Habermas: salvare l'uso pubblico della ragione

 

È il pensatore della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. Habermas ha dedicato la sua vita alla difesa della democrazia. Le sue riflessioni ci aiutano oggi a chiarificare il convulso momento storico che stiamo vivendo, fatto di lacerazioni, divisioni ed emozioni negative all’interno del tessuto sociale, alimentate ad arte dalla politica e dai media.

 

di Lucia Gangale

 

Jürgen Habermas è un filosofo vivente molto autorevole e molto letto, anche se i suoi testi sono sempre piuttosto difficili e impegnativi. In Francia è appena uscito il primo tomo della sua monumentale Storia della filosofia. Habermas ha oggi 92 anni ed ha dedicato la sua esistenza alla difesa della democrazia. Proprio ispirandosi a questo ideale ha, insieme a Karl-Otto Apel, elaborato la teoria dell’etica della discussione, che consiste nello stabilire le condizioni universali affinché un dibattito possa svilupparsi sull’uso della ragione. Proprio per questo il suo pensiero è di fondamentale importanza per il periodo che stiamo vivendo. Un periodo spesso confuso o sopra le righe nella comunicazione relativa alla pandemia ed alle misure politiche sempre più restrittive ad essa legate. Non si può negare, infatti, che sui giornali e in televisione, la narrazione sia piuttosto uniforme ed avvitata intorno ai temi dei vaccini e del green pass, e che ben poco spazio e cittadinanza abbiano tutte le altre notizie, come se la complessità della vita umana si sia ridotta all’argomento Covid 19 o come se non si muoia di altre malattie, e in misura ben superiore a quella del Covid. Tra omissioni e palesi contraddizioni, la politica di questi due anni ha avanzato seminando paura, divisioni e lacerazioni nella sfera pubblica, accompagnata dalla narrazione mainstream, che non ammette repliche o discussioni, che emargina e ridicolizza (peraltro con insulti e senza mai portare argomentazioni convincenti) chi, con dati alla mano, offre un’altra lettura della pandemia e delle politiche in atto.

In questo scenario, le riflessioni di Habermas possono risultare molto utili e chiarificare ciò che stiamo vivendo, proprio perché il dibattito pubblico, più che sulla ragione, è oggi fondato sull’aggressività e su toni scomposti, fino ad arrivare al video in cui i virologi del momento invitano, attraverso una canzone natalizia, a vaccinarsi.

 

Chiamato “l’Hegel della Repubblica federale”, Jürgen Habermas è il pensatore della ricostruzione dopo la guerra ed è erede di due tradizioni di pensiero. Da una parte, quella della Scuola di Francoforte e della teoria critica della società capitalista, di cui sono esponenti Max Horkheimer, Theodor Adorno ed Herbert Marcuse. Dall’altra, del pragmatismo di John Dewey e delle sue idee di democrazia. Servendosi dell’apporto di queste due tradizioni, nonché di Kant e di Marx, Habermas invita a fare un buon uso della ragione nello spazio pubblico, che lui chiama il «principio di pubblicità» (L’agire comunicazionale, 1981 e 1987). Il buon uso della nostra ragione pratica è il modo per migliorare il mondo.

 

