La logica, così come concepita da Hegel, ha un grado maggiore di astrazione rispetto alle altre scienze, in quanto scarta tutto ciò che è accidentale e sensibile, ma allo stesso tempo è la scienza più concreta, in quanto, ricercando l’essenzialità del reale, ha come obiettivo della sua indagine la struttura della cosa stessa, ossia il suo elemento più concreto. La logica è quindi da intendersi astratta solo in quanto è priva dell’accidentale, non in quanto è scollegata da qualsiasi contenuto concreto del reale, anzi è la condizione di possibilità perché questo si possa dare.
Per il filosofo scozzese David George Ritchie ogni sistema non è mai definitivo, ma applicando i principi della logica è possibile trovare due parti del sistema che sono in conflitto tra loro. È una caratteristica peculiare di Ritchie il sottolineare continuamente la perfettibilità del sistema filosofico. La visione di Ritchie della filosofia lo porta a sostenere che quella “meraviglia” di matrice platonica e aristotelica che per la tradizione sarebbe il motore della filosofia, non è altro che la sensazione che soggiunge all’uomo dopo aver riscontrato una contraddizione. Proprio quella contraddizione che è il motore della dialettica, per Ritchie rappresenta il motore che spinge l’uomo a rendere coerente la sua visione della realtà.
« La “meraviglia”, che permette alla scienza e alla filosofia di progredire, è propriamente la sensazione derivante dalla contraddizione; è la legge logica del pensiero che ci fa sentire a disagio, imponendo uno standard di rigida coerenza nei confronti delle parti frammentarie, incongruenti e inadatte delle nostre credenze. » (D.G. Ritchie, Logic and psychology)
La filosofia è il continuo interrogarsi sulla validità o meno di ciò che si pensa. Alla base della filosofia, per Ritchie si trova la logica, ossia quella disciplina che permette di ricercare la validità della conoscenza. Per il filosofo scozzese, la logica non si può separare delle altre scienze filosofiche che riguardano la conoscenza. Per Ritchie la logica ha a che fare con la coerenza e la validità del processo mentale, l’epistemologia si occupa più prettamente della pretesa di verità da parte della conoscenza, infine la psicologia si occupa del processo mentale come evento, cioè di ciò che la mente conosce, non della conoscenza in quanto tale. La logica ha come scopo l’indagare la struttura razionale che sta alla base di ogni singola conoscenza, le condizioni di esistenza del pensiero stesso: non può sfuggire a nessun contenuto di conoscenza, in quanto è la sua stessa condizione di possibilità.
« La logica non ha a che fare con ciò che potrebbe essere presente in questa o in quella mente, e nemmeno con ciò che, come un dato di fatto, è presente nella mente della persona comune, ma riguarda uno standard di conoscenza ideale al quale ogni pensiero autentico nella migliore delle ipotesi può solo approssimarsi. » (Ibidem)
Questa prima definizione di Ritchie sulla logica ci permette di rilevare uno scarto argomentativo tra il filosofo scozzese ed Hegel. Nel filosofo tedesco è possibile scorgere come la logica non sia un’ideale a cui tendere e che non può mai essere raggiunto, ma la verità stessa, il puro pensiero, astratto da ogni forma di coscienza.
« La logica è perciò da intendere come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, com’essa è in sé e per sé senza velo. » (G.W.F. Hegel, Scienza della logica)
Diversamente per Ritchie ogni pensiero è solo un tentativo di approssimarsi alla logica compiuta, non si può essere mai perfettamente logici. La logica è immanente ad ogni pensiero, ma allo stesso tempo può darsi come contenuto del pensiero ed è quindi qualcosa da ricercare, interrogare, a cui approssimarsi sempre di più. Ogni contenuto del pensiero sottende una logica che non è mai compiuta, ma sempre un’approssimazione. La logicità è solo un ideale, in quanto è intrinseca all’uomo la possibilità di contraddirsi. Tanto meno un pensiero sarà contraddittorio, tanto più sarà logico.
