi stessi, gli altri, e il mondo che ci circonda (pan, tutto) in modo etico (ethos). 

 

Quali sono i valori di Scambi? Il nome stesso del festival suggerisce l’attenzione al dialogo e all’incontro. L’impegno è quello dell’accessibilità, dell’inclusione, del rispetto e della scoperta. In una parola? Relazione. Quella di Scambi si potrebbe definire un’etica della relazione, tutta da costruire insieme. L’etica è qui da assumere nel senso greco di Aristotele, come un ethos, una dimora, un’appartenenza originaria che ci caratterizza tutti come esseri umani. L’etica della relazione è una direzione di ricerca, ma anche la casa e le pareti che da sempre abitiamo, difficile da scorgere proprio perché sempre davanti ai nostri occhi. 

 

Come ri-conoscerla, per ri-costruirla insieme? 

 

L’attenzione alla categoria della relazionalità sembra attraversare ogni tempo e area del sapere. Basti pensare alla musica, che fin dagli studi dei pitagorici è un’arte fondata su precisi rapporti matematici. È in matematica, in geometria e in logica che gli assiomi fondanti non sono altro che una rete di definizioni vicendevoli, i cui “nodi” rappresentano gli elementi base, incapaci di auto-fondarsi senza riferirsi gli uni agli altri. Pensiamo, poi, allo studio del clima e a quello degli ecosistemi in biologia. Gli ecosistemi sono strutture aperte, intraconnesse ed interconnesse, costituite da organismi che sono in continua e vitale (o mortale) interazione. Vicina agli studi del clima, è nata recentemente la collassologia, un’area di ricerca che indaga i processi di cedimento dei sistemi socio-economici. Il cedimento della struttura è descritto come dovuto a complessi rapporti di interna dipendenza tra le sue componenti e ad una negligenza del sistema rispetto alle proprie zone di fragilità. 

 

L’economia ha scoperto la circolarità: l’economia circolare, rispetto al modello tradizionale e “lineare”, si basa sull’estensione del ciclo di vita dei prodotti, attraverso atteggiamenti di condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento. Passando alle scienze umane, le contemporanee riflessioni antropologiche e psicologiche sulla formazione dell’identità e delle dinamiche sociali del Noi/Voi mettono a tema l’essenzialità delle connessioni tra singolo, altri essere umani e ambiente. La medicina propende in parte per un approccio olistico, che tenga conto del paziente come persona complessa, che applichi uno sguardo globale alla diagnostica e alla terapia per considerare le reciproche influenze dei vari aspetti dell’organismo biologico e delle sue interazioni con l’ambiente psico-sociale. In fisica, è in campi e aree diverse che la categoria della relazione viene riscoperta e messa al centro. Pensiamo, ad esempio, allo studio dei sistemi complessi o alla meccanica quantistica. 

 

 

È forse in filosofia che la centralità della riflessione sui molteplici aspetti della relazione si rende più evidente. Guardando alla recente filosofia del linguaggio, nel Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche il significato di una parola è dato dal suo uso, ovvero dal posto che questa occupa nel linguaggio, quindi dal modo e dal tipo di relazione che la lega agli altri elementi linguistici. Inoltre la regola, categoria fondamentale per il secondo Wittgenstein, ha un irriducibile carattere intersoggettivo. L’essenzialità della relazione torna, in modo simile, nell’olismo semantico di Quine. Ma anche nella tradizione ermeneutica del ’900 troviamo grandi segnali di relazionalità. Dilthey scrive, riguardo alla sua riflessione sulla storicità e sulla comunanza soggetto-oggetto, che «ogni individuo particolare è nel medesimo tempo un punto di intreccio di connessioni che pervadono gli individui e sussistono in essi». È simile il modo in cui Gadamer riprenderà la riflessione nella sua nozione di tradizione storica. Nella vicina tradizione fenomenologica è Husserl a declinare la categoria della relazione in senso esperienziale e percettivo: la costruzione fenomenologica è un riannodare le percezioni singole in un comune punto di fuga. In Essere e Tempo la relazionalità esplode: Heidegger teorizza il Mit-sein (l’essere-con, lo sfondo intersoggettivo) come caratteristica essenziale del Dasein (l’esserci che noi siamo), che si esprime nelle modalità della cura, quindi dell’attenzione e tendenza profonda all’altro. 

 

È più vicina a noi una riflessione che radicalizza alcune delle istanze heideggeriane e, in generale, alcune delle riflessioni sulla relazionalità. Jean-Luc Nancy è l’autore, tra le altre opere, di La comunità inoperosa (1992) e Essere singolare plurale (1996). Il filosofo francese ha ragionato sui concetti di democrazia e comunità, partendo da una riflessione ontologica che mette al centro la categoria della co-esistenza. In questa prospettiva, l’intersoggettività non solo accompagna il singolo in modo inestricabile, ma lo fonda e lo rende possibile: non c’è esistenza senza co-esistenza. Un altro esempio di relazionalità è poi quello di Edgar Morin: la sua teorizzazione del pensiero complesso è l’invito a non parcellizzare il sapere, impoverendolo e falsificandolo, ma a tenere lo sguardo aperto sui contorni e i contatti di ciò che studiamo con l’intero contesto della conoscenza e dell’esistenza. Come non citare, nell’orizzonte della relazionalità, Sé come un altro di Ricoeur, dove l’eco della dialettica hegeliana incontra la riflessione ermeneutica e fenomenologica.

 


(Istallazione artistica in vista della Biennale di Venezia, in cui i visitatori potevano scannerizzarsi per catapultare il loro io-digitale nell’universo proiettato, fatto da pianeti di persone.)

  

Sembra sia proprio la tradizione dialettica a far emergere maggiormente la potenzialità di una riscoperta della relazione. La riflessione sulla relazionalità si fa, in questa prospettiva, più completa: è logica, ontologica, naturale, etica e politica. Il percorso è quello che parte dalle origini, da Eraclito, passa per Platone, arrivando ad Hegel e a Lotta per il riconoscimento di Axel Honneth

 

« Connessioni: intero e non intero, convergente e divergente, consonante e dissonante: e da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose ». 

 

« La stessa cosa sono il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi mutando trapassano in quelli e quelli ritornano a questi ». 

 

La logica degli opposti di Eraclito, qui esposta nei frammenti 19 e 22 della raccolta I frammenti e le testimonianze curata da C. Diano e G. Serra.

 

« Io affermo appunto che tutto ciò che per sua natura possiede una capacità di produrre un qualunque effetto o di subirlo, anche di entità irrilevante da parte della cosa più insignificante e pure soltanto un’unica volta, tutto ciò è realmente: pongo in effetti che la definizione che definisce le cose che sono sia che non sono niente altro che capacità ». 

 

« Chi sia dunque capace di far questo, coglierà distintamente un’unica idea che si ramifica da ogni parte attraverso molte altre, ciascuna delle quali rimane un’unità separata, e poi molte idee fra loro diverse circondate dall’esterno da una sola, e anche coglierà un’unica idea che, attraversando molti interi, si ricompone in unità ». 

 

Dal Sofista di Platone, dove ontologia, logica e dialettica si intrecciano.

 

Molto di Eraclito e Platone confluisce in Hegel. La sua Fenomenologia dello spirito è la narrazione del travagliato processo di formazione di una coscienza. La relazionalità attraversa tutta l’opera, nelle varie declinazioni della tesi fondamentale di Hegel, secondo cui il medio precede gli opposti. È nel capitolo IV e VI che la relazionalità esplode, ed emerge la sua dimensione etica lì dove viene delineata la dinamica del riconoscimento. Nel capitolo IV, dedicato all’autocoscienza, il riconoscimento fallisce: è il luogo della famosa dialettica servo-signore. Le due coscienze non riescono a raggiungere la consapevolezza di sé perché disuguali: manca l’elemento fondamentale della reciprocità. 

 

Il riconoscimento è quella dinamica oggettiva che la coscienza protagonista scopre nel corso della narrazione. La coscienza è all’inizio tutta tendente alla propria soddisfazione, trainata da una brama e un appetito che non si fanno soddisfare dall’incontro con gli oggetti. Se gli oggetti altri non riescono a colmare e calmare il suo desiderio, è il soggetto altro che, con la sua capacità di auto-negarsi e riconoscere, permetterà alla prima coscienza di vedersi da un altro punto di vista. Ma il riconoscimento non si costituisce se unilaterale: per essere riconosciuti dobbiamo a nostra volta riconoscere la dignità e la capacità dell’altro, che altrimenti rimane oggetto, coscienza inessenziale, inadatta a riconoscerci. È nel capitolo VI che il riconoscimento ideale si realizza, concretizzandosi in quello che Hegel chiama il “sapere assoluto”, anticipato come “parola della riconciliazione”. Quando le coscienze si riconoscono in loro stesse individuali e universali, riconoscono L’“Io che è Noi” e il “Noi che è Io” che da sempre entrano nella loro natura, ecco che “cambiano di segno” e scoprono la vera natura della realtà che le circonda: Relazione.  

 

Lotta per il riconoscimento di Honneth (1992) è una ripresa di alcuni spunti hegeliani, nella cornice di una contemporanea teoria critica che affonda le proprie radici nella vicenda della Scuola di Francoforte e della sua terza generazione, quella habermasiana. La categoria del riconoscimento è oggi al centro della riflessione politico-etico-morale per le sue potenzialità di risoluzione di contese tra visioni opposte. 

 

La suggestione che ci viene dal “sapere assoluto” di Hegel, è quella di non considerarci mai arrivati, definiti, di non chiuderci all’altro e al diverso: questo atteggiamento rappresenterebbe la nostra morte, privandoci dello strumento essenziale della nostra formazione e vitalità: il sapersi altro. La formazione della nostra identità non appare quindi come un processo lineare e passibile di conclusione, ma l’insieme di una serie di circoli che costringono a metterci in discussione, movimenti rischiosi, perdite di stabilità preziose, che solo possono concorrere alla formazione della nostra identità. Siamo tanto più liberi quanto più dipendenti.

 

È in questa dinamica relazionale del riconoscimento, rivolto all’intero della natura, che vorrebbe riconoscersi Scambi: l’edizione 2022 verterà proprio intorno al tema dello squilibrio, nozione dalle mille potenzialità e sfaccettature. Nel laboratorio i partecipanti sono spinti fuori dalla loro zona comfort, per sperimentare con se stessi, gli altri e il contesto in cui sono immersi, creando dialoghi fruttuosi. 

 

Relazione è rapporto, è connessione, è legame, e questa può realizzarsi solo tra elementi che condividano alcuni aspetti della propria natura. Relazione è quindi condivisione, comunione, dialogo e inevitabile scambio. A Scambi si parte da queste radici, che affondano alla Pigna, per ramificarsi come un’edera proficua attraverso le relazioni e i nodi in cui siamo immersi, vivificandoli. 

 

24 agosto 2022

 







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