Habermas vede nella conflittualità e nei fenomeni di contestazione originatisi sul terreno della crisi sanitaria, un curioso contrasto. Da un lato, dice, ci sono coloro che utilizzano le teorie del complotto per proiettare le loro angosce represse su delle potenze oscure che sarebbero lì per usare per il loro profitto le istituzioni esistenti (in genere, chiarisce, si tratta di posizioni che hanno origine nell’estrema destra). Dall’altro lato, la denuncia dell’ordine stabilito permette ai coronascettici di presentarsi con l’habitus dell’anti-autoritarismo e quelli che manifestano si fanno passare per i veri difensori di una Costituzione democratica violata da un governo presumibilmente autoritario. Si sono dunque radicalizzate due posizioni: quelle dei difensori del rigorismo ad oltranza e quelle dei difensori di una linea di apertura libertaria. Habermas si dice impressionato dal fatto che il potenziale di questa contestazione occuperà ancora molto tempo, in una maniera del tutto indipendente dallo scoppio della pandemia. Il filosofo avverte, in questo, un tipo di disintegrazione sociale di origine sistemica, che del resto già si era intravista in America, all’inizio del mandato di Biden. In questo scenario già precario e divisivo, aggiunge Habermas, c’è il rischio che i social network disintegrino la stessa organizzazione di un dibattito pubblico e che la comunicazione pubblica non sia più in grado di distinguere il “vero” dal “falso”. Le piattaforme digitali alimentano questi tipi di dibattiti che si avvitano su se stessi e che tendono a separare i partecipanti dal flusso di informazioni che sono divenuti oggetto di una verifica redazionale.  La frammentazione in atto nelle opinioni pubbliche, fa sì che i cittadini non abitino più nello stesso mondo politico

 

A proposito delle politiche sanitarie europee, Habermas è convinto che a imporre le linee politiche di intervento nei singoli Stati siano stati Emmanuel Macron e Angela Merkel, con una coincidenza temporale tra le deliberazioni sul budget e la catastrofe italiana a inizio pandemia.

 

H. Matisse, "La conversazione"
H. Matisse, "La conversazione"

 

Il filosofo tedesco conclude, dicendo che l’uso della ragione pratica non può donarci la sicurezza che andremo a risolvere i problemi attuali, che sembrano puramente e semplicemente insormontabili, ma essa può almeno orientarci e incoraggiarci verso una docta spes (una dotta speranza) di utilizzare questa ragione pratica per migliorare il mondo, anche se solo un po’. Habermas afferma che la filosofia può apportare dei buoni strumenti a sostegno di questo spirito, che si è espresso in maniera mirabile nell’opera di Kant. In un mondo che vede l’iperspecializzazione dei saperi, la filosofia deve salvaguardare la sua vocazione di guardare al “tutto”, inteso non come “mondo nel suo insieme”, ma come “sfondo” di tutto ciò che riguarda la nostra vita.

 

Proprio rivolgendosi filosoficamente alla situazione attuale, Habermas evidenzia che all’interno della crisi sanitaria da Covid 19, lo Stato ha conosciuto ed è tributario di una cooperazione inabituale da parte della popolazione. Infatti, esso ha imposto a tutti i cittadini delle forti restrizioni. L’aporia evidente di questo sistema è – egli rileva – da una parte, quello tra il potere democratico di cui si impadroniscono i cittadini dello Stato per perseguire insieme dei fini collettivi, e, dall’altra parte, la garanzia assicurata dallo Stato ai diritti soggettivi. I due elementi si completano in una situazione normale, ma perdono ben presto equilibrio nello straordinario sforzo collettivo sostenuto per respingere un rischio che minaccia dall’esterno la vita dei cittadini. Questo genera uno sbilanciamento, perché in tal caso i cittadini sono chiamati a degli atti di solidarietà che oltrepassano il naturale orientamento al bene comune che si ha in una situazione “normale”. Habermas è convinto che questa sollecitazione asimmetrica della solidarietà dei cittadini a scapito delle libertà soggettive ugualmente garantite (che sono quelle tutelate a livello costituzionale, come il diritto al lavoro, la libertà di movimento, il diritto di decidere del proprio corpo, discorso valido, in questo momento storico, soprattutto per l’Italia e la Francia, dove le restrizioni alla vita delle persone sono fortissime e parimenti le imposizioni, anche sanitarie) sia giustificata dalla situazione eccezionale che stiamo vivendo (cioè, come già detto prima, la pandemia da Covid-19 e tutta la narrazione che ruota intorno ad essa). Ma, chiosa, è evidente che essa non sia legittima che per una durata limitata nel tempo. 

 

15 gennaio 2022

 




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