Ritchie ritiene che la presenza di una contraddizione porti qualsiasi pensiero a collassare su se stesso, in quanto allo stesso tempo si afferma e si nega lo stesso contenuto. Proprio per questo Ritchie individua nel “principio di coerenza” il test ultimo per valutare la verità di ogni pensiero e di ogni esperienza. Per Ritchie questo principio è un assioma da cui partire: qualsiasi tentativo di negarlo presupporrebbe il doverlo prima accettare come vero. Negando il principio di coerenza si vorrebbe affermare la coerenza di questa negazione, ossia si riaffermerebbe il principio di coerenza stesso. L’assioma è qui inteso come qualcosa di “immediato”, non è una conclusione deduttiva da assiomi più alti; di “auto-evidente”, in quanto non basa la propria validità sull’esperienza; di “a priori”, non nel senso che è qualcosa che viene prima nella mente dal punto di vista temporale, ma che sta prima nella mente dal punto di vista logico, è una condizione di possibilità. Il “principio d’identità”, il “principio di non contraddizione” e il “principio del terzo escluso” sono tutte declinazioni astratte del principio di coerenza. Per Ritchie non è possibile applicare questi principi direttamente nella pratica, allo stesso modo per cui i principi della matematica non si possono applicare direttamente al mondo concreto, ma necessitano un adattamento al linguaggio comune. Questi principi sono astratti, ma in ogni caso rimango il test ultimo di verità a cui rifarsi per rintracciare la validità o meno di un’asserzione.
« Il principio d’Identità, il principio di Contraddizione (anche detto di non-contraddizione), e il principio del Terzo Escluso, sono diversi aspetti di questo principio fondamentale di coerenza nella sua forma più astratta. Sono assolutamente validi se applicati rigorosamente, ma possono essere rigorosi solo per ciò che è astratto. » (D.G. Ritchie, Cogitatio metaphysica)
Il “principio di ragion sufficiente” è invece il principio di coerenza nel suo aspetto più concreto e permette di affermare il mondo come cosmo, cioè formato da cose ed eventi che non sono isolati tra di loro, ma che formano un unico sistema interdipendente. Ogni evento non è isolato da tutto il resto; per poterlo spiegare è sufficiente una causa che lo determini e che in tal modo lo metta in rapporto al sistema. Grazie al principio di coerenza, applicato nel concreto attraverso il principio di ragion sufficiente, è possibile per l’uomo fare esperienza del mondo. Senza questo principio le diverse determinazioni del reale apparirebbero scollegate e paradossalmente non ci potrebbe essere un sistema di pensiero, in quanto ogni porzione di realtà sarebbe scollegata da tutto il resto.
« L’esperienza da sola fornisce solamente una massa indifferenziata di sentimenti […], fuori dalla quale noi costruiamo in modo speculativo e ipotetico, per una nostra convenienza pratica, una serie di “cose” definite, esistenti assieme e dopo di altre. […] La conoscenza è possibile solo assumendo l’assoluta validità del principio di contraddizione o, in modo più esteso, assumendo il principio di coerenza del pensiero: l’incoerente non può essere vero, il vero deve essere coerente, benché ciò che appare coerente non è necessariamente vero, a meno che non supponiamo di aver esaurito tutta l’esperienza. » (D.G. Ritchie, The one and the many)
Il principio di coerenza risulta essere la condizione di possibilità dell’esperienza, in quanto senza questo principio non sarebbe possibile portare ad unità le determinazioni particolari che ci pervengono attraverso i sensi. Il principio di coerenza permette al soggetto di verificare se quello che gli giunge dalla vita pratica è conciliabile o meno con il suo sistema di conoscenza e, in base ai nuovi stimoli che ha ottenuto, può decidere se modificare o meno le teorie che aveva precedentemente fatto proprie. Questo principio porta Ritchie a dover assumere un altro principio, cioè quello di “causalità”, secondo cui tutto ciò che accade ha una causa. Tale assunto è declinato anche nel “principio di uniformità della natura” e senza di questo nessuna esperienza sarebbe possibile: solo presupponendo che si fa esperienza di un’unica natura, è possibile indagare le cause e gli effetti che si possono riscontrare in essa.
È possibile pensare ad un’unità della natura, solo in quanto è possibile avere coscienza di sé: l’identità di sé e del cosmo sono due aspetti che provengono dalla medesima fonte, ossia il pensiero, che non può essere separato dalla realtà.
« Il principio di uniformità della natura, cioè il presupposto dell’intelligibilità della natura come sistema, è solo un aspetto della coscienza di sé. Identità di conoscenza di sé e identità del cosmo sono solo due aspetti dello stesso sé o dello stesso spirito. Non ci sarebbe nessun cosmo o sistema di natura ordinata se non fosse per la coscienza di sé. L’intelligibile implica l’intelligente. La natura (come sistema) implica la mente. » (D.G. Ritchie, Confessio fidei)
Riprendendo quest’ultima affermazione di Ritchie è necessario sottolineare un’ambiguità che alberga il suo pensiero. Da una parte egli sostiene che la logica può essere autenticamente rigorosa solo se applicata astrattamente, dall’altra ripone nel pensiero, che è governato dalla logica, il fondamento di ogni possibile conoscenza del reale, ossia di ogni contenuto concreto. Ciò che risulta dall’unione di queste due proposizioni è che il pensiero, che può darsi solo come pensiero del reale, non è del tutto rigoroso, in quanto non è completamente astratto, rendendo così vana ogni pretesa di conoscenza. Ritchie inciampa in una delle false rappresentazioni della logica che Hegel analizza nella sua Introduzione alla Scienza della logica. Non è possibile pensare ad una logica (la forma) astratta dal reale (il contenuto) e allo stesso tempo non è possibile pensare il reale (il contenuto) al di fuori della logica (la forma). «È già fuor di proposito il dire che la logica astragga da ogni contenuto, che insegni soltanto le regole del pensare, senza entrare a considerare il pensato e senza poter tener conto della sua natura. Poiché, infatti, la logica deve aver per oggetto il pensare e le regole del pensare, ha anzi in contesto il suo particolare contenuto; ha in contesto anche quel secondo elemento della conoscenza, una materia, della cui natura si occupa.» (G.W.F. Hegel, Scienza della logica) Ritchie non esprime compiutamente tutto il portato filosofico delle teorie che lui stesso è giunto a teorizzare: manca il guadagno che Hegel ha portato nel concepire la realtà sotto l’“autarchia della logica”, cadendo nella contraddizione secondo cui i principi della logica possono essere rigorosi solamente nell’astratto.
« La trasformazione radicale che viene messa in atto nella logica hegeliana riguarda il modo stesso di concepire il pensiero: esso non può essere inteso come una forma solamente soggettiva che non è in grado di avere effettivamente presa sulle cose nel loro proprio modo d’essere. Il pensiero, secondo Hegel, è logos: una mediazione che non è esterna alle cose, una mediazione che appartiene certamente al soggetto, ma come autocoscienza di una dinamica che è allo stesso tempo oggettiva, perché definisce il modo di costituirsi delle cose stesse nel sapere. » (L. Illetterati, P. Giuspoli. G. Mendola, Hegel)
La logica, così come concepita da Hegel, ha un grado maggiore di astrazione rispetto alle altre scienze, in quanto scarta tutto ciò che è accidentale e sensibile, ma allo stesso tempo è la scienza più concreta, in quanto ricercando l’essenzialità del reale, ha come obiettivo della sua indagine la struttura della cosa stessa, ossia il suo elemento più concreto. La logica è quindi da intendersi astratta solo in quanto è priva dell’accidentale, non in quanto è scollegata da qualsiasi contenuto concreto del reale, anzi è la condizione di possibilità perché questo si possa dare.
« L’ultima base è l’anima per sé, il concetto puro, che è il più intimo degli oggetti, la semplice pulsazione vitale tanto degli oggetti stessi, quanto del loro pensiero soggettivo. Portare alla coscienza codesta natura logica, che anima lo spirito, che in esso spinge ed agisce, questo è il compito. » (G.W.F. Hegel, Scienza della logica)
Questa insanabile frattura nel concepire la logica sia come astratta che come concreta, la si può trovare anche in Bertrando Spaventa, il quale analizzando la Scienza della logica di Hegel, sostiene che il “semplice pensare” ‒ la logica ‒ è assoluta astrattezza, qualcosa di non reale, ma allo stesso tempo è il presupposto perché il reale si possa dare.
« Il semplice pensare ‒ come assoluta indifferenza d’ogni realtà ‒ paragonato alla natura e allo spirito, che sono il reale, è in sé, non solo per noi, assoluta astrattezza. Ma, se esso non è la realtà (non è né natura, né spirito), non è meno vero che nella natura e nello spirito come eterno loro presupposto, e che senza di esso natura e spirito non sarebbero realtà. » (B. Spaventa, Logica e metafisica)
11 aprile 2022
DELLO STESSO AUTORE
Il lascito più importante di Platone: la dialettica
L'importanza dei testi nell'insegnamento della filosofia
La sorte della filosofia nella vicenda della morte di Socrate
La questione del divenire nella disputa tra Bontadini e Severino
A cosa serve concretamente la filosofia?
Per una rivalutazione del medioevo
La solitudine: il doppio volto di una dea misteriosa