Il “problema” del male è una questione che viene affrontata dai filosofi fin dall’antichità e si è sempre rivelata non di facile soluzione. Per un filosofo cristiano risulta essere ancora più complessa, dato che si tratta di conciliare l’idea di un Dio infinitamente buono e perfetto con l’esperienza umana del dolore e della sofferenza. Come può Dio permettere il male?
Il tema dell’esistenza del male viene affrontato da Leibniz nella sua opera Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male. Teodicea è un neologismo da lui stesso creato che letteralmente significa “giustificazione di Dio”.
Alla morte di Sofia Carlotta di Hannover, allieva e amica di Leibniz, egli si sentì in dovere di mettere per iscritto le sue idee sul male, sulla provvidenza e sulla libertà umana, che egli aveva elaborato in risposta alle critiche ricevute da Pierre Bayle, filosofo francese autore del Dizionario Storico-politico (1695-96), che si era spesso schierato contro le tesi del pensatore tedesco.
La dottrina di Leibniz è una dottrina della conciliazione, alla quale il filosofo perviene dopo aver trascorso la vita nello sforzo costante di armonizzare correnti di pensiero storicamente avverse: meccanicismo e finalismo, scienza della natura e metafisica, filosofia antica e moderna.
In quest’ottica si inserisce il suo tentativo di dimostrare che, quando si parla di Dio e tutto ciò che ne deriva, come l’esistenza del male, fede e ragione non si contraddicono, ma anzi possono rinforzarsi a vicenda e sono entrambe indispensabili, essendo state date da Dio secondo il principio dell’armonia prestabilita. L’elaborazione della Teodicea si sviluppa infatti seguendo la logica del principio di ragion sufficiente, che in questo caso dimostra come rivelazione divina e verità di ragione non possano scontrarsi. Secondo questo principio, al momento della creazione, l’intelletto divino contiene tutte le possibilità in base alle quali dare origine al mondo e quindi tutti i migliori mondi possibili, cioè tutto ciò che non è contraddittorio: la creazione infatti consiste in una determinata combinazione di possibilità.
L’unico modo che hanno le possibilità per diventare reali è quello di essere compossibili rispetto alle altre, cioè che possano essere compatibili e quindi convivere nello stesso mondo.
Dopo questa breve premessa possiamo spostare l’attenzione sull’esistenza del male. Dio non crea un mondo perfetto, ma il migliore dei mondi possibili dove il male è presente.
Ma di quale male stiamo parlando?
Leibniz ne distingue tre tipi: il male metafisico, il male morale e il male fisico.
Il male metafisico ha a che fare con l’imperfezione di ogni creatura rispetto al proprio creatore, con la differenza necessaria che esiste tra infinito e finito: ciascuna monade creata da Dio ha una visione incompleta e quindi finita del mondo e per questa ragione non potrà mai essere perfetta. Il male fisico può essere visto sia come conseguenza del male metafisico che di quello morale, essendo configurabile come canale di espiazione di colpe e peccati. Il male morale invece richiede una spiegazione più specifica e dettagliata, poiché riguarda anche il problema della libertà.
La posizione di Leibniz si basa sostanzialmente sull’affermazione che il male non è necessario, ma possibile.
Quando Dio crea il mondo, dà origine a una totalità di possibilità che possano coesistere insieme senza contraddirsi, alla luce di quella che Leibniz definisce “regola del meglio” e che è ispiratrice di ogni azione divina.
Dio dispone di due volontà, una antecedente e una conseguente.
Secondo la prima, Dio vorrebbe il bene in sé, il bene assoluto, mentre in base alla seconda vuole il meglio. Dio è infinitamente buono, quindi è logico supporre che desidererebbe il bene assoluto, ma così facendo infrangerebbe una legge logica necessaria, e cioè il principio di non contraddizione.
In un mondo perfetto esisterebbe sia una libertà assoluta che una totale assenza di colpa, ma neppure Dio può infrangere la logica; per questa ragione permette il male morale quale condizione senza la quale non si potrebbe avere il meglio. Il migliore dei mondi possibili contiene sia la libertà che l’assenza di colpa e quindi anche il male, anche se tutti non in forma assoluta.
Leibniz non sta cercando di banalizzare la questione, bensì sta fornendo una delle migliori testimonianze a priori sul funzionamento delle scelte di Dio, a partire dalla constatazione che esiste “qualcosa piuttosto che il nulla”.
Il male che si viene quindi a delineare in questo mondo è un male concomitante, subordinato all’ordine perfettamente razionale del mondo, non il male in sé, e l’incapacità dell’uomo di cogliere questa razionalità ordinatrice dà origine al problema del male.
Secondo voi, Lebniz è riuscito nel suo tentativo di conciliare fede e ragione?
5 dicembre 2022